C'è una buona notizia. E molte cattive. Partiamo dalla prima: la terra non morirà. Soffrirà, cambierà, muterà, ma non scomparirà. La brutta notizia è che a scomparire potrebbero essere le condizioni per la vita umana. A questa si aggiungono la pessime notizie sulla temperatura della Terra che è aumentata di oltre un grado Celsius nell'ultimo secolo e sul 2018 che è stato il quarto anno più caldo della storia a livello globale e il primo anno più caldo in Italia. Non c'è più tempo da perdere: bisogna agire, tutti: gli stati con scelte politiche corrette e noi con i nostri stili di vita quotidiani.

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Courtesy Photo - Mauricio Lima //Disney+
I danni del cambiamento climatico. Il lago Poopo, secondo per estensione in Bolivia dopo il Titicaca, si è prosciugato nel 2015 per cause anche legate alle attività umane: riscaldamento globale e riduzione dei ghiacciai andini che lo alimentavano, siccità prolungate e derivazione di acqua degli immissari per agricoltura e imprese minerarie. Migliaia di persone che abitavano le rive, soprattutto pescatori, sono state costrette a migrare. Il lago si è in parte ricostituito nel 2018 grazie a piogge straordinarie.

Parte da questi assunti la mostra al Museo di Storia Naturale di Milano Capire il cambiamento climatico, realizzata in collaborazione con il Comune, Otm company e Studeo Group e aperta fino al 26 maggio: uno spazio narrativo ed esperienziale in cui i visitatori scoprono le cause e gli effetti attuali e futuri del riscaldamento globale, attraverso il linguaggio fotografico del National Geographic.

300 scatti realizzati da grandi maestri della fotografia (che da Milano poi verranno esposti a Napoli, Torino, Roma e in altre città italiane e straniere) ci raccontano le trasformazioni del pianeta dalla fusione dei ghiacci perenni che si riducano di oltre 400 miliardi di t0nnellate ogni anno, ai fenomeni metereologici estremi come le ondate di caldo o l'incremento di uragani e tempeste.

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Courtesy Photo National Geographic - Cristina Mittermeier
Orso polare malnutrito (Nunavut, Canada). L’Artico è l’ambiente più colpito dal riscaldamento globale: la temperatura media è aumentata di 4 °C in un secolo, e la banchisa - il mare ghiacciato su cui gli orsi polari vanno a caccia di foche – si è ridotta di un terzo in quarant’anni. D’estate gli orsi rimangono intrappolati a lungo sulla terraferma, dove non trovano più cibo, si indeboliscono e rischiano l’estinzione.

La mostra, però, non si ferma a mostrare i danni ma vuole farci capire i motivi del perché siamo arrivati a questo e, soprattutto, vuol spingerci ad agire. Tre, dunque, i livelli: esperienza emotiva, consapevolezza e azione.

La prima sezione è un'immersione dedicata alla bellezza del mondo naturale, flora e fauna compresa; la seconda parte serve per prendere consapevolezza dei danni che l'uomo con i suoi comportamenti ha prodotto, mentre la terza deve spingere ad agire, mantenendo, così la missione educativa tipica del museo di storia naturale sin dalla sua fondazione nel 1938.

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Courtesy Photo National Geographic James Balog
Il grande ghiacciaio Bridge (British Columbia, Canada occidentale) soffre le estati sempre più calde: si è ritirato di ben 3 chilometri in appena 12 anni tra il 2004 e il 2016, circa 250 m all’anno. La sua contrazione farà diminuire il deflusso d’acqua verso gli impianti idroelettrici del fiume Bridge, che oggi soddisfano la domanda elettrica di circa 350.000 abitanti.

«Il riscaldamento globale generato dall’uomo non è un’ipotesi per il futuro bensì un fenomeno già in atto. È da almeno 30 anni che conosciamo lo stato dei fatti, ma non abbiamo fatto nulla o troppo poco - spiega Luca Mercalli, Presidente Società Meteorologica Italiana e curatore scientifico della mostra - Basti pensare che l'Ipcc, the intergovernmental panel on Climate Change, l'ente delle Nazioni unite creato nel 1988 proprio per divulgare e mettere a disposizioni i dati sul cambiamento climatico, non è riuscito a far arrivare messaggi e comunicazioni alla gente. E non si è creata consapevolezza. Abbiamo perso 30 anni. Non è più una questione in cui credere o meno: è un problema reale che riguarda tutti. Anzi, come ha detto Antonio Cuterres, segretario generale delle Nazioni Unite, il clima è il problema più grande del nostro presente e del nostro futuro. E se non ci muoviamo in fretta quel grado Celsius diventerà ben presto molto più. Secondo gli studi potrebbe addirittura arrivare entro la fine del secolo a 5 grandi in più e allora sarebbe la catastrofe planetaria».

Come dire dobbiamo capire tutti - e subito, perché non c'è più tempo da perdere - l'impatto delle nostre azioni quotidiane perché la febbre del pianeta non salga al punto tale che possa mettere in discussione la vita umana. Perché il riscaldamento globale è già qui tra noi. E, purtroppo, il clima cambia rapidamente ma la politica troppo lentamente.

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Courtesy Photo - National Geographic - Brian J. Skerry
Iceberg in fusione ai margini dell’Isola di Baffin (Artico Canadese). Le datazioni al radiocarbonio di resti vegetali prelevati presso le fronti glaciali indicano che i ghiacciai della zona si trovano nelle posizioni più arretrate in ben 40.000 anni.

È dal 1992 che a Rio de Janeiro fu firmata da quasi tutti i paesi la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) che diede poi luogo al protocollo di Kyoto (1997) e all'Accordo di Parigi (2015). Eppure gli sforzi della politica non sono stati sufficienti. E questi cambiamenti hanno un impatto sempre maggiore su miliardi di persone, soprattutto chi vive nelle zone più povere, danneggiano la produzione alimentare e minacciando specie di importanza vitale.

Ovunque - prosegue ancora Mercalli - si registrano siccità, incendi, ondate di calore, alluvioni, fusioni di ghiacciai. Dobbiamo fare in fretta qualcosa: il futuro possiamo ancora guidarlo noi.
È uno sforzo senza precedenti ma con le leggi della fisica non si scherza. Per curare questa malattia non bastano pillole, bisogna cambiare stile di vita. E in questo senso la disciplina più refrattaria è l'economia. Eppure tutti dovrebbero capire che la crescita non può essere infinita. Come dice l'economista inglese Kenneth Ewart Boulding - ha concluso Mercalli: Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all'infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista».

È in gioco la terra, il nostro bene comune principale, quello che appartiene a tutti, quello che noi adulti stentiamo a difendere e per cui i giovani hanno deciso di muoversi.

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Courtesy Photo
Uno degli slogan creati dai giovani per lo sciopero del 15 marzo 2019.

C'è voluta una Greta Thunberg per sensibilizzare tutti.

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E per la prima volta nella storia, il 15 marzo 2019, c'è una sciopero mondiale di tutti gli studenti per il clima.

Info mostra: Dal 7 marzo 2019 al 26 maggio 2019
MILANO Museo di Storia Naturale di Milano, corso Venezia 55
ORARI: da martedì a domenica 9-17.30. Chiuso lunedì

Immagini e filmati sono del National Geographic.