Una baita nel cuore della Foresta Nera. Una capanna costruita sui fiordi norvegesi. Un appartamento a L.A. Questa strana triangolazione geografica non è un itinerario estivo ricercato, ma la mappa sulla quale si è giocata la storia del pensiero del Novecento. Una storia in cui la bellezza ha giocato un ruolo centrale. Una storia fatta di uomini tanto grandi nel pensiero, quanto soli, solissimi nella concretezza della vita di tutti i giorni. Heidegger, Wittgenstein e Adorno. A questi tre geni del pensiero del Novecento e alla documentazione visiva, quasi emotiva dei loro luoghi di ritiro, è dedicata Machines à penser, l’ultima mostra di Fondazione Prada a Venezia, curata, non a caso, dal filosofo Dieter Roelstraete e visitabile fino al 25 novembre. Questa mostra è necessaria perché ha dato al pensiero filosofico una patina glossy, ma non nel senso più frivolo del termine; ha semplicemente evidenziato come questi tre pensatori si siano trovati o addirittura costruiti dei luoghi belli dove pensare. In una sintesi estrema: l'estetica del luogo dove si pensa e gli oggetti che stimolano il pensiero sono importanti tanto quanto il pensiero stesso.

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Machines à penser è una mostra teatrale in cui le baite dei pensatori sono ricostruite come opere d'arte all'interno della bellissima cornice di Ca' Corner della Regina, che a sua volta, con quasi tutte le finestre chiuse, diventa un rifugio isolato in un qui generico della terra. L'effetto? Una suggestiva matrioska architettonica. L'incedere della mostra è a tratti ironico; troviamo la ricostruzione del bastone da passeggio di Heidegger, le divertenti teste "fiorite" dei tre filosofi di Goshka Macuga, un video di Sophie Nys girato nella baracca di Heiddeger nella Schwarzwald dove un voice-over prende in giro la bucolicità ostentata, un po' shabby-chic ante-litteram, del pensatore tedesco. Ma si sa: non c'è niente di più profondo della superficie ed ecco che il tono allestitivo raggiunge vette inedite: abbiamo il commovente cervello di Anselm Kiefer circondato da un perimetro di mattoni, i video-essai di Alexander Kluge che cercano di suscitare sensazioni come l'avere freddo e ancora la bellissima opera dell'italiano Paolo Chiasera, che dopo aver ricostruito la baracca di Heidegger nel retro della sua galleria a Berlino, la incendia e con le ceneri ne fa un quadro.

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In una società in cui gli spostamenti sono sempre più veloci e frequenti, in cui si pensa che l'ispirazione venga solo dall'andare via, dal cambiare città continuamente, questa mostra ci fa riflettere non tanto sull'importanza dello stare in un luogo, ma del come decidiamo di stare in un quel luogo specifico.