C’è solo una striscia di luci e intorno il nulla. In quel nulla, manco a dirlo, ci sono i più bei sogni americani. Las Vegas è ovviamente una città folle ma quello che ti lascia felice ogni volta che le passi accanto è che, tra hotel con acquari giganti, monumenti presi in prestito a mezza Europa (aggiungiamo anche l’Egitto dell’hotel Luxor) ci sono quei sogni americanissimi ancora in divenire. Sogni non per forza costruiti su tavoli da gioco. Partiamo per un viaggio a Las Vegas, la L.V che fu e che diventerà: si inizia con il battesimo, ovvero il dedalo di hotel a Las Vegas, enormi, che hanno cessato di accogliere tout-court e si dedicano al più raro dei momenti di frenesia viaggio/gioco/meeting ovvero il cibo. Si lasciano i neon iper moderni per tornare all’origine della Sin City, lontano dalle quattro miglia abbondanti della Strip: Downtown. Pezzo per pezzo, angolo per angolo: welcome to Las Vegas.

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Il cliché di Las Vegas (e l’inizio della Strip)

Il quartiere più bello di Las Vegas (che no, non ha a che fare coi casinò). Potremmo rileggere Paura e Disgusto a Las Vegas o riguardare Paura e Delirio a Las Vegas e immaginare Johnny Depp in tutte le salse MA lo schianto emotivo di Las Vegas inizia in quel vecchio quartiere dove fino a pochi anni fa nessuno voleva più metterci piede. Downtown Las Vegas sta diventando quello che è riuscito a Los Angeles: un museo a cielo aperto del passato della città. La Fremont è la strada che, previo maxi neon di una coppa Martini, introduce nei vecchi palazzi ora rivestiti di murales amorevolmente schierati ("figli" del Music Festival Life is Beautiful).

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Nella gentrification del quartiere di Downtown consiglio: innamoratevi degli N murales che cambiano volto ad antichi palazzi.

Non c’è parcheggio che non sia un set per video/ insta stories / insomma altri sogni americani da costruire in digitale. Alla fine della Fremont la vecchia centrale nucleare è incorniciata dal deserto del Mojave che cinge sempre e comunque Las Vegas. Le opere folli dei passati Burning Man capeggiano in giardini sul ciglio della strada.

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Dal vicino deserto californiano arrivano le sculture dei passati Burning Man

Prendetevi una pausa per mangiare da Oak&Ivy al Downtown Container Park (così chiamato per l’enorme scultura di mantide religiosa che si illumina di notte) e poi camminate alzando gli occhi tra cartelli/slogan, entrate nei 11h Street Studios, dove l’ex signor Moss, Jamie Hince, sta registrando il nuovo album. Entrate nella libreria di The Writer's Block quasi un piccolo tuffo a New York ma no, non confondiamo l’orgoglio del Nevada con la città meno americana d’America.

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L’ingresso del complesso ricreativo Container Park The Mantis

Prima di cena mettete il naso nella chiesetta/kitcherie di Elvis Presley dove si è sposato Jon Bon Jovi (e vuole che il mondo lo sappia): ci rimarrete un po’ male, strano che il King celebri matrimoni sul ciglio della strada. Per riprendervi dalla piccola delusione emotiva (ma non andarci è uno sfregio allo stesso King) tornate all’inizio della Fremont. Tempo per un drink totemico al Corduroy, dove tra alcove anni 70 e sale rosa ai bordi del bicchiere, vorrete fingere di avere visto Jim Morrison.

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L’interno super 70s del club Corduroy in Downtown LV

Downtown sta ricevendo investimenti per diventare la nuova Silicon Valley del Nevada: seguendo gli stessi principi che l’hanno resa la città più libera degli States. Ovvero: tasse bassissime, azzardi digitali, strutture fluide (dall’asilo allo spazio polifunzionale di Container Park passando per il nuovo ostello design), truck di tatuatori old school e negozi di giocattoli politicamente scorretti inclusi. Tra meno di due anni questa sarà l’arteria che se la gioca con la Strip? No, sarà un piccolo gioiello a sé con storie ben (più) preziose da raccontare.

La storia di Las Vegas in un luogo ma-gi-co. Il Neon Museum merita una mezza giornata tutta per sé. Vietato: prenotare una visita con guida (iper-necessaria) in tarda mattinata e primo pomeriggio perché il sole sembra accenderti come le lampadine che qui sono cimeli di storia contemporanea. A partire dall’edificio che ospita questo cimitero delle insegne che hanno “fatto” Las Vegas. Era un hotel stile messicano, ricostruito su volte effetto sombrero e rinato come museo nel cui cortile giacciono gigantesche scritte illuminate e illuminanti: c’è la prima insegna di un motel con tv in camera, c’è l’insegna della cappella nuziale, il maxi Aladino e i richiami esotici ai quali ambivano i casinò nei decenni passati.

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Ci sono le lampadine che friggono al sole tra insegne smaltate di rosa confetto, colore candido scelto per mascherare i primi luoghi del proibizionismo. Camminarci in mezzo è una macchina del tempo “chiavi in mano”. Usciti da qui guarderete la Strip con occhi diversi.

