“Meno del 5% degli artisti della sezione di Arte Moderna sono donne, ma più dell’85% dei nudi sono femminili”. Era il 1989 quando il gruppo di artiste Guerrilla Girls, con l’opera provocatoria Do women have to be naked to get Into the Met Musem? riempiva gli spazi pubblicitari di New York, dando vita a una bufera mediatica. Non si è ancora placata la voce della protesta (come dimostrato dal recente scandalo Weinstein o dai neonati movimenti di denuncia come #MeToo) ma, da trent’anni a questa parte, le donne sono effettivamente riuscite a varcare la soglia del museo, vestite. E soprattutto autorevoli, preparate, brillanti e propositive. Alla direzione di importanti istituzioni o nel ruolo di curatrici indipendenti, le storie di queste figure meritano di essere raccontate. E con loro, quel retrogusto di amore e lotta che caratterizza ogni conquista. Oggi parliamo di... Lumi Tan e The Kitchen.

Non è un ristorante gourmet, e neanche l’ennesimo canale di food tutorial, bensì uno dei più audaci spazi di arte contemporanea di New York. Fondato nel 1971 dalla coppia di artisti Steina e Woody Vasulka, il The Kitchen ha lanciato nomi ora di fama internazionale e ha profondamente influenzato le tendenze artistiche newyorkesi. La sua programmazione, da sempre visionaria, ha accolto nel tempo autori come Hermann Nitsch con i suoi riti orgiastici, Robert Mapplethorpe con le Erotic Photos - che sconvolsero il pubblico a causa del loro contenuto omoerotico - e persino i Beastie Boys, il gruppo rap che qui vi ha fatto una delle sue prime esibizioni. Il dato più stravagante è che tutte queste mostre-performance si svolsero nel primo spazio preso in affitto nel Greenwich Village di Manhattan, ovvero la cucina del Mercer Arts Center, da cui prende il nome.

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Oggi il The Kitchen si è trasferito in uno stabile nel quartiere Chelsea. Stesso nome. Stessi ingredienti. Ha bilanciato l’animo di ognuno dei suoi artisti per stupire il palato dei suoi visitatori, ma senza modificare la propria connotazione: come negli anni 70, non ospita solo mostre, ma anche spettacoli di danza, teatro, performance, video, film, eventi, conversazioni con artisti e circoli letterari.

In questa dimensione, fresca di un diploma cum laude alla Bryn Mawr College, la curatrice Lumi Tan ha mosso, otto anni fa, i suoi primi passi, facendo delle energie inesauribili del The Kitchen il nutrimento per la sua crescita professionale. Il suo approccio curatoriale si potrebbe definire “artista-centrico”, come racconta alla rivista americana Cultured: “Quando lavoro con artisti di qualsiasi livello e qualsiasi ambito, chiedo loro di dar vita a un progetto che sia il punto di svolta della loro carriera, per il quale The Kitchen possa costituire un’opportunità unica.”

Dopo la mostra collettiva From Minimalism into Algorithm, la sfida di quest’anno per Lumi Tan è On Whiteness: il progetto invita a riflettere, tramite mostre, simposi, talk e spettacoli teatrali, cosa si celi dietro al concetto di “bianco” nell’accezione comune. Ad aprire le danze è stata la prorompente Seung-Min Lee: seduta al centro del palco, all’interno di una piscina gonfiabile, la performance-artist si è fatta versare addosso diversi litri di latte, mentre al microfono pronunciava frasi come “Sono una persona davvero speciale. Sono un’asiatica eccezionale”, causando nel pubblico un misto tra divertimento e sconcerto. Il latte, tradizionalmente simbolo di purezza e candore, viene usato in modo provocatorio e sovversivo dall’artista: persino in quel melting-pot che è l’America, il bianco è ancora collegato allo standard, alla “normalità”, ed è espressione di potere e comando. On Whiteness ci ricorda quindi che la strada per la valorizzazione delle culture da sempre “marginali” e “secondarie” è ancora lunga. La lotta al razzismo, il femminismo e la parità di genere sono tematiche di cui NON si può proprio smettere di trattare, soprattutto quando a farlo è l’arte. Ancor di più quando a mediare il dialogo è una super-curatrice di origini asiatiche.

Lumi Tan ha un rapporto conflittuale con i social media: pensa che le performance trasmesse in diretta, diano sì, la possibilità di essere viste anche da chi non può essere fisicamente presente, togliendo però l’autenticità dell’azione vissuta dal vivo. Del resto, i social hanno incrementato notevolmente la promozione della sua figura e del suo operato al The Kitchen, e come racconta ancora a Cultured “Sono totalmente dipendente da Instagram”. La sua pagina la ritrae come una donna dinamica e solare, che divide il tempo tra impegni professionali e fughe d’amore con il marito Peter J. Russo, direttore della rivista culturale Triple Canopy.

Che si tratti di artisti, cantanti, scrittori o poeti, il percorso di Lumi Tan è una faticosa - e bellissima - scalata per la promozione di tutti quei soggetti scomodi che sono stati messi in secondo piano dalla storia occidentale, e ai quali la curatrice, grazie alla libera espressione creativa, vuole dare un’occasione di rivalsa.