Quando si arriva con l'aliscafo da Napoli, e si prende con una certa ansia la funicolare che condurrà diversi metri più in su, non si è preparati alla vista che attende chi guarda Capri per la prima volta. Eppure, al porto, la panoramica non si discosta molto da quelli che sono gli stereotipi accomunati alle località di vacanza marine, seppure isolane. I taxi, rigorosamente con capotte, hanno i colori dell'estate, arancio acceso o improbabili rosa; i gruppi vacanze sono forniti di tutto il necessario per un trasferimento in un altro Continente, famiglie con bambini e molteplici passeggini, napoletani che vengono in giornata per sbrigare qualche commissione – ci si immagina compravendite di ville incastonate nel Belvedere Tragara, anche se più banalmente potrebbe trattarsi di un rifornimento di fiordilatte per presentare in tavola, a cena, la caprese perfetta – giovani europei che qui cercano l'avventura made in Italy da serbare tra i ricordi, e tirar fuori ogni volta che si esagera con il vino al ristorante. Quando si arriva a destinazione, però, ci si ricorda perché, Capri è entrata nel lessico come tropo dell'eleganza estiva, riservata una volta ai ricchi e affluenti che qui venivano e si facevano vedere in Piazzetta, anche se per il resto si trattenevano su yacht e barche ancorate ben lontano dalla pazza folla del porto. Jackie Kennedy e Marella Agnelli, in quell'estate del 1962 nella quale viaggiarono tra Amalfi e Ravello, fermandosi proprio a Capri, accompagnate dall'Avvocato che suppliva al ruolo di consorte – John Kennedy era troppo impegnato alla White House con impellenti affari di Stato – si saranno sporte dalla stessa balconata sulla quale si abbarbicano piante rampicanti, guardando per la prima volta l'immensità di quel mare, blu profondo – quello sì, da cartolina e da réclame pubblicitaria con la voce di Achille Togliani in sottofondo – di un blu che, anche andando indietro con la memoria, non si ricorda di aver visto da nessun'altra parte.

Le tracce del loro passaggio, purtroppo, in Piazzetta non si vedono più: affollata di bar che la occupano lasciando uno stretto spazio per passare, il centro del mondo caprese si fa vedere qui, ma niente pantaloni Capri e foulard Hermès da indossare sotto gli occhiali, – alla maniera di Jackie quando qui ci passeggiava fianco a fianco con Valentino – ma piuttosto vestiti da grande soirée anche alle 10 di mattina. Certo, come ogni assunto, fatto per essere smentito, solo un paio di settimane fa un misterioso e affluente americano, che poi si scoprirà essere Lawrence Stroll, boss della Formula 1, ha dato per il suo compleanno una festa in stile Grande Gatsby a Villa Lysis. Sulla Piazzetta, quella sera, si sono fatti vedere, dispensando saluti come sui migliori red carpet hollywoodiani e pacche di spalle ad altri habitué isolani seduti ai tavolini, Michael Douglas e Catherine Zeta-Jones, Tommy Hilfiger in paglietta e completo a righe con la moglie Dee Ocleppo, bionda raffinata con il pedigree degli Hamptons nelle vene, e addosso un abito Rochas, carico di frange dorate come solo nei Ruggenti Venti.

Il guardaroba che mette d'accordo tutti, è però di certo quello costruito sul pizzo sangallo. Una religione alla quale ci si vota, appena messo piede sul suolo caprese, vergognandosi anche un po' di non essere arrivate abbastanza preparate: la mecca è quella dell'Antica Sartoria, che trabocca di clienti – che, a differenza di noi, impreparate, lo indossano già, e stanno forse rimpolpando la collezione – così come di bluse e vestiti e pantaloni unite da un solo, romanticissimo fil rouge (anche se la cromia principe, ovviamente, è il bianco). Chi è alla ricerca delle chicche, invece, si intrufola nel piccolo negozio di Y'AM Capri, brand nato dalla mente dell'autoctona e giovanissima Valeria De Gregorio, infanzia che corre tra i vialetti in pietra e laurea in Bocconi, che poi è tornata a casa per realizzare quel sogno, fatto di vestiti in cotone piquet e gonne a ruota, che guardano agli Anni 50 senza cadere nella nostalgia. Tra secchielli in paglia e jumpsuit in pizzo sangallo, crop top e chemisier a righe, i pezzi sono perfetti per Capri, ma si potranno indossare anche di ritorno dalle vacanze.

