Per spiegare chi sia Nico Vascellari basta osservare come ordina da bere alle cinque del pomeriggio: «Non c’è una spremuta di pompelmo? Allora prendo una vodka tonic, grazie». Artista e cantante, sciamano moderno che gioca tra provocazionie folklore, Vascellari oggi è il performer italiano di cui si parla. Di lui Marina Abramovic ha detto: «Vascellari è il numero uno». È stata lei a premiarlo nel 2005 per Nico & the Vascellaris, al concorso della performance a Trento. Classe ’76, ha esordito nella band punk With Love. Poi ha apertolo spazio Codalunga a Vittorio Veneto e fondato i Ninos du Brasil, protagonisti al mega party di Chanel di Amburgo a dicembre. Dal 7 giugno al 2 settembre è al MAXXI di Roma con una riedizione dell’opera Revenge, premiata alla Biennale del 2007.

«Posso suonare in una bettola come da Chanel. La bettola è underground. È ciò che affiora dalla terra. Io sono me stesso sia sotto che sopra», ci dice a Roma, alla vigilia di una bisca clandestina sotterranea, da BASEMENT, progetto espositivo della rivista Cura, per soli trentatré ospiti selezionati. Tra cui la figlia di Rick Owens che vince un uovo in bronzo alla “righea”, gioco tipico di Vittorio Veneto, paese di Vascellari. Si gioca a bocce con le uova sode.

La bisca è una provocazione?
Ho pensato alla tombola, un momento che crea dinamiche inconsuete. Voglio dimostrare che l’arte è divertimento. E che le cose interessanti si fanno insieme. La bisca non funziona se gioco da solo.

Lei colleziona anche opere di altri artisti?
Sì. Oppure scambio. Di alcuni ho acquistato i lavori dei loro esordi. Penso a Cameron Jamie, Sterling Ruby, Spartacus Chetwynd.

È un accumulatore?
Sto tentando di smettere. Colleziono animali imbalsamati, dischi, t-shirt a tema anni 80. Nell’accumulare c’è qualcosa di molto malato e molto umano.

Nel suo paese lei cura ancora lo spazio Codalunga. Tiene molto alle sue origini?
Non cancello le mie radici. Se non fossi nato in provincia non sarei quello che sono. Se fossi nato a New York tutto sarebbe andato diversamente. Animare quel luogo è una mia responsabilità. Non credo che la gente abbia bisogno della mia presenza. Il bisogno è il mio. Se presenti il tuo lavoro solo agli esperti è facile. Se forzi la mano a Vittorio Veneto, con persone digiune di arte, ecco il cortocircuito. Invito gli artisti a esporre sulle vetrine di Codalunga, che prima era un negozio. Enzo Cucchi ha esposto dei disegni che hanno indignato la cittadinanza.

Che cosa rappresentano?
Un felino alle prese con una statua della Madonna.

Bigottismo di provincia?
L’iconografia religiosa è più violenta dell’immagine di Cucchi. Hanno persino interpellato il parroco. Nella belva ha visto la crisi dei valori.

Pensa che sia una reazione molto italiana?
Siamo impregnati di cultura religiosa.

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Roberto Appa
La Bisca Vascellari a Roma da BASEMENT.

Lei è credente?
No. Ma quando un artista capisce di esserlo è una rivelazione.

Ora vive a Roma, culla della cristianità.
Mi sono trasferito per Delfina (Delettrez, designer di gioielli e figlia di Silvia Venturini Fendi, ndr). Ora è la mia città, è di una bellezza indubbia. Il suo degrado è pesante, però mi sorprende ogni giorno. Tra palazzi e rovine si stratificano culture e si crea un trasporto emotivo. È l’idea che guida il mio lavoro.

«Ai miei figli dirò che sono una talpa. Sopravvivo al buio ma anche alla luce»

Come suonare in Uganda e poi a un party di lusso?
Sono un curioso onnivoro: apprezzo la musica più oscura così come i vestiti di Karl Lagerfeld.

