Quando andavamo in aula noi (un "noi" che, preciso, non risale al Pleistocene), c’era poco da discutere. Gli insegnanti avevano ragione a priori, noi torto a priori, e un 4 era un 4. Da incassare, recuperare, e pure giustificare a casa. Adesso le cose sono cambiate, la scuola sembra un campo di battaglia, i docenti sono costantemente messi in discussione dagli studenti e dai genitori che oltre a polemizzare e sindacare arrivano - in casi estremi, ma che hanno occupato le pagine di cronaca - ad aggredire fisicamente. Da settembre a giugno di questi episodi ce ne sono stati 33 (ma si stima siano stati più del doppio) e di questi una buona parte ha avuto per protagonisti padri e madri che per un rimprovero, una punizione, un brutto voto sono passati alla violenza. Certo non si può generalizzare, ma di fatto l’alleanza scuola- famiglia si è frantumata. Ma quand’è che i rapporti si sono fatti taglienti?

Maria Teresa Serafini, docente di Scienza dell’educazione in corsi di formazione per insegnanti (all’Università degli studi Milano-Biccoca), pedagogista, una che ha insegnato per 32 anni, proprio alla relazione famiglia-scuola dedica il suo ultimo libro Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio (La nave di Teseo), un percorso in sette tappe in cui si analizza di tutto - tecnologia, colloqui, compiti a casa, valutazioni - affinché le due parti tornino finalmente a lavorare insieme.

Cerchiamo di ricapitolare. La situazione è davvero tesa? «Direi di sì», spiega Serafini. «Molti genitori reputano gli insegnanti inadeguati e gli insegnanti sono sul chi va là perché sanno che i genitori non sono contenti». Cos’è successo? «È cambiata la considerazione del ruolo dei docenti. Una volta erano un punto di riferimento. Adesso sono screditati».

Molti equilibri sono saltati, a casa e sui banchi. «E soprattutto, come sostiene la sociologa Chiara Saraceno», continua Serafini, «è cambiata la famiglia. Una volta famiglia e società avevano valori condivisi: consideravano importanti lo sforzo, la fatica. Adesso non è più così, mentre la scuola continua per definizione a reputare l’impegno fondamentale. E poi c’è la questione delle regole: i genitori hanno abbassato il livello delle richieste e il risultato è che spesso arrivano in classe bambini che rispondono male alla maestra perché sono abituati a farlo con i genitori. Noi possiamo fare molto, ma l’abitudine alla gentilezza, al rispetto, va imparata prima di tutto a casa».

Ci sono cose che le famiglie hanno perso di vista. «Per esempio che i voti indicano semplicemente che un ragazzo ha o non ha raggiunto degli obiettivi. Sono un invito a migliorare». Che esistono molti modi differenti d’insegnare e la cosa importante è rispettare quello del docente che si ha di fronte, mentre ora «ognuno pensa di essere un pedagogista». Che criticare un professore davanti ai figli non solo è deleterio per chi in quell’aula si trova tutti i giorni ma «danneggia anche i ragazzi, che hanno bisogno di crescere in un clima di valori chiari e condivisi».

O, per finire, che il compito della famiglia è fare da specchio e rafforzare il lavoro della scuola: il fine comune è sviluppare la personalità dei ragazzi, aiutarli a crescere, renderli autonomi.

Certo la scuola ha delle responsabilità. Certo non tutti i docenti sono illuminati, motivati, informati. Alcuni dovrebbero spiegare in modo più chiaro ed efficace la didattica, i problemi, le valutazioni. Ma ai genitori spetta il compito di ripensarsi. Eppure quando ci sono di mezzo i figli fatichiamo ad accettare un’autorità diversa dalla nostra. Perché?

Non ci sono risposte definitive, solo spunti e riflessioni. Come quelle che illuminano il libro Sono puri i loro sogni (Einaudi) di Matteo Bussola - scrittore, fumettista, speaker radiofonico e padre di tre figlie - che ragiona proprio su questo, ovvero sul perché «quella fra noi e l’autorità scolastica pare essere diventata una guerra».

Come ci siamo arrivati? «Abbiamo smarrito», spiega Bussola, «il rispetto per le gerarchie. Oltre al fatto che stimiamo e consideriamo pochissimo il ruolo degli insegnanti. C’è anche, secondo me, una malintesa idea di genitorialità che ci porta a credere che il nostro lavoro sia proteggere i figli da chiunque cerchi di metterli in crisi, dimenticando che le difficoltà sono elementi indispensabili alla crescita. Dovremmo rammentare che la ragione per cui mandiamo i nostri figli a scuola è aiutarli a sviluppare la loro responsabilità; invece vogliamo far loro da scudo, tenendoli al riparo da quello che serve loro di più. Stiamo allevando generazioni di bambini e ragazzi sempre più dipendenti da noi ma le dipendenze, di qualunque tipo e natura, sono sempre un problema».

Il senso di colpa produce danni collaterali. «Ci portiamo dentro», continua Bussola, «un grande senso di colpa perché per la vita che facciamo abbiamo sempre meno tempo da passare con i nostri figli. E proprio il nostro senso di colpa è quello che a mio parere può portare a quest’aggressività: ci rivaliamo su quelle persone che coi nostri figli invece il tempo ce lo passano. È come se volessimo riguadagnare la nostra posizione, perché sentiamo che ci sta sfuggendo l’autorevolezza. E arriviamo a fronteggiarci da avversari quando in realtà abbiamo a cuore gli stessi bambini, cioè i “nostri” figli e i “loro” studenti».

Un consiglio per migliorare la situazione? «Cominciamo a fare i genitori e lasciamo che gli insegnanti facciano gli insegnanti. Cerchiamo di capire che tra la partecipazione e l’invadenza la linea è molto sottile. Quello dei figli è un percorso e nel percorso ci stanno sbucciature, ostacoli, inciampi e che soprattutto attraverso quelli loro cresceranno. E questo ha a che fare con la mia personalissima idea di come essere genitore. Perché, contrariamente al sentire comune, secondo me un padre o una madre non devono stare un passo davanti al figlio, tentando di tenerlo al sicuro. Ma rimanere un passo indietro, per afferrarlo e aiutarlo quando cade».

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Courtesy Einaudi. Courtesy La nave di Teseo

Due libri per fare il punto e approfondire la questione. Sono puri i loro sogni, lettera aperta a genitori e ragazzi di Matteo Bussola (Einaudi). E Perché devo dare ragione agli insegnanti di mio figlio, il saggio della pedagogista Maria Teresa Serafini (La Nave di Teseo).