Non c'è niente di peggio che trovarsi a Sanremo nei giorni del Festival e cadere nella tradizionale trappola della sineddoche: il Festival per il tutto.

La sfida è fare l’opposto: abbracciare una Sanremo fatta di tante parti e tante sfumature — un po' come i gusti della gelateria Vecchia Matuzia, su Corso Matuzia — che anche quella di Comune in provincia di Imperia finirà per sembrarvi una definizione troppo stretta, figurarsi concorso canoro o ultima spiaggia della Rai generalista. Ma non sarà facile, perché Festival e città sembrano vivere in una simbiosi che a tratti sconfina con la codipendenza.

Provate a cominciare dalla passeggiata dell'Imperatrice, ornata ancora dalle palme che Maria Alexandrovna, nata Maria d'Assia e del Reno, consorte dello zar Alessandro II e grandissima appassionata di Sanremo, donò alla città nel 1874. In cambio si vide intitolare quel tratto così particolarmente fiorito della Riviera dei Fiori. Da sempre modello di lungomare multilayer, percorrerla prima in un senso, dal centro a Ponente, e poi nell'altro, salendo e scendendo dal livello pedonale al carrabile e dal carrabile al pedonale, quasi twerkando per non finire seriamente danneggiati. Perché cos’è il twerking se non una particolare forma di giocoleria, applicata al sé, che mette in discussione assi verticali e orizzontali, significato e significante del proprio corpo? Tutta l’esperienza vi ricorderà troppo quella di mescolare piano letterale e simbolico del brano del debutto festivaliero di Elettra LamborghiniMusica (E il resto scompare) — per non sembrarvi quantomeno disorientante.

Segno che state arrivando al capolinea della Passeggiata è l'apparire, tra le foglie pennate dei palmizi, delle cupole fiabesche della chiesa intitolata a Cristo Salvatore, conosciuta dai più come la chiesa russa, dove la comunità sanremese praticante il rito ortodosso,

e simpatizzante del culto della trinità Al Bano, Toto Cutugno e Pupo, tradizionalmente si riunisce.

Tornati in centro vi accoglie via Matteotti con le sue luminarie dedicate ai versi di Nel blu dipinto di blu, curate dallo stesso Tiziano Corbelli che omaggiò L’anno che verrà di Lucio Dalla a Bologna, in via D’Azeglio. Funziona sempre bene questa idea di karaoke viario, da cantare camminando, o anche solo instagrammando.

All'angolo tra via Matteotti e via Escoffier resiste la statua di Mike Bongiorno. Le puoi dare il cinque e ti porta sempre bene, al contrario di quello che accade ormai sistematicamente a quella di Manuela Arcuri a Porto Cesareo, con le mogli dei pescatori locali che imbruttiscono i coniugi.

Arrivati al cospetto del Teatro Ariston vi colpisce il palinsesto luminoso della sua facciata, organizzata come una microscopica Times Square di mare. Il balcone, sulla sinistra, è la prova che non importa quanto sia ignobile la materia da cui partite (nella fattispecie, alluminio anodizzato color oro): usandola a fin di bene, per incorniciare vip musicali che salutano e arringano la folla, potrete comunque generare emozioni positive. Anche in questo caso colpisce come l’Ariston riesca a riprodurre in miniatura, alla Las Vegas, dinamiche da luoghi e situazione ben più grandi dell’angusta via Matteotti, come la preghiera dell’Angelus in piazza San Pietro in Vaticano.

Infilarsi nelle sale e salette secondarie del teatro, facendo impazzire i buttafuori e le guardie del corpo dei superospiti, che non le ricordano mai tutte, è come leggere Alice nel Paese delle Meraviglie, per una volta, dalla parte del Bianconiglio.

High Angle View Of Townscape By Sea Against Skypinterest
Mario Pedone / EyeEm//Getty Images

Lasciato l’Ariston e arrivati in Piazza Colombo si disvela il Nutella Stage, un pezzo di Festival fuori dal Teatro, tracimato in città, dove alcuni dei cantanti si esibiscono nuovamente, al termine della performance valevole per la competizione. Il palco di estrazione dolciaria, iterato in esterna, è un simbolo riuscitissimo dei traumi da distacco da cui, alle volte, sono afflitti i rapporti tra noi e i nostri beniamini musicali. Spesso guardiamo a loro con ingordigia non dissimile da quella che ci lega alla crema alle nocciole Ferrero — che tendiamo a spalmare su qualsivoglia superficie abbiamo a disposizione — senza considerare la finitezza dei loro repertori, della loro estensione vocale o della loro stessa capacità polmonare. Fortuna che da molto tempo ci vengono incontro strumenti come l'autotune, Spotify o i vasetti king size da svariati chili. Abbiamo molto da imparare da quel Nutella Stage.

Ma ecco che, continuando a camminare, proprio quando stavate per rinunciare definitivamente all’impresa di separare Sanremo dal suo Festival, vi trovate a passare attraverso Porta Santo Stefano, e salite alla collina della Pigna. Lì c’è la Sanremo Vecchia. La cittadella è costruita proprio come una pigna, i cui pinoli devono essere i suoi abitanti. Questi resistono ancora benissimo alla modernità o, perlomeno, ai collegamenti pomeridiani con la Vita in Diretta; celati come sono al resto della città e del mondo dalle vie concentriche e labirintiche che, nell’anno Mille, dovevano difenderli dai pirati, e oggi li proteggono dal popolo degli autografi e degli entourage.

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Filippo Maria Bianchi//Getty Images

Mentre non sentite volare una mosca o echeggiare un vocalizzo, grazie all’altezza, raramente perdete il contatto visivo col mare. Ma sarà solo quando, salendo ancora di più, finirete per trovarvi dinanzi al Santuario di Nostra Signora della Costa — forse la più tenera facciata di chiesa barocca mai eretta, col suo grande scudo a forma di cuore — che potrete dire con orgoglio “Sto guardando Sanremo” senza che per un solo ascoltatore questo possa significare che siete sintonizzati su Rai Uno.