Antipatico, solitario, scontroso, egocentrico, ribelle, geniale. Madames et monsieurs, voici Jean-Luc Godard! L’ultimo monumento del cinema europeo ci lascia a 91 anni, un secolo vissuto sempre “in direzione contraria e ostinata”, direbbe Ivano Fossati. Un maestro assoluto che, insieme ad altri cineasti ribelli come Truffaut e Rohmer, ha inventato dal nulla la Nouvelle Vague. Più che una corrente cinematografica, un modo di essere e di stare al mondo, che influenzerà generazioni di cineasti come Wes Anderson, Quentin Tarantino o Xavier Dolan. Sinonimo di ribellione ma anche iconografia sensuale della Francia e di Parigi, mai state più belle e seducenti dopo quell’esperienza.

Tutto inizia nel 1959 quando nei cinema esce Fino all’ultimo respiro. E ha l’effetto deflagrante di una bomba atomica. Tutto è apparentemente sbagliato: il montaggio, gli attacchi, la stessa struttura narrativa. Eppure funziona. Funzionano soprattutto i due protagonisti: Jean Paul Belmondo e Jean Seberg. Il film viene girato in quattro settimane, quasi sempre con una cinepresa a mano, quasi sempre senza un franco in tasca. Ma è un trionfo. Ne seguiranno altri. Ma a rendere Godard un mito totale e assoluto, non saranno solo le sue "trasgressioni" narrative. Un ruolo decisivo in questo cammino verso la leggenda lo avranno le donne.

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Jean Seberg e Jean-Luc Godard

La prima di tutte è proprio Jean Seberg, icona talmente forte da sembrare ella stessa francese. Lei che era nata nel Midwest, nel cuore della provincia americana, da una famiglia luterana. Alta un metro e sessanta, occhi grandi e labbra carnose, Jean ha rappresentato lo spirito libero del cinema d’essai degli anni Sessanta, incarnando i tormenti di una generazione che non è mai riuscita a darsi una definizione. Guardando il suo viso vengono subito in mente Parigi in bianco e nero, il fumo delle sigarette, le magliette a righe e quella iconica t-shirt con la scritta New York Herald Tribune. Ma Jean è stata soprattutto una donna fragile (se non lo avete ancora visto guardatevi Les hautes solitudes dove la telecamera di Philippe Garrel la inquadra per un’ora e mezza in silenzio svelandone tutta l’intensità e il dolore), meno epocale di Marilyn Monroe, con cui ha condiviso la tragica fine.

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Anna Karina e Jean-Luc Godard

Poi è arrivata Anna Karina (che in realtà si chiamava Hanna Karin Blarke Bayer, il nome glielo cambiò Coco Chanel), la grande musa della Nouvelle Vague. Danese, volto armonioso incorniciato da capelli scurissimi, sbarca in Francia per fare la modella ma viene rapita dal cinema. E soprattutto da Godard, che si innamora di lei. «Mi notò a Parigi, dove mi ero trasferita a 17 anni dalla Danimarca, già cantante di cabaret e modella in una pubblicità per la Palmolive, in cui recitavo avvolta in hollywoodiane bolle di sapone. Mi offrì subito una parte importante in Fino all' ultimo respiro: la rifiutai, perché prevedeva una scena di nudo”. Reciterà per lui ne La donna è donna, definito 'documentario su Anna Karina’. Il regista la sposa dopo le riprese del film. I due saranno lo stesso cinema per quasi tutti gli anni 60: lui regista e lei attrice. Girano in tutto otto pellicole. Poi, finita la scintilla artistica, finisce anche quella sentimentale (o viceversa) e divorziano nel 1968. “Jean-Luc non era solo mio marito, era mio padre e mio fratello, firmava per me i contratti perché ero minorenne, mi dava libri da leggere e stabiliva i tempi della mia formazione: Bernanos prima di Céline. Era tenerissimo ma anche capace di grandi sfuriate o di atteggiamenti incomprensibili. Usciva a comprare le sigarette e stava via per quindici giorni senza dare notizie di sé. Non credo che mi tradisse, andava magari in Italia o in America, tornava e diceva: fra tre giorni giriamo”.