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Chi predilige camicie floreali, stampate, eclettiche ma über-chic troverà pane per i suoi denti da Laboratorio Capri, ab originem Sartoria Gigino. Oggi i figli del sarto, Michele e Augusto, selezionano artigiani a km 0, capaci di reinterpretare quel gusto shabby chic connaturato ai Sixties. E ci riescono, se sono in pubblicazioni sinonimo di quella filosofia, come Town & Country e se n'è innamorata Linda Fargo, vice-president del dipartimento moda donna di Bergdorf Goodman, esportandoli così a New York, e direttamente nei guardaroba di tutte le Blair Waldorf degli anni dieci.

Più che di negozi, però, l'identità caprese in equilibrio tra eleganza ed eccessi, si costruisce per i suoi luoghi, case e ville e hotel le cui pareti hanno visto anche la storia dell'Europa dipanarsi di fronte ai loro occhi. È il caso del Grand Hotel Quisisana, costruito verso la metà dell'Ottocento, dal medico Sidney Clark, che pensava fosse il luogo ideale, con il suo clima e la brezza gentile, per farne un sanatorio. In realtà, più che di ammalati, le sue camere si popolarono di turisti, tanto che lo stesso Clark, ad un certo punto cambiò insegne al posto, trasformandolo in una pensione. Alla sua morte, come nei migliori romanzi di formazione, fu un giovane maggiordomo ad acquisirlo (quel maggiordomo, poi, Federico Serena, sarebbe diventato sindaco di Capri). Molti passaggi di proprietà dopo, e oggi in mano ad una famiglia del posto, i Morgano, la narrazione del Quisisana è un vocabolario ricco di aneddoti e vezzi, come quello di Frederich Krupp, magnate tedesco dell'acciaio, che per velocizzare il percorso tra i suoi due yacht ormeggiati a Marina Piccola e l'hotel, si fece addirittura costruire una via ad hoc (ovviamente via Krupp). Tra i letterati di qui si fermavano Hemingway, Somerset Maughn, Sartre e Gadda Conti, mentre Pablo Neruda stava più per i fatti suoi, anche perché a Capri ci era arrivato in quanto espulso da Napoli per le sue simpatie comuniste, invise al governo cileno degli Anni 40, e comunque aveva ben altro da fare, che farsi vedere al Quisisana. Qui visse infatti la sua storia d'amore con Matilde Urrutia, nella cornice di Casa Arturo in via Tragara, dove era ospite dell'amico Edwin Cerio. Di quel periodo rimangono, eterne, alcune sue poesie (Chioma di Capri su tutte), dedicate alla magia di quel posto, e all'incantesimo sentimentale con Matilde. Lontano dalla vita sociale, secondo il poeta il modo migliore per entrare nello spirito caprese, era “cercare le osterie di vino buono e provare le olive nelle botteghe”.

