A Doha dopo i mondiali di atletica – vissuti con qualche protesta, date le temperature che hanno costretto a gare in notturna, e che comunque, stazionando sui 30°, hanno fatto desistere alcuni dal partecipare, mentre altri, più coraggiosi, sono stati portati fuori dalle piste in barella – nel 2022 si terranno quelli di calcio, passione di una nazione, e soprattutto dei suoi regnanti. La capitale del Qatar è oggi un cantiere silenzioso, ma molto operativo, dove, da un giorno all'altro, nascono nuovi stadi e fermate della metro – novità assoluta per un paese poco abituato ai trasporti pubblici ma costretto a fronteggiare, così come gli altri, il riscaldamento globale.

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Uno scorcio di Katara, il villaggio culturale al centro della città, zona di caffetterie, souq del libro e di concerti


Ma cos'è, oggi, il paese vicino di casa degli Emirati Arabi e Arabia Saudita, con i quali spesso, nella mente degli europei, è accomunato? Non deve ingannare la sua grandezza, simile a quella dell'Abruzzo e minoritaria rispetto a quella dei cugini – e non è un modo di dire, visto che l'emiro regnante, Tamim bin Hamad al-Thani, è cugino diretto del proprietario del Manchester city, Manṣūr bin Zāyed Āl Nahyān, a sua volta fratellastro dell'attuale emiro degli Emirati Arabi – perché il Qatar, secondo le classifiche di benessere stilate solo l'anno scorso, è il paese più ricco al mondo. Nell'orbita dei Tg nazionali e dei magazine modaioli – e di conseguenza, di buona parte della popolazione italica – questo paese è però arrivato nel 2012, quando il padre dell'attuale emiro, Hamad bin Khalifa, acquistò, mettendo sul tavolo 700 milioni di dollari, l'intera maison di Valentino. Investimento folle, dissero all'epoca, che l'emiro stava pagando 25 volte la redditività dell'azienda, sicuramente, dicevano i giornalisti di settore spettegolando come comari sul sagrato della chiesa, un regalo per la seconda di tre mogli, e l'unica che l'Occidente conosca, l'amatissima Mozah bint Nasser al-Missned, capace però anche prima dell'acquisizione, di gareggiare in eleganza e raffinatezza con Rania di Giordania e Letizia Ortiz di Spagna. Dopo diversi anni, gli analisti hanno dovuto ingoiare le previsioni e dar ragione all'ex-emiro e a Mozah, che pare sia la sua consigliera in materia di investimenti: il marchio, solo tre anni dopo l'acquisto, valeva 1,5 miliardi. Nel frattempo, Hamad ha acquistato anche lo storico Hotel Gallia a Milano, e molti resort in Costa Smeralda, mentre il figlio, salito al trono a soli 33 anni, sei anni fa, si è inserito nel suo solco, acquistando circa il 60% dei progetti immobiliari che affastellano la zona di Porta Nuova, sempre a Milano, e, per passione, la squadra di calcio del Paris Saint-Germain (anche se, quando viene in Italia, tifa Lazio, ha ammesso). L'entusiasmo del paese, e dei suoi abitanti, che ti fermano per strada per magnificarti progetti e ambizioni future – è successo davvero a chi scrive – è forse dovuto al fatto che, di avere il petrolio, il Qatar l'ha scoperto molto più di recente dei vicini di prima, dai quali veniva un po' sbertucciato, per quel deserto secco. E invece, tra gli Anni 60 e i 70, quel deserto ha iniziato a zampillare oro nero, trasformando una popolazione nomade in un popolo che ha messo radici, proprio a Doha.

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La vista su West Bay, e la skyline di Doha

Al netto di queste informazioni ci si imbarca su un volo Qatar Airways, cercando di evitare gli stereotipi e gli schemi con i quali gli europei sono soliti congedare i paesi dell'area mediorientale. Il tempo di chiedere all'efficiente personale di bordo un succo d'arancia, sistemare la valigia nello scompartimento, e ci si accorge della novità, quella della Q Suite, da poco introdotta dalla compagnia in business class su una serie di voli a lungo raggio, compreso quello che, da Milano, ci porterà a Doha. I pannelli modulabili intorno al sedile consentono di avere una totale privacy, oppure di allargarsi, costruendo letti matrimoniali per le coppie, o trasformarsi in salotti a 4, organizzando riunioni di lavoro, a migliaia di metri d'altezza. Saranno più stakanovisti di come ce li eravamo immaginati, questi qatarioti? Nell'insicurezza, si chiude il pannello intorno a noi, non prima di aver sorriso con lo sguardo ad una giovane coppia mediorientale, che opta per la "soluzione matrimoniale".

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Sol Polo
Il deserto fuori Doha

La nuova Doha inizia a Msheireb, il downtown della città dove sorgono hotel e ristoranti ed è nelle fasi finali il progetto, patrocinato dalla sceicca Mozad, di trasformazione di un'area dove nell'antichità abbondavano pozzi e fontane, e costituiva il mercato cittadino. Quella che, entro il 2022 sarà la più grande smart (e green) city al mondo, con linea di tram elettrico corredata, è stata costruita di modo che i suoi edifici si regalino, generosi, un'ombra vicendevole, a seconda della rotazione solare, e il vento del nord riesca a spirare agevolmente tra i suoi viali, arrivando fino alla piazza principale, dove sorge il Mandarin Oriental, nuovo arrivato in città.

