È il turning point della carriera di Charlotte Prodger. L’artista (originaria di Bournemouth, a sud dell’Inghilterra) si è aggiudicata, nella notte di martedì 4 dicembre, il primo premio dell’ambitissimo Turner Prize. Quando, nell’affollata sala della Tate Britain di Londra, la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha annunciato il suo nome, Charlotte è rimasta stordita e incredula mentre, al suo fianco, suo padre si alzava orgoglioso per applaudirne la vittoria. Una realtà che sembra quasi un sogno per la Prodger, che con questo riconoscimento viene consacrata all’Olimpo dell’Arte: il Turner Prize, istituito dal 1984 e intitolato alla memoria del pittore romantico William Turner, è stato fin dall’inizio il passaggio obbligato per gli artisti britannici più conosciuti nell'art system. Nessuna provocazione o trovata eccentrica, come Damien Hirst e il suo squalo in formaldeide, o Tracey Emin e i suoi letti disfatti; quest’anno, in finale, sono arrivate opere video in grado di fotografare la contemporaneità in modo puntuale, cosciente, profondo, e con brillante piglio investigativo. Un segnale inequivocabile ad avvertirci che la nuova generazione di artisti non ha affatto voglia di perdersi in inutili surplus, ma avverte l’urgenza di scandagliare il proprio complessissimo tempo alla ricerca di risposte.

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Victoria Jones - PA Images//Getty Images

Così è stato per la 44enne Charlotte Prodger che, con il cortometraggio Bridgit, ha rapito totalmente il pubblico per 32 minuti, portandolo con sé in un viaggio intimo e senza filtri, girato totalmente in soggettiva con il proprio iPhone. Bridgit è il nome di un’ancestrale Dea appartenente alla tradizione celtica, protettrice del fuoco, della nascita, della guarigione, della poesia. È lo spirito panico che aleggia negli sconfinati paesaggi scozzesi, mentre l’artista li riprende a bordo di un treno. È quel richiamo primitivo, instabile e contingente che pare abitare in ogni elemento della natura, fino a penetrare nella vita quotidiana dell’artista. È un’invocazione matriarcale chiamata ad allontanare il maschilismo dilagante che circonda la Prodger, intenta a comprendere come poter essere una giovane donna gay nella società di oggi. Con inevitabili incidenti di percorso.

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Mark Milan//Getty Images

Come quando, entrata nel bagno di un locale, qualcuno urla: "C'è un ragazzo nelle toilette delle ragazze!", oppure, a bordo di un traghetto Caledonian MacBrayne, una donna di mezza età la scorge dalla soglia della toilette esclamando: “Pensavo di essere entrata nel bagno sbagliato!” Un percorso costellato di amari, episodi, raccontati però con una narrazione estranea ad ogni risentimento: “tali incontri sono semplicemente inesorabili. È qualcosa che punteggia la mia vita quasi ogni giorno. È pervasivo, ed estenuante.”

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Mark Milan//Getty Images

Ciò che ha suscitato più scalpore di Bridgit, è il fatto che l’opera vincitrice del premio più prestigioso dell’Inghilterra sia un video girato con l’iPhone, strumento posseduto da milioni di persone in tutto il mondo, che nelle mani di Charlotte Prodger diventa supporto di un poetico videodiario che racconta la ricerca di un senso esistenziale. Ma guai a chi cade in fallo appiccicandole la banalissima etichetta di “iPhone artist”: “Non so usare WhatsApp e non so davvero cosa sia il Cloud” confessa Charlotte, con una vena di malcelata tecnofobia, al The Guardian “È la mia ragazza che si occupa di sistemare il mio telefono per me.”

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Mark Milan//Getty Images

Un crocevia di tematiche urgentissime che hanno inoltre contribuito alla sua nomina come rappresentante della Scozia alla prossima Biennale d’Arte di Venezia (che si svolgerà dall’11 maggio al 24 novembre 2019): un’occasione ulteriore per esplorare e presentare al mondo una visione della queer wilderness, una delle tante facce della cosiddetta “società liquida” che contraddistingue il nostro tempo.