Al Morgano Tiberio, invece, enclave dell'hospitality sempre di pertinenza dei Morgano, ci andavano le teste coronate, come Margaret d'Inghilterra. E proprio sulla sua testa, si costruì lo scoop dell'estate, quando la giornalista Camilla Cederna scoprì che la reale indossava bigodini in cuoio – e poteva andare molto peggio, considerato che la milanese Cederna fu autrice di un libro su Giovanni Leone (Giovanni Leone: la carriera di un presidente), allora Capo di Stato, che fu determinante nel convincerlo a dimettersi (poi fu condannata per diffamazione con multa salatissima e e le copie del libro andarono distrutte). Più interessante e sintomatico di una certa furbizia italiana fu però il modo nel quale Cederna eluse la sorveglianza di Scotland Yard: ubriacando le guardie di vino, e si immagina, molte parole. Altra tappa obbligata (oggi affittabile per eventi) è quella Villa Lysis, sede del party che ha già segnato a fuoco l'estate 2019. Costruita nel 1905 in stile Art Nouveau dal poeta e barone Jacques d'Adelswärd- Fersen – che qui dovette riparare dopo essere stata cacciato dai saloni buoni di Parigi per un brutto scandalo che coinvolgeva sesso e ragazzi troppo giovani – il nome è un riferimento a Liside, dialogo socratico sull'amicizia e sull'amore omosessuale. Scale di marmo, stucchi, terrazze panoramiche che guardano al golfo di Napoli o al Monte Tiberio, lounge con maioliche e ceramiche, e la camera dove Fersen fumava l'oppio, il posto è carico di aneddoti, di cui non molti possono essere raccontati. Qui Fersen visse, tra i giardini di mirto e alloro, omaggio a Venere, con il suo amante, Nino Cesarini, giovane e bellissimo, tanto da esser stato fotografato da Paul Hoecker e trasformato in statua prototipo della bellezza maschile da Francesco Jerace. Sinonimo stesso della Capri da romanzo, abitata da personaggi che sembravano usciti da un libro di Oscar Wilde, il barone Fersen scelse di suicidarsi sciogliendo troppa cocaina in un bicchiere di champagne. Dopo vari capitomboli e passaggi, il declino e la decadenza, la villa è stata acquistata nel 2001 dalla municipalità di Capri, che l'ha riportata agli antichi splendori.

Le case più belle, però, si vedono anche dal mare, sempre che si abbia il fiato per arrivarci: da Luigi ai Faraglioni, ad esempio, oltre a mangiare nel ristorante annesso allo stabilimento balneare, una succulenta pasta alla Nerano (spaghetti, zucchine fritte e provolone del Monaco), il sentiero d'accesso è una panoramica mozzafiato sul luogo. Al ritorno, però, prima di farsi riparare dagli alberi e stordire dal frinire delle cicale, il sole picchia sulla salita, tanto che, arrivati in cima, con molta praticità, è disponibile un defibrillatore per rianimare chi il fiato l'ha perso per lo sforzo fisico. Poco distante, un carretto perfettamente adornato, vende granite di limone a prezzi esagerati, e che comunque sembrano onesti, considerata la fatica appena compiuta. Inclusa nel prezzo, la performance musicale della sua tenutaria, che, a richiesta, esegue brani della tradizione napoletana, da O' sole mio a Malafemmena. Chi, appunto, arriva da Luigi, buttandosi nelle sue acque blu, scorge abbarbicata sui monti, la casa bianca del dottore dell'isola, e chissà come si fa, a rispondere alle emergenze da lì, forse meglio recarsi direttamente da lui, e farsi offrire magari qualcosa di dissetante. Se però si prende, come è necessario, una barca per una gita al largo – e per l'obbligatoria tappa alla Grotta Azzurra, evitando chiassosi vicini di natante già ubriachi per ora di pranzo – ad un certo punto dagli scogli appare quella casa rossa, lunga 54 metri e larga 10, con i gradoni che salgono fino al soffitto, e omaggio alla chiesa di Lipari dove il suo proprietario fu esiliato da Mussolini. Casa Malaparte – ancora oggi abitata dai discendenti dello scrittore nato Suckert e figlio di un tintore sàssone trapiantato a Prato – era, secondo Bruce Chatwin, una delle case più strane del mondo occidentale. Chiusa, chiusissima, al pubblico chiassoso e però aperta per eventi e collaborazioni specialissime, e molto rare, o per soggiorni di architetti come Piano e Castiglioni, la costruì lo stesso Curzio, non architetto ma uomo d'ingegno e gran gusto. Qui vennero i napoletani infuriati, a urlare ai cancelli per quel ritratto non troppo lusinghiero che lo scrittore ne aveva fatto in La pelle, qui si sono ambientati Il Disprezzo di Godard e La pelle di Liliana Cavani – film tratto dal libro nel quale la parte di Curzio è affidata al più bello di sempre, Marcello Mastroianni, e però ci sono anche Burt Lancaster e Claudia Cardinale.