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Il Mandarin Oriental a Doha

Su una piazza coperta da pannelli che lasciano passare i raggi solari, croce e delizia degli abitanti per i quali il bene più prezioso sono le zone d'ombra, a stupire è la raffinatezza sottotono del quartiere, così antitetica rispetto alle sontuose pacchianate che abbondano invece negli Emirati Arabi, garrula dimostrazione di una ricchezza sempre esibita con ben poca eleganza. Non stupisce quindi, che il Mandarin abbia deciso di piantarsi saldamente qui, e non su quella West Bay tutta grattacieli luccicanti e dalle forme improbabili. Tra 123 stanze e 35 suite (se ne visita una che, tra bagni in marmo e piscina privata, accontenterebbe le richieste di un emiro raffinato, come si immagina sia l'attuale reggente) le dimensioni dell'hotel sono importanti, adatte a una città che si prepara a quei Mondiali di calcio del 2022. A stupire chi scrive, banalmente, è però la piastra che campeggia in camera, accanto al phon: un lusso, e però estremamente pratico. Nell'architettura – pensata dallo studio di David Collins – il posto è fedele al lascito del quartiere: toni neutrali, nessuna concessione all'eccesso, e però piccoli dettagli a ricordare a chi arriva, dove ci si trova. Le curve, leit motiv decorativo in metallo presente nelle stanze e nelle zone comuni, altro non sono che le dune del deserto poco fuori dalla città. Un avamposto immenso sulla metropoli, non ancora del tutto completato (a breve apriranno tutti e 4 i ristoranti al suo interno, aperti anche al pubblico) e dove però tutto è sempre serenamente silenzioso, come nell'attesa costante dell'ora del tè, cerimonia qui sacra, che si svolge alla lounge del Baraha tra dolci al pistacchio e varianti introvabili della bevanda. Per chi predilige la cucina mediterranea c'è l'Izu, dove è obbligatorio provare il club sandwich, mentre chi ama la cucina cantonese andrà al Liang, e sul terrazzo aprirà l'Aqua, dove guardare la skyline dalla piscina sorseggiando dei cocktail – beneficio non scontato in una città dove spesso i bar sono "dry", e quindi sprovvisti d'alcool per rispettare la religione islamica. Un'offerta completa e internazionale in una città che, va detto, sulla cucina è osservante della tradizione e concede pochi vezzi alla modernità.

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Le mezze, classico antipasto arabo, servite all’Izu, ristorante mediterraneo all’interno del Mandarin Oriental

A soli 10 minuti di macchina da Msheireb, si arriva nella nuova cattedrale della cultura qatariota, il Qatar National Museum, inaugurato in pompa magna questo marzo, con cerimonia alla quale sono accorse celebs e personalità da ogni latitudine: c'era Naomi Campbell che si faceva dei selfie sullo sfondo dell'architettura costata 343 milioni di euro, e costruita da Jean Nouvel (anche lui presente, ovviamente), Johnny Depp, Virginia Raggi, Carla Bruni e Sarkozy, Cindy Bruna con Isaac Mizhrai, Diane Von Furstenberg in posa con le amiche Victoria Beckham e Natalia Vodianova. Non mancava neanche l'emiro Tamim, sorridente e accompagnato dalla sorella Al-Mayassa: nessuna donna al suo fianco, nonostante abbia già le tre mogli di rito. In realtà, forse, sua madre Mozad è la regina del popolo incontrastata, impossibile da sostituire con una regnante più giovane, in quanto sinonimo di una donna che si è laureata in Sociologia, e non ha mai accettato di stare all'ombra di un uomo, anche se era quello di cui è sempre stata innamorata.«Quando dobbiamo parlare sono io che vado nel suo ufficio. Io ho tutto il tempo del mondo, è mia moglie quella sempre impegnata», raccontava l'ex emiro, qualche tempo fa, in un'intervista al Time, dando la misura nella quale Mozad, che pure dovrebbe ufficialmente essere in pensione, ricopra insieme al marito incarichi diplomatici, lasciando al figlio prediletto Tamim la guida del paese.

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PATRICK BAZ//Getty Images
Il museo nazionale del Qatar, aperto questo marzo e costruito dall’archi-star Jean Nouvel

Oltre la parata di celeb, c'è però un museo che sembra nascere dal deserto, e che infatti nei suoi volumi dolci e decisi insieme, si chiama Rosa del deserto, e racconta la storia difficile e però a lieto fine di un popolo che viveva della pesca delle perle – mestiere periglioso e difficile – e su cui è caduto l'oro nero proprio dopo che un giapponese aveva avuto la bella idea di inventarsi le "perle d'allevamento", rendendo quella fatica sostanzialmente, ormai, inutile. Il loro abbigliamento, le abitudini, la caccia con i falconi e la loro storia, sono mostrati in un museo grande e sobrio, anche attraverso corti cinematografici i cui addetti alla fotografia e agli effetti speciali dovrebbero ricevere degli Emmy, per la qualità del prodotto finale. Da non saltare, però, anche la tappa al Mia, il Museo dell'arte islamica, che racconta 1400 anni di storia, e a cui si aggiungono mostre temporanee, come l'attuale Set in Stone, che annovera più di 100 pezzi di gioielleria provenienti dalla corte reale indiana, l'unica che può gareggiare in luccichio di perle e zaffiri con il Qatar.

