Negli ultimi tempi in America, vuoi perché l’atmosfera generale dettata dal Coronavirus ha reso il terreno alquanto fertile, è tornato in auge il volume The Crying Book di Heather Christie (Goodreads Author), saggio del 2019, che la scrittrice quarantenne ha voluto interamente dedicare all’atto del piangere.
Originaria del New Hampshire, Heather Christie parte dal suo faticoso viaggio nella maternità per poi passare in rassegna le infinite declinazioni delle lacrime attraverso scienza, storia e sociologia.
A parte le disquisizioni prettamente tecniche, anzi chimiche, in cui l’autrice analizza minuziosamente la composizione delle lacrime (ad esempio la differenza tra acqua basale, irritante e psicogena degli occhi), uno dei passi più interessanti del volume è senza dubbio quello in cui si affronta la questione del cosiddetto “masochismo benigno”. Cioè quel curioso stato emotivo, comune a tutti noi, secondo cui le persone provano piacere nella tristezza. O meglio, nell’ascoltare un brano triste, nel vedere un film triste, nell’ammirare un quadro triste.
Il cinema è forse la forma d’arte che più di altre ha scandagliato l’universo dei singhiozzi e dei kleenex. Il volto emaciato di Renée Falconetti, la Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer, resta indimenticabile nonostante sia pensi trascorso quasi un secolo. Come da brividi resta il viso segnato dalle lacrime di Anna Karina nel film Questa è la mia vita di Godard, mentre al cinema guarda proprio il capolavoro di Dreyer. Anche la moda (ricordate la sfilata autunno inverno 2019-2020 di Gucci?) e la musica hanno approfondito il tema. Dalla Furtiva lacrima di Elisir d’amore di Gaetano Donizetti alla struggente Tears Dry On Their Own di Amy Winehouse; passando per l’intensa Drown In My Own Tears di Jeff Buckley e la trappissima Lacrime di Ghali: le sette note hanno scandagliato l'argomento da ogni punto di vista possibile
Paul Rozin, professore di psicologia all'Università della Pennsylvania, ha effettuato degli studi volti a stabilire perché l’essere umano spesso gode nel vivere l’esperienza della tristezza. Durante le ricerche ha inoltre stabilito che "l’arte è quella che più di tutti suscita nell’uomo questa sorta di passione masochista per lo struggimento".
In effetti la storia della creatività è tutta uno strabordare di immagini in cui il pianto è reso quasi un atto sublime. Il più grande maestro nell’arte di raccontare le lacrime è stato senza dubbio il fiammingo Rogier van der Weyden. La sua deposizione del 1438, custodita al Museo del Prado di Madrid, è uno dei capolavori indiscussi di sempre. Nella pala, che in origine faceva parte di un trittico, i volti sofferenti di Maria, della Maddalena e di San Giovanni sono segnati da rigoli di disperazione quasi tridimensionali. Quelle gocce sono dipinte ma sembrano sculture. Non si era mai vista una cosa simile prima di allora. Poi è stato Andrea Mantegna nel 1478 a raccontare le lacrime della Madonna nel suo capolavoro Il Cristo morto. E qualcosa di simile si vedrà più in là, nel 1640, nel quadro Il pianto di San Pietro, di Guido Reni.
È Dora Maar La donna che piange firmata da Pablo Picasso nel 1937 al culmine della passione cubista. Sarà l’unica delle compagne del pittore catalano che non sceglierà la via del suicidio. È ispirata a Lee Miller e alla fine della sua relazione con lei l’opera di Man Ray Larmes del 1932, dove il volto in primo piano di una donna è puntellato qua e là da fragili gocce di cristallo.
Anche The Crying Girl del 1963 di Roy Lichtenstein trae spunto dalla fine di un amore: quello fra il pittore e la moglie Isabel Wilson. Proprio a Lichtenstein si rifà oggi la californiana Anne Collier per dare corpo e anima alla serie Women Crying, dove le lacrime (soprattutto femminili) sono declinate attraverso dipinti, collage e immagini.
Per il nostro Francesco Vezzoli il pianto è invece estetica pura: tanto da far sgorgare gocce ricamate in lurex dagli occhi di stelle senza tempo come Joan Crowford, Sophia Loren, Maria Callas e Anna Magnani.
“Quali che siano le lacrime che si piangono, si finisce sempre per soffiarsi il naso”, diceva Simone de Beauvoir. Probabilmente la pensano allo stesso modo anche i protagonisti dello struggente progetto Crying Men firmato dall’inglese Sam Taylor-Johnson (allora si chiamava Sam Taylor Wood) nel 2004. All’epoca - era ancora caldo il ricordo dell’11 settembre - l’artista aveva chiesto ad alcune star di Hollywood di singhiozzare davanti alla sua fotocamera. Accettarono in tantissimi. Da Daniel Craig a Dustin Hoffman, da Benicio Del Toro a Robert Downey jr: nella serie della bionda Sam piangono tutti. Ma il ritratto che commuove più degli altri è quello di Robin Williams. Se me sta seduto, la testa retta dalle mani, e ha il viso scosso dalla sofferenza. Nessuno poteva immaginare che quelle lacrime raccontavano un dolore vero e profondo.