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Una delle scritte più recenti raccolte in questo archivio a cielo aperto: non tutte le insegne arrivano da Las Vegas ma anche dai casino e motel vicini.

Dove mangiare a Las Vegas. Lasciate ogni preconcetto voi che entrate: in LV. La cittadina del Nevada è tra le prime città al mondo per numero di convegni e se c’è qualcosa che i grandi meeting hanno lasciato è un azzardo culinario non da poco. Un brunch con degustazione di birre insospettabilmente buone? Al Fleur di Hubert Keller del Mandalay Bay. Un pranzo relax distaccati dal clamore esterno? Prenotate un tavolo nel giardino del Primerose nel complesso dell’MGM (menu super salutista e liberty, ehi siamo finiti a Las Veg?). Oppure, prego, recatevi al Gordon Ramsey Burger Restaurant e per cena osate l’impossible burger aka l’hamburger che sembra quello che non è (carne e invece sono s-o-l-o verdure).

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Fresco, con giardino esterno e piatti healthy: è il Primerose restaurant nel complesso dell’MGM.

Se siete di quelli saturi delle colazioni intercontinentali, se avete, nel tempo, abusato di melatonina da jet lag, prenotate un tavolo per il brunch più quotato della Strip: al Bacchanal Buffet del Caesar Palace si passeggia tra proposte gourmand dove qualunque provenienza (per la serie nostalgia di casa) viene celebrata con cucine eccellenti e porzioni equilibrate - rarissime per gli States. Poi, per la serie i cliché a Las Vegas NON esistono osate quello che un ottimo viaggiatore italiano non dovrebbe mai osare: infilatevi all’Osteria Costa al Mirage del cuoco italoamericano Michael LaPlaca. Insospettabile versione (buona) della focaccia di Recco, maccheroni alla Norma con tutta la passione sicula che non stonano, no, con vino bianco della Napa Valley.

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Quello che no, non ti aspetti da Las Vegas (e quindi DA PROVARE). Dormire in hotel grandi quanto paesi è una prassi in quel di Las Vegas, (dal The Venetian al Mandalay Bay il concetto di “huge” è incluso nel prezzo), passare dalle riproduzioni di Piazza San Marco, sentirsi in quel di Como aspettando gli spruzzi iper-scenografici delle fontane del Bellagio, e concedersi le montagne russe tra il finto-skyline di Manhattan è un tour obbligato (volontario o no).

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Ma ci sono dettagli folli di questo città da sbirciare dalla più alta ruota panoramica al mondo, la The Linq High Roller, ruota dove osservare l’immenso piccolo mondo di L.V ma dove concedersi anche un drink in quota o prenotare sessioni di yoga in cabina (please: andateci rigorosamente al tramonto).

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Quello che dovete regalarvi poche ore prima della partenza, dopo giorni di luci iper elettriche è un buen retiro alla spa dell’Encore Hotel. Un piccolo paradiso di quiete in mezzo alla città più tintinnante del mondo. L’effetto Versailles è tutt’altro che kitsch: è una super coccola. Mentre tutti stanno fotografando (in coda, why?!?!) la celebre scritta Welcome in Las Vegas (un filo deludente rispetto a quello che vi attende in città, lo diciamo?) seguite l’highway e lasciate la città per raggiungere un accenno di deserto e arbusti: qui vi attendono le Seven Magic Mountains, totem di pietra sprayata con colori fluo dall’artista svizzero Ugo Rondinone. L’effetto è quello di un reperto moderno di spiriti antichi. Se soffia il vento che solitamente agita i confini di Las Vegas l’effetto mistico è completo.

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Tutto molto chillax, quasi troppo? Bene, affondate le mani nella sabbia. Anzi no: visto che Las Vegas è una città dai cantieri perenni (per costruire ancora e ancora) prenotate un’esperienza iper attiva (e utile nella vita): il Dig This, esperienza che consiste nell’imparare i rudimenti di un’escavatrice (di diverse dimensioni: noi abbiamo provato la più mastodontica) e gestire manovre e piccole acrobazie, tutto guidando da soli (!) bestie da bracci metallici con i quali prendere una palla da basket e fare canestro. Provato per voi: è l’esperienza di auto-controllo e gestione della rabbia che vale quanto un corso di yoga antigravity.

Last but not least: GRAND CANYON in giornata (gran amore per la vita). Impossibile riassumerlo. Ognuno sorvolando sopra Grand Canyon, decide di cercare qualcosa di diverso. C’è chi nell’ondeggiare tra i venti e le rocce osserva il fiume Colorado spaccare di verde-acqua il rosso delle rocce, c’è chi si immagina i nativi americani che cavalcavano senza sella cavalli splendidi, chi vi vede lande di solitudine da percorrere in mountain bike. Se avete solo un giorno a disposizione cercate la compagnia Papillon raggiungibile a meno di mezz’ora di auto da Las Vegas e optate per il pacchetto completo che comprende trasporto in elicottero con guida, transfer in auto nei migliori spot (Eagle Point), pranzo con vista da vertigine. Vi è qualcosa di contemplativo e privatissimo in quelle lande aperte al cielo dove però nessuno osa disturbare, davvero. Sì, qui il rumore frastornante delle slot machine sparisce per sempre.

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