Usava la fotocamera come il lettino di uno psicanalista, Inge Morath, leggendaria fotografa austriaca del secolo scorso. “Fotografare - diceva - è un fenomeno strano. Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”. Lo ripeteva dieci, centro, mille volte al giorno. Era un mantra, un’ossessione. Perché Inge, alla fine, aveva capito la cosa più importante di tutte: che la fotografia era soprattuto un’affare interno.

A lei, il Museo Diocesano di Milano, dedica in questi giorni (e fino all’1 novembre), una mostra, che potremmo definire esperienziale. Perché le sale a pochi passi del naviglio sembrano trasformarsi nelle pagine del suo diario. Un tour immersivo in 150 lavori dove il suo lavoro si alterna ai successi e alle sconfitte, ai viaggi e agli amori. Come quello, famosissimo, con Arthur Miller, conosciuto sul set de Gli Spostati, canto del cigno sia per Marilyn Monroe che per Clark Gable, diretto da John Huston. L'autore di Morte di un commesso viaggiatore aveva scritto la sceneggiatura plasmando la figura femminile a immagine e somiglianza di sua moglie Marilyn. Che Inge, impegnata in un reportage sul set, ritrarrà delicatamente impacciata, mentre prova un passo di danza. Proprio durante quelle riprese, la fotoreporter si innamorerà di Miller, che nel 1962 diventerà suo marito. E con lui vivrà tutta la vita.

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© Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos
Inge Morath, Autoscatto, Gerusalemme, 1958

Nata nel 1923 a Graz, deliziosa città austriaca della Stiria, Inge in realtà si chiamava Ingeborg Hermine. I suoi genitori protestanti, erano due scienziati globe-trotter, chiamati di volta in volta dalle università e dai laboratori sparsi in giro per l’Europa. Fin da bambina frequenta ambienti colti, viaggia, legge. Poi si trasferisce in Germania, dove scopre l’"arte degenerata", quella che il regime di Hitler proprio non riusciva a sopportare. Per scandalizzare il popolo tedesco nel 1937 il fuhrer allestisce un’esposizione a Monaco. Ci sono tele di Kirchner, Emil Nolde, Max Beckmann. E Inge se ne innamora perdutamente. Studia lingue romanze all’università di Berlino e ama viaggiare. Attratta dalle culture diverse, impara a parlare correntemente il francese, l’inglese e il rumeno (a cui aggiungerà, tanto per non farsi mancare niente, anche lo spagnolo, il russo e il mandarino). Durante la guerra, la fabbrica in cui lavora viene bombardata e lei fugge (la leggenda parla di 500 chilometri a piedi) fino al confine austriaco. Tra il 1945 e il 1947 lavora per il Servizio d’informazioni americano come giornalista e traduttrice, a Salisburgo e Vienna. Il 1948 è un anno importante: Warren Trabant la assume come reporter per Heute e inizia a collaborare con il fotografo Ernst Haas. Inge scrive, Ernst fotografa. Il reportage che pubblica con lui nel ’49, dedicato ai prigionieri austriaci che tornano dai campi di prigionia sovietici, finisce nelle pagine di Life. Ma anche sotto gli occhi di Robert Capa, che invita Inge a Parigi dove sta per nascere l’Agenzia Magnum. Inge è al posto giusto nel momento giusto. All’inizio fa la ricercatrice. Nel 1951 sposa il giornalista Lionel Birch, da cui si separerà qualche tempo più tardi, e vola a vivere a Londra. Lo stesso anno scopre cosa vuole fare da grande: la fotografa. Tutto accade durante una gita a Venezia, che ritrae da ogni angolazione possibile. È una vera folgorazione. “È stato chiaro fin da subito che da qual momento in poi non avrei fatto altro che la fotografa”, scriverà. “Appena ho iniziato a scattare sono diventata subito felice. Sapevo che avrei potuto esprimere le cose che volevo dire, dando loro forma attraverso i miei occhi”. E il primo passo. Nel 1953 Inge firma il suo primo reportage dedicato ai “sacerdoti lavoratori”, entrando a far parte dell’agenzia come membro associato. Tra il 1953 e il 1954 conosce Henri Cartier-Bresson, che diventerà il suo nume tutelare. È lui che la converte definitivamente all’immagine, è lui che le insegna a trasformare in istantanee le proprie esperienze di vita. “Non avevo quasi mai preso una fotocamera in mano - ricorderà più avanti - Ma guardando il suo modo di ritrarre ho imparato a ritrarre io stessa”. Nel ’60, per diciotto giorni, accompagna il grande fotografo francese in un viaggio in auto che li porta da New York a Reno, nel Nevada, e quindi, fino al set degli Spostati. “Inge è una sacerdotessa della fotografia. Ha la rara capacità di penetrare oltre le superfici e rivelare ciò che rende il soggetto”, affermerà in quei giorni John Huston.

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© Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos
Inge Morath, Audrey Hepburn sul set di "Unforgiven", Messico, 1959

Nel 1955 diventa membro a pieno titolo della Magnum Photos. Sarà la prima donna in assoluto ad avere questo privilegio. Gli anni successivi viaggia in Cina, Russia, Austria, Regno Unito e Irlanda, Romania, Francia, Stati Uniti, Iran, Spagna, dove nel 1960, ritrae Lola, sorella di Pablo Picasso, e l’avvocatessa Doña Mercedes Formica, che si batteva per i diritti delle donne nella Spagna durante il regime di Franco. Le sue immagini sono descrittive e lasciano trasparire sempre una capacità di analisi. Non semplifica mai quello che è complesso, e non complica mai ciò che è appare elementare.

Ma Inge è speciale in tutto. Un esempio? Nel 1959, durante uno shooting sul set di The Unforgiven, di Huston, con Audrey Hepburn e Audie Murphy, accompagna il regista ed altri attori a una caccia all’anatra su un lago di montagna, in Messico. Mentre ritrae l’escursione vede Murphy fine in acqua. Lei, nuotatrice esperta, si spoglia nuda, si tuffa in acqua a salva l'attore, mentre nessuno attorno si accorge di nulla.

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© Fotohof archiv/Inge Morath/ Magnum Photos
Inge Morath, Un lama a Times Square, New York, 1957

Dopo il matrimonio con Miller nel '62, Inge si trasferisce definitivamente negli Stati Uniti. Diventa madre di Daniel e Rebecca (quest’ultima diventerà regista, attrice, e scrittrice e sposerà Daniel Day Lewis). Con il marito realizza diverse collaborazioni legate a viaggi in Russia e in Cina. “Viaggiare con lei è un privilegio, perché da solo non sarei mai stato in grado di scavare fino all'anima di quei luoghi in quel modo”, dice di lei Miller. Nel 1977 si trasferisce in Connecticut. Negli anni 80 e 90 realizza progetti indipendenti. Muore nel 2002 a Manhattan, che ormai l'aveva adottata.

Qualcuno ha paragonato Inge alla Oriana Fallaci dei primissimi tempi, quella delle interviste a Komeini, quella senza paura, sfrontata e intraprendente. Ma la definizione più bella di tutte gliel’ha data lo scrittore Philip Roth, immortalato da Morath nel 1965. “Inge è il voyeur più attraente, vivace e apparentemente inoffensivo che conosca. Se sei uno dei soggetti che vuole fotografare, senza quasi accorgertene, appena abbassi la guardia, lei afferra il tuo segreto prima che possa essere troppo tardi”.

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