Di opere architettoniche realizzate da architetti – comunque, va detto, molto eclettici – c'è l'hotel Punta Tragara, che il suo iniziale proprietario privato, l'ingegnere lombardo Emilio Errico Vismara, aveva denominato “stracasa”, per quella sua tendenza ad andare oltre la funzione abitativa. Villa sul mare con vista Faraglioni, a seguirlo nell'impresa è Le Corbusier, che la considerava una “fioritura architettonica, emanazione della roccia, filiazione dell'isola, un fenomeno vegetale”. Negli stessi anni nei quali Curzio Malaparte milita nell'esercito durante la seconda guerra mondiale, qui si sistema il comando americano, capitanato dal futuro presidente Eisehnower, anche se pure gli inglesi in quota governativa hanno molto amato, uno su tutti Winston Churchill. D'altronde, non si può dar loro torto: quella terrazza minimalista in cotto, che si fa modesta per non rubare spazio ad un panorama senza pari, e quella piscina invece costruita ad anfiteatro a picco sul mare, sono state immortalate pure da Slim Aarons, fotografo capace di raccontare con le immagini l'inarrivabile eleganza dell'high-society di tutte le latitudini.

Per respirare ancora oggi quell'atmosfera, evitando la Piazzetta e le epigoni senza grazia di quello stile invece elegantissimo, che sembrano aver sbagliato tempistica, o forse isola – a Ibiza o Formentera risulterebbero infatti adeguate assai – ci si può rifugiare da Capri Rooftop per l'aperitivo o da Il riccio per una cena al tramonto, i tavolini e le sedie azzurre con i lampadari in paglia sono apprezzati pure da Michael Fassbender. Parte dell'Hotel Capri Palace, il ristorante pieds dans l'eau, sistemato proprio sopra la Grotta Azzurra, gode di una stella Michelin nel cv, e di un cielo molto più stellato appena più su. Chi dopo la cena con spaghetti alla chitarra con ricci o medaglioni al merluzzo ha spazio per il dolce (ed è consigliabile averlo) viene condotto nella Stanza delle tentazioni, il paradiso delle maioliche capresi e degli zuccheri: babà al rum, torte capresi e sfogliatelle diventano improvvisamente meno peccaminose, quasi salvifiche, se mangiate qui.

Atmosfera spartana, e però autentica, aleggia invece a Le grottelle, situato in posizione agevolata, sopra la grotta di Matormania. Nessuna pretesa, i tavoli sono in legno e il servizio sportivo, nel senso migliore del termine: prima di accomodarsi al proprio posto, si fa un po' di panchina, su delle sedie poco distanti, mentre il palato viene stuzzicato dal vino frizzante e dalle focacce con sale e rosmarino. Guardando dai tavoli quella luna rossa che domina sul mare placido, e che sembra di velluto blu, si capisce perché, negli anni, Capri ha avuto così tanti amanti, e pochi, ma indimenticabili amori: bella di una bellezza sfacciata, e però in fondo di un'aristocratica riservatezza da dama napoletana, penetrarne il mistero, e scoprirne la vera luce, lontano dal fragore delle barche in rada e dal chiacchiericcio incessante e vuoto della Piazzetta – così come dai ritmi danzerecci che continuano ad arrivare dall'Anema e core, comunque tappa obbligatoria – non è impresa semplice. Ma con la pazienza, rispetto sul filo della devozione religiosa, e, ovviamente, una certa dose di fortuna, per un attimo, forse, si riuscirà a comprendere perché il barone Fersen – contraltare in carne e ossa del Dorian Gray di Wilde – nobile di schiatta finissima, attentissimo alla forma quanto alla sostanza, scelse questo posto per mettere fine ad un'esistenza vissuta ricercando, senza posa, la bellezza.