Da sempre, uno dei segreti meglio custoditi dalla musica classica è come essa riesca a organizzare, sotto forma di un linguaggio rigoroso e all’interno di un sistema di regole certe, una delle cose più illogiche che ci siano, più degli slip indossati sotto la retìna interna dei boxer da mare, perfino più dell’attuale dibattito nazionale sulle politiche estere: la difesa della cultura.

Per questo, non vi sembrerà un caso se, cercando l’angolo di Puglia migliore per assistere alla fine del mondo civilizzato, lo trovaste nei dintorni di Alessano, nella sua microscopica frazione di Montesardo, in una sera di fine agosto, quando ha inizio – appunto – il Montesardo, l’unico festival di musica antica del Salento. Barocca, per la precisione, come lo stile architettonico dei più celebri edifici sacri e civili della provincia; anche se, oggi, i salentini usano questa parola per lo più per riferirsi a un’omonima, ottima miscela di caffè 100% arabica, torrefatta a Lecce.

Il festival è chiamato così in onore di Gerolamo Melcarne, detto il Montesardo (alla Caravaggio, per il luogo in cui nacque, intorno al 1580), che fu un geniale eppure dimenticato piccolo Arcangelo Corelli locale, eclettico e cosmopolita, sul quale trovate una voce Wikipedia in inglese ma non in italiano. Da diciannove anni, come altre rassegne di questo tipo, il Montesardo è dedicato alla riscoperta, grazie a strumentisti e voci di grande rigore filologico e ancor maggiore coraggio esistenziale, di compositori e partiture misconosciuti o mai conosciuti, tra cui Melcarne, giustamente, farebbe la parte del padrone di casa, se solo ne avesse una.

Infatti, ciò per cui questo festival costituisce una vera eccellenza regionale, nazionale e internazionale, è certamente il modo in cui viene ignorato. Questo, non solo dalla maggior parte dei turisti che frequentano il suo territorio (e fin qui, se avete fatto un giro in tre in scooter a Gallipoli, non ci sarebbe di che stupirsi), ma anche dalle istituzioni locali, dagli abitanti locali, perfino dagli esperti di musica locali. Quando vuole essere molto generoso nei confronti di una terra che lo ha abbandonato, Doriano Longo, il demiurgo dell’Ensemble di Terra d’Otranto, che organizza il festival, sostiene che i salentini presenti alle iniziative del Montesardo siano sotto il 30%. Del resto, non si diventa violinisti barocchi senza essere dei signori.

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Normalmente, il modello di turismo culturale che il Salento propone è spiegabile con una semplice metafora sportiva. Un incontro di pugilato, con gli imprenditori che interpretano il ruolo degli allibratori, anche se il risultato è venduto in partenza, e turisti e cittadini al centro del ring, che se le danno di santa ragione, colpendo solo sotto la cintura. Quello che l’Ensemble di Terra d’Otranto ha in mente, al confronto, è una partita a scacchi giocata su una tavola di radica intarsiata rinascimentale, arbitrata da Garry Kasparov con la colite.

Per realizzare una visione del turismo e della vita che ponga rigore e bellezza al centro, quale migliore strumento della musica, per giunta barocca? Come ridare spazio allo charme normativo, al fascino nascosto dei valori positivi, alle seduzioni del rispetto reciproco, se non attraverso cembali e viole?

Allerta spoiler: la musica antica, contro i party in spiaggia, le prende sempre di santa ragione. Ah, le mazzate che prende Vivaldi da DJ Aladyn! Ma che meraviglia, in ognuna delle serate del Montesardo, fino a settembre, crederci sempre.

Prendete la prima serata dell’edizione 2018, nella chiesa madre di Montesardo, con full immersion nelle opere di Antonio Caldara (Venezia, 1670 – Vienna, 1736). Suonano: i Solisti Ambrosiani. Con 1369 anime, Montesardo è un luogo da “far sud est”. Pochi centri di ritrovo, di cui uno chiamato “Bar delle mutande” – chiaro segno di un’eccessiva propensione al cambiamento –, una serie di case e palazzetti di cui disfarsi il prima possibile, lungo la strada statale che attraversa il borgo per l’intera lunghezza e che porta a Santa Maria di Leuca. Eppure, è il paese più alto del Salento (180 metri sul livello dei vocalist): una piccola ma agguerrita roccaforte, che resistette ai Goti in guerra coi Greci, ai Greci contro i Saraceni, resistette alle truppe tedesche che l’occuparono durante la Seconda guerra mondiale, e oggi non smette di resistere all’avanzata dei nuovi barbari che hanno preso il controllo dei B&B. Non più con mura e fossati, ma con liuti e violini.

In effetti, la musica barocca sembra essere un repellente piuttosto efficace. Le prove non fanno in tempo a cominciare, che le strade si svuotano. La gente scompare nelle case, abbassando le tapparelle, come in un orecchiette western in cui il fuorilegge da temere non è un pericoloso bandito, ma la cultura stessa. Nessuno di questi strumentisti indossa un parruccone settecentesco, come se fosse uno di quei terrificanti musici buttadentro, vestiti da Mozart, che infestano i centri storici delle capitali festivaliere della musica classica. Tuttavia, i pochi passanti rimasti per strada, al di qua del loro cordone di insicurezza, li guardano come se fossero giovani amish venuti a trascorrere qui il loro periodo di Rumspringa. Il loro sacrificio, umano e professionale, continuerà ancora per diverse sere, che culmineranno con il concerto-presentazione della prima registrazione mai realizzata di componimenti del Montesardo, a cui seguirà l’uscita di un album, pubblicato da un’etichetta indipendente molisana, Baryton (sic), ma questa volta finanziato dalla Regione Puglia.

Per il paese circola solo quella sessantina di visitatori abituali del festival che, soprattutto da regioni come Veneto e Toscana, vengono al Montesardo ogni anno. Alcuni di loro hanno addirittura comprato casa nei dintorni. I più fortunati, nella vicina Salve, dove la chiesa di San Nicola conserva l’organo (un Olgiati del 1628) più antico della Puglia.

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Quando inizia il concerto, la chiesa madre – che pure è il teatro abituale di vite intere trascorse a battezzarsi, cresimarsi, sposarsi – sembra ormai un vascello pirata, con santi e madonne che sembrano gridare, sottovoce, all’arrembaggio della mediocrità. In un’epoca in cui i comandanti non solo abbandonano le navi, ma a volte non ci salgono neppure, quegli strumentisti – così eleganti e concentrati, mentre intorno a loro il Salento è sotto assedio – coi piedi puntati sulla loro navata, continuano a suonare, fedeli alla loro mission come lo sono i musicisti quando tutto sembra andare per il verso sbagliato; come l’orchestra del Titanic che affonda, ma senza perdere una sola nota per mare.

Quelle note, scritte per intrattenere l’aristocrazia asburgica, ma oggi alla portata di chiunque sia disposto a passare da Montesardo, all’ora di cena, un martedì di fine agosto, ci dicono una cosa molto chiara, facendosi portavoce di tutti i volti dipinti sulle pareti, di tutti i musicisti, di tutte le persone qui presenti e del pubblico da casa: “Non siate fighi. Essere fighi è la scelta del presente, non essere fighi è la scelta per l’eternità”.

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