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L’Inland sea, il mare che si fa strada nel deserto del Qatar

Il richiamo del deserto, però, è ineludibile per chi arriva dall'Europa, soprattutto in vista di un orizzonte diverso al quale i deserti abituano: tappa obbligata – da raggiungere in jeep con solerti qatarioti nella classica tunica total white, elegantissima e pratica alleata di ogni uomo del paese, capace di regalare distinzione senza sforzo, alla pari di un little black dress – è quella del Khawr al Udayd, uno dei pochi Inland sea esistenti. Il mare, così si innalza di livello, e raggiunge aree centrali, persino il deserto: in questo caso, è il confine naturale con i cugini dell'Arabia Saudita. «Ci puoi arrivare a nuoto, ma non credo che riceveresti una calda accoglienza, venendo da qui», ci dice la guida qatariota, a sottolineare i rapporti sempre abbastanza tesi tra i due stati. Eppure la vista di quella riserva naturale, dove si può fare il bagno ma non pescare, toglie il fiato e cancella dalla mente qualunque riflessione geopolitica ci passi per la testa. Poco distante c'è il Regency sealine camp, sorta di glamping molto attrezzato sul mare, con stabilimento balneare annesso. In effetti è abitudine dei qatarioti, concedersi i weekend nel mezzo del deserto, tornando idealmente alle origini, a quelle tende dove sono nati i loro avi. Ce li si immagina gareggiare sulle dune con le jeep, ridendo con educazione dei sussulti degli occidentali sulle derapate – come è successo a chi scrive – o, semplicemente, per insegnare ai figli la caccia col falcone.

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Il Parisa, indirizzo obbligato per mangiare la cucina persiana nel mercato di Doha

Quando si accendono le luci della sera, però, prende vita anche il Soq Waqif, il mercato della città, certamente più educato e urbano di quello di Marrakech, ma non per questo meno caratteristico: si passa attraverso le stalle dell'emiro, visitabili e aperte al pubblico, per immettersi nei dedali di venditori di spezie e profumi, nei negozi dove i falconi sono venduti da un migliaio di euro a diversi milioni, o nelle aree di ristoro aperte a tutti, donne e uomini, qatarioti e non, dove sedersi sui divanetti, sorseggiare del tè, ma soprattutto giocare a dama, ossessione nazionale. L'esperienza è però quella del Parisa, ristorante persiano che va oltre qualunque definizione, vera e propria trasposizione dell'immaginazione europea, quando si parla di sfarzo orientale. Corridoi affrescati, sala con al centro una fontana, balconate instagrammabili e una stanza privata con sedie in velluto rosso. Il menù, come da tradizione, è a base di carne d'agnello alla griglia, pollo accompagnato da babaganoush (deliziosa salsa a base di melanzane) hummus o insalata fattoush. Ad essere ricolma però, più che la pancia, è la vista: mentre si cena con degli amici, si vedono spesso affacciarsi all'ingresso del lungo corridoio che porta alla sala, dei semplici curiosi, che non hanno ancora chiaro se si tratti di un ristorante o di un palazzo, forse di un emiro minore. Passeggiando per tornare a casa, nei viali del souq ancora pieni di gente, ci si imbatte spesso in sticker in bianco e nero e quadri dell'emiro Tamim, che lo ritraggono di profilo, con il sorriso e lo sguardo speranzoso verso il futuro: non avrebbe dovuto essere emiro, suo fratello maggiore Jasim era diretto successore di suo padre. Eppure pare che Mozad – che è madre anche di Jasim – abbia visto nel suo secondo figlio, laureato alla Royal Military Academy di Sandhurst, la stessa di William e Harry – il temperamento deciso del sovrano, e il sorriso aperto, con il quale viene spesso ritratto, di un uomo destinato ad essere amato dal popolo. Jasim nel 2003 ha rinunciato alla pretesa al titolo – senza rancori, con il fratello condividono una collezione di macchine da far sudare gli appassionati – e Tamim ha indossato i paramenti reali, segnando un primato non da poco della famiglia al-Thani, abituata nelle ultime tre reggenze, compresa quella di suo padre Hamad, a deporre i genitori a forza di colpi di stato. Dicono che Tamim, nel suo tempo libero, da sportivo qual è, prediliga un abbigliamento semplice, privo di eccessi, e che a volte si camuffi un po', per poter passeggiare indisturbato per la sua città, che sta consegnando al futuro, con progetti green e trasporti pubblici gratuiti. Forse, Mozad, una volta in più, ci ha visto giusto.