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Jean Luc Godard e Brigitte Bardot

Brigitte Bardot è già una stella quando gira, in una Capri estraniante, Il disprezzo, uno dei grandi capolavori di Godard. In realtà il regista vorrebbe Kim Novak, ammirata in Vertigo di Hitchcock, ma “ripiega” (incredibile a dirsi) su BB. La scelta si rivela vincente. L’autore rielabora in chiave sperimentale il corpo di Brigitte Bardot, rendendolo non solo simbolo del desiderio sessuale maschile, ma anche esempio di bellezza raffinata, elegante che la porta a divenire un’icona intellettuale. Godard riesce a plasmarla in un emblema emotivo. I due funzionano talmente tanto che i giornalisti li chiamano Bodard et Gardot.

Marina Vlady rappresenta invece il grande rifiuto. Godard, che l’attrice definisce “un amico, un compagno timido, velleitario, ardente”, si innamora perdutamente di lei e la sceglie per girare Due o tre cose che so di lei. Il regista le chiede di sposarla, lei rifiuta. “Da quel momento in poi, - scriverà la Vlady nella sua autobiografia - Jean-Luc non mi rivolgerà più la parola”.

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Jean Luc Godard e Anne Wiazemsky

Chi invece diventerà moglie di Godard è Anne Wiazemsky. Originaria di Berlino, discendente diretta di una famiglia aristocratica russa rifugiatasi in Francia dopo la rivoluzione d’ottobre e nipote del premio Nobel per la letteratura François Mauriac, incontra il regista mentre sta recitando nel film A hasard Balthazar di Robert Bresson. È poco più che un’adolescente. Nel 1966 la ragazza compie 19 anni e scrive a Jean-Luc una lettera dove le confessa tutto il suo amore. Godard ha 36 anni, ha appena divorziato da Anna Karina la chiama al telefono, prende un aereo, noleggia un’auto e la raggiunge nel Sud della Francia. “Al momento di tornare a Parigi, mi prese tra le braccia”, racconterà poi Anne. “Mormorava che lasciarmi gli faceva troppo male, che non riusciva più a immaginare la sua vita senza di me, che che che…”. Il tutto dandole del lei. Entrambi vivono la relazione con grande trasporto, tanto che al momento del loro matrimonio semiclandestino in Svizzera, Godard tenta di convincere il sindaco che celebra il matrimonio di prendere lui il nome della moglie e viceversa. I due si tolgono 17 anni e fanno vite diverse. Lei prende ripetizioni di filosofia, lui gira due pellicole contemporaneamente; lei fa gli esami di riparazione e lui è così preoccupato che, benché ateo, si infila di nascosto a Saint-Germain-des-Prés per accendere una candela. Divorziano nel 1979.

“Sapeva essere odioso e stupendo”, dirà in seguito Anne.

Oggi, misantropo e inaccessibile, Godard vive come un eremita a Rolle, paesino a pochi chilometri da Ginevra in Svizzera. Accanto a lui, c’è Anne-Marie Mieville, artista multimediale e regista che il grande vecchio del cinema francese ha conosciuto nel 1971. Con lei ha collaborato a più di una decina di film che, guarda caso, spesso sono indagini nel cuore delle relazioni di coppia come Numéro deux (1975), Si salvi chi può (la vita) (1980) e Je vous salue Marie (1985). Un segnale inequivocabile che per monsieur Godard, vita e cinema restano indissolubilmente legati. Nonostante tutto. Anche a 90 anni.

swiss film director jean luc godard and his companion anne marie mieville are pictured at the hotel matignon in paris, on november 25, 1988 afp photo gerard fouet photo credit should read gerard fouetafp via getty imagespinterest
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Jean Luc Godard e la compagna Anne Marie Mieville