Come spiegherà ai suoi figli che lavoro fa?
Papà è una talpa che attraversa strati di terra, connette mondi diversi, sopravvive al buio e alla luce.

In Italia, oggi, fare arte è fare resistenza?
Mi vengono i brividi, sento ulcere e conati. Un artista non può non vivere in opposizione.

La sua arte non sembra politicamente schierata.
Si interpreta come politico ciò che invece è moralista. Al mio lavoro non associo una morale.

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Courtesy Photo
Nico Vascellari in una foto di repertorio della performance Revenge, premiata alla Biennale del 2007

Alla bisca si presenta come diavolo tentatore. Lo è?
Mi piace l’idea. Metto le persone davanti a un’alternativa rispetto al quieto vivere. Un artista che lascia entrare la morale nell’intimità fallisce.

Quali altri danni può fare?
Nel sesso. Se la morale entra nelle fantasie sessuali falliamo. Dovremmo opporle resistenza.

E nell’arte?
Uguale. Con la censura, fallisce. Perché l’artista deve essere un buon esempio? Perché non può essere il ricettacolo delle nefandezze umane?

Si spieghi meglio...
Qualsiasi film che parla di esorcismo si concentra sulla persona posseduta liberata dal prete, che è a sua volta posseduto. Poi, o muore o si suicida. E se questo fosse l’artista? È triste che non possa commettere azioni illegali.

Lei ne ha mai fatta una?
In una performance a Torino stavo a cavalcioni su un guardrail.

«Un artista che lascia entrare la morale nell’intimità fallisce»

È molto attivo su Instagram.
Ne vado pazzo. Ma internet sta livellando tutto.

Come affronta l’omologazione?
Con Kate Moss. Per anni ho collezionato ritagli di lei in modo compulsivo. E ho capito che più vediamo un’immagine e più ci piace. Così sui social: apprezziamo foto in cui ci riconosciamo e che non ci mettono in discussione.

Il contrario della famiglia. È la prima cosa in cui ci riconosciamo e la prima a metterci in discussione?
Solo ora capisco quanto la mia mi abbia sostenuto. Una volta pensavo che i miei mi avessero ostacolato e limitato.

Per questo ha abbandonato l’università?
Non per ribellione, ma per me stesso. Non ho mai studiato molto. Al Dams di Bologna invece per la prima volta ero un bravo studente. Ma era inutile andare a ripetere ciò che studiavo per sentirmi dire bravo. Credere di poter comunicare ciò che avevo dentro aveva a che fare con l’idea di fede.

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Ela Bialkowska.
Nico con i genitori e la sorella nell’opera Nico & The Vascellaris, 2005

Chi l’ha avuta in lei?
I miei genitori.

Ma hanno poi capito che cosa stesse combinando?
Sì, quando li ho coinvolti nella performance Nico & the Vascellaris. Mi infastidiva che molti confondessero il mio nome con un soprannome. Non sono Nicola, né Domenico. Sono Nico, come mio nonno. Decisi che i miei mi avevano chiamato così perché ascoltavano i Velvet Underground. E che avrei fondato una band con loro.

E una volta sul palco com’è andata?
Io cantavo, i miei sorreggevano una tavola di legno. Mia sorella teneva la scritta Nico & the Vascellaris. Quando mia madre crollò, mia sorella prese il suo posto. L’imprevisto gli ha fatto capire la mia arte.

Vascellari, lei è il nuovo Maurizio Cattelan?
Sarei onorato. Per una delle mie prime mostre avevo bisogno di un testo critico. Per caso lo incontrai e decisi che il testo l’avrebbe scritto lui.

Quindi accettò? Che fortuna!
No. Avevo deciso di scriverlo io, firmandoloMaurizio Cattelan. Lui faceva molti scherzi, pensai che avrei potuto farne uno io. Non si è arrabbiato.