Qualche mattina fa mi è apparso un articolo di Atlantic intitolato Our Pandemic Summer. Quando ho visto il titolo mi è venuta una stretta di euforia e preoccupazione, a volte le parole si combinano e fanno un effetto così. La nostra estate pandemica, la nostra prima estate di pandemia. L'articolo in sé è un'analisi sulle prospettive epidemiologiche, a me però sembrava titolo di una canzone emo-punk di metà anni 2000, un ritornello da urlare su una tangenziale. Da quando ha iniziato a fare caldo e noi a sentirci davvero stanchi, tutti abbiamo iniziato a pensare all'estate. Il primo sintomo erano le riflessioni sull'industria del turismo, perché tanti di noi ci lavorano, oppure vogliamo bene a qualcuno che ci lavora, e le prospettive fanno paura, ma la verità più ampia è che le nostre vite sono sempre in attesa di un'estate che arrivi a risolverci i problemi o a proporcene di più interessanti. C'è una frase che ho letto in un'intervista di Enrico Vanzina, attribuita a Leo Benvenuti, lo sceneggiatore di Amici Miei. «Una volta mi disse una cosa fulminante: la vita sono venti estati utili. È vero. Dai venti ai quarant'anni accade tutto quello che deve, il resto sono piccoli dettagli o grandi remake». A prescindere dal posizionamento demografico, quella 2020 sarà sicuramente tutto meno che un piccolo dettaglio o un remake. E allora come sarà la nostra prima estate di pandemia?

La prima risposta che ci è caduta sotto gli occhi sembrava uscita da una distopia, un'illustrazione Urania, Black Mirror, Brazil: il box in plexiglas per la spiaggia, inventato da un'azienda di Modena, la Nuova Neon Group 2, che è un nome bellissimo per chi abbia ancora voglia di scrivere fantascienza. Il presidente dei bagnini di Rimini si è ribellato: «Questa proposta è una follia, non la prendiamo nemmeno in considerazione». Lo è davvero, una follia, ma credo che, oltre al desiderio di farsi pubblicità, ci fosse uno spirito sincero nella proposta avanzata dalla Nuova Neon Group 2. Un misto di stupore e assenza di senso di realtà: ci deve pur essere un modo per salvarla, questa nostra estate di pandemia. Al momento c'è un dettaglio che non viene quasi mai menzionato, nelle discussioni che le task force fanno sulla fase due: la libertà di spostamento interno all'Italia. Si potrà viaggiare tra regione e regione? Tra provincia e provincia? A Wuhan, il giorno della riapertura decine di migliaia di persone avevano un biglietto del treno per partire ma non tutte sono state autorizzate a farlo, ha deciso la versione cinese dell'app che da noi si chiama Immuni (e che sembra essere molto più blanda, liberale e permissiva).

Venti estati utili ce le abbiamo sicuramente come popolo.

Ci deve essere un modo per salvarla, perché la nostra identità come italiani è plasmata dall'estate, non è solo una questione di bisogni e irrequietezze individuali, ma anche di identità nazionale. Venti estati utili ce le abbiamo sicuramente come popolo. Siamo gli unici al mondo ad aver codificato i governi balneari, provate a spiegare concetto ed etimologia a chi è educato alla democrazia anglosassone. E poi c'è il metronomo del calcio, che d'estate diventa collettivo, con Mondiali ed Europei vinti, persi, organizzati, rimpianti. L'esperienza di noi come italiani diventa reale e vivida sopra i venticinque gradi, con pochi vestiti addosso e del tutto privi di distanziamento sociale. «Raccontare la stagione estiva è una delle cose che i registi italiani (fino a pochi anni fa) hanno saputo fare meglio», racconta questo articolo su Esquire, ed è vero. «Mostrare gli italiani in vacanza, nel quadro a noi tutti familiare della domenica al lido o della desolazione urbana della settimana di ferragosto, è un’operazione antropologica».

Come si fa a descriverci, se non si menziona l'estate?

La prospettiva della stagione in arrivo è anche la crepa nella quale si vede la differenza tra chi sta vivendo la pandemia in una zona molto rossa e chi si trova a una distanza tale da potersi permettere più ottimismo. Il mio migliore amico vive a Palermo ed è sicuro che già alla fine della primavera potrà fare i primi bagni in mare, a Milano ci sono pochi pomeriggi senza la sirena di un'ambulanza nelle orecchie e abbiamo ancora quella preoccupazione post-apocalittica all'idea di andare a fare la spesa. C'è un passaggio di Everyman di Philip Roth nel quale il narratore, che si trova in ospedale per un intervento chirurgico, si lamenta col medico che lo sta curando e gli dice una cosa umana, banale, infantile e vera: "si sbrighi, non voglio perdermi l'autunno che riesco a vedere attraverso le finestre della mia stanza". E il medico gli risponde una cosa da medico (che vale anche per Borrelli, la Protezione Civile, Galli e tutti gli esperti che ci hanno in cura come paese da settimane): "lei rischia di perdere molto più di questo". È vero, anche noi rischiamo di perdere molto più di questo, ma il lockdown ci ha anche reso più bisognosi e puerili. Ora che siamo quasi alla fine di aprile non c'è una risposta sensata, abbiamo solo plexiglass, curve e conferenze stampa per orientarci. È difficile che la nostra prima estate di pandemia sia bella nel senso che associamo alle estati belle, ma in qualche modo sono pronto a scommettere che sarà utile, nel senso di Leo Benvenuti: né un dettaglio, né un remake. Questi mesi ci hanno educato alle riscoperte, e sarà un buon momento per mettere tutto in pratica. E poi sarà nel nostro tempo e il nostro tempo è questo. Come dice Vittorio Gassman a Jean-Louis Trintignant nel Sorpasso:

«A Robe', che te frega delle tristezze. Lo sai qual è l'età più bella? Te lo dico io qual è. È quella che uno c'ha giorno per giorno».