L'indifferenza tele-civica

Quando la tv satellitare era ancora fantascienza, alla conclusione dell’anno scolastico per i bambini italiani iniziava l’indigestione mattutina di film in bianco e nero. La Rai dava fondo alle cineteche e le mamme, in attesa di transumare la famiglia nelle località di villeggiatura, ne approfittavano per tenere buoni i pargoli che si lasciavano ipnotizzare dallo schermo.

In un’epoca in cui non gettare le cartacce per strada e salutare cortesemente i conoscenti erano regole del comportamento comune, c’era da aspettarsi che, da grandi, i bambini avrebbero tratto grande giovamento da quelle vecchie pellicole dove le star anglosassoni facevano diligentemente la coda per salire sull’autobus. Di certo, non si poteva neppure immaginare di vedere qualcuno impegnato a scarabocchiarne i sedili col pennarello. Peccato che quell’indottrinamento passivo sia servito a poco. Anzi, attraverso gli anni Ottanta del famoso edonismo reaganiano, l’Italia sembra aver consolidato ancora di più la nomea internazionale di paese con tanta buona arte e moda, ma simpatica - mente diseducato e indifferente alla respublica. Se i messaggi negativi che passa la tv sembrano arrivare sempre a segno, cosa è andato storto nell’elaborazione di quelli positivi?

Pensieri, parole, azioni

«Molto più delle ore trascorse davanti alla tv valgono i riscontri. Sono i comportamenti coerenti degli adulti a imprimere un marchio permanente sulla personalità dei giovanissimi», spiega l’ex magistrato Gherardo Colombo, uno che ha molto a cuore la consapevolezza civica delle nuove generazioni e mostra le idee chiare su come fargliela raggiungere. Dopo il successo di Sei Stato tu? La Costituzione attraverso le domande dei bambini, scritto a quattro mani con l’insegnante-saggista Anna Sarfatti, Colombo è appena tornato in libreria (di nuovo con la Sarfatti) col manuale Educare alla legalità. Suggerimenti pratici e non per genitori e insegnanti (Salani). L’obiettivo è ambizioso: capovolgere la mentalità individualista degli italiani, o almeno quella delle generazioni a venire, evocando quello spirito di collettività che in Italia sembra un miraggio. Ma invece di lanciare scontati strali a salve contro l’audience adulta, l’investimento a lunga scadenza suggerito da Colombo e dalla Sarfatti punta tutto sui bambini, «perché con gli adulti è più difficile. Hanno una storia e delle scelte alle spalle che difficilmente rimetteranno in discussione. Molto meglio i ragazzi,che sono ancora da plasmare».

Il problema sorge però quando il bambino riceve segnali contrastanti dalle quattro fonti principali di(in)formazione: famiglia, scuola, amici e mass media. Con quali trascorre più tempo? Chi ha maggiore influenza sul suo futuro? Quanta confusione si crea in una mente ancora “morbida” quando sente la mamma lamentarsi dello zoticone che le blocca l’auto col suv in doppia fila, e poi lancia anatemi contro il vigile che ha multato il figlio maggiore, pizzicato senza casco in motociclo?

Dire, fare, rispettare

«Le parole funzionano quando sono coerenti con il comportamento, sia a scuola che in famiglia», dice Colombo, che a conferma dei valori che difende, ce ne parla al telefono mentre viaggia sui mezzi pubblici. «Da noi, invece, le regole valgono soprattutto quando devono rispettarle gli altri. Purtroppo, aspettarsi che il prossimo si comporti meglio di noi è una caratteristica nazionale, un segno d’immaturità di un paese che non supera ancora determinati fattori storici. In fondo, siamo uno Stato giovane, sottomesso per lungo tempo, schivato dal vento della riforma protestante che negli altri paesi ha imposto una riflessione di responsabilità ».

E mettiamoci pure la trascuratezza di cui ha sempre sofferto l’educazione civica a scuola. Ribattezzata Cittadinanza e costituzione, inclusa nell’orario di Storia, continua come la sua antenata a ritagliarsi un po’ di spazio solo quando capita. «Quando ero alle medie, negli anni 60, il libro di Educazione civica si apriva solo nei ritagli di tempo», racconta Anna Sarfatti. «Ci dicevano che si doveva prima completare il programma, cosa che non accadeva mai. L’errore, a mio parere, sta nel considerare questa materia una disciplina come le altre, e non prevalentemente trasversale, come di fatto è». Eppure, proprio oggi che molto sembra andare a catafascio, qualcosa comincia a cambiare. Non è solo una prevedibile voglia di bon ton, naturale conseguenza dei decenni di malcostume mediatico. Né la voglia di tornare alle care e vecchie buone maniere di un tempo. Forse c’è qualcosa di più.

Quei bei tempi di domani

Le iniziative fioccano. Gli Stati Uniti (già proiettati nel post-crisi) fanno le cose in grande, come al solito. Il gruppo Changemakers lancia un concorso diretto a genitori, insegnanti, presidi, studenti, in cerca della proposta del secolo che sviluppi una duratura empatia sociale nei bambini. Da noi, più capillarmente, la Capitaneria di Porto di Vasto, in Abruzzo, organizza incontri nelle scuole per insegnare ai più piccoli il rispetto del mare e il fair playnautico. I vigili urbani di Milano impartiscono lezioni di educazione stradale negli istituti scolastici. A Firenze, l’assessorato all’Educazione organizza “Le chiavi della città”, che comprende un ciclo di incontri con gli alunni delle elementari per spiegare il funzionamento di un’amministrazione comunale. «Siamo in una situazione di stallo, ma le possibilità di crescita ci sono», dice Gherardo Colombo. «Più che tornare ai bei tempi, però, direi che bisogna ancora “andarci”. Non ho un’opinione positiva dell’educazione passata: si educava e si educa soprattutto a obbedire, ma chi viene educato a obbedire non impara a diventare libero, a essere responsabile. È vero, uno Stato perfetto non esiste ancora da nessuna parte, la storia deve fare ancora tanta strada. Ma ci sono i proverbiali paesi scandinavi che ci battono sempre. Il loro senso della comunità è avanti anni luce, rispetto a noi».

C'era una volta un Bel Paese

Del passato, Colombo salva però l’insegnamento a menadito: «In Usa i bambini imparano gli emendamenti a memoria: insegnare ai nostri figli i primi articoli della Costituzione sarebbe un bel passo avanti. Come si fa a giocare a un gioco senza saperne le regole? Come si fa a stare insieme senza conoscere le regole della convivenza?». E in tutto questo, il divertimento c’entra? «Certo», risponde la Sarfatti. «Giocandosi impara a rispettare turni e regole, anche con sketch inventati al momento: “Facciamo che io ero il vigile e tu guidavi la macchina? Se andavi troppo veloce io ti facevo la multa…”. Ci si diverte e si sperimentano ruoli e situazioni. Ci sono poi tanti libri con messaggi educativi, come il classico Cipì di Mario Lodi (Einaudi Ragazzi), amato dai bambini. O l’intramontabile Cappuccetto Rosso, che impara a sue spese a non disobbedire. A me piace anche affrontare il tema in maniera paradossale, leggendo storie di bambini trasgressivi, tipo W la squola alé alé (Giunti Junior), che è stato scritto per ridere dei nostri errori e concordare poi il rispetto delle regole. L’importante è non sottovalutare mai lo svago, può insegnare molto».