La spiaggia della Gaiola occupa l’estrema punta meridionale del Capo di Posillipo e prende il nome dalla più esigua isola del Golfo di Napoli, affiorante appunto come una piccola galia — imbarcazione medievale a remi, bassa e piatta — dalle acque tra Marechiaro e la baia di Trentaremi. Non è che le restanti spiagge urbane partenopee non siano, ciascuna a suo modo, interessanti per motivi naturalistici o antropologici, e classificabili su scale anche piuttosto complesse in base alle rispettive qualità del mare e chiattilleria dei frequentatori. Si va dai popolarissimi scogli di largo Nazario Sauro ai confortevoli e attrezzati Bagni Sirena, Elena o Ideal. Ma la spiaggia della Gaiola gioca in un altro campionato.

La Gaiola è una mini-Atlantide realmente esistita o, meglio, una fermata della metro Toledo di Tousqez davvero sommersa.

Qui non troverete infatti solo una spiaggia di sabbia e una di scogli incorniciate a Est dal Vesuvio e dalla penisola sorrentina, a Sud da Capri e a Ovest da Ischia, ma anche un’area marina protetta di straordinario interesse vulcanologico, biologico e storico-archeologico. Ma ci aveva già convinto a mini-Atlantide.

L’acqua della Gaiola è così limpida che non c’è bisogno del fondo trasparente del battello Aquavision, gestito dal Centro Studi Interdisciplinari Gaiola Onlus, per capire che state nuotando liberamente tra coralli gialli della famiglia Gorgoniidae e ninfei di discendenza patrizia, grotte naturali e cunicoli romani, murenari millenari e vere murene che ancora vivono e lottano insieme a noi. E anche se non riuscireste mai a disvelare tutta la sua magnificenza sommersa, neppure facendo snorkeling o diving, capirete subito che la fragilità e il difficile equilibrio tra archeologia e natura, storia e poesia che caratterizzano la Gaiola, e l’impegno di chi lavora per preservarli, sono il motivo profondo per cui quello che invece vedrete sempre, ogni volta che ci andrete, è così pulito e speciale.

Napoli è un posto dove uomini e spiagge pubbliche non possono essere amici perché altri uomini ci si mettono spesso di mezzo.

La Gaiola è una commedia romantica non solo ambientata a Napoli, ma con Napoli attrice protagonista. All’inizio avete il classico meet cute in centro storico. Poi, improvvisamente, tutto sembra andare a rotoli. Sulla strada tra Mergellina e l’accesso alla Gaiola il traffico automobilistico misteriosamente sembra sapere che avete un posto in paradiso prenotato online, e cerca di stirarvi mentre, per raggiungere quel luogo ultraterreno, provate ad attraversare sulle strisce. Non siete diventati turisti ingenui. È che quando decidete che volete passare il resto della vostra giornata alla Gaiola, sperate che il resto della vostra giornata cominci il prima possibile. Eppure dopo una strada lunga e tortuosa arriva il lieto fine. Non ci sono scorciatoie. Dovete per forza passare dalla discesa Gaiola (che parte da via Lucrezio Caro e, pur non cambiando nome, al ritorno si tramuta puntualmente in salita).

Procedendo per la stradina le tracce di modernità svaniscono a poco a poco, e dalle case più lussuose e panoramiche si arriva a un ex borghetto di pescatori. La discesa è uno spettacolo in sé, con le curve che scoprono di volta in volta un nuovo pezzo di puzzle a tema mare ideale.

È quasi un rinculo di bellezza, che avvertite fisicamente e moralmente.

Quando finalmente la vedete la Gaiola è così bella che non è che sembri finta (sembra verissima) ma vi scappa da ridere, come quando il primissimo dei primi piani di Grace Kelly nella Finestra sul cortile vi buca lo schermo senza che possiate più ripararlo. È quasi un rinculo di bellezza, che avvertite fisicamente e moralmente. Osservate il ponticello di tufo sottilissimo teso tra le due metà in cui è spaccata oggi l’isola, a formare uno straziante, minuscolo arco di trionfo del destino sul bradisismo vulcanico, e giù ancora risate nervose fino alle lacrime che incontrano a metà guancia il sudore procurato dal chilometro di scale e basoli che avete percorso con 42 gradi e l’entusiasmo di fare il bagno nell’acqua colore degli occhi della compianta principessa di Monaco.

Completa il quadro una statua policroma di San Francesco, protettore d’Italia ma anche, nello specifico, della Gaiola, che osserva voi e gli altri bagnanti ergendosi dal suo scoglio come se occupasse una torretta di salvataggio, pronta tanto a fischiare in direzione di un natante troppo sotto costa quanto a dedicare un laudato sì extra a un gabbiano o a un dentice.

Ma il fascino della Gaiola nell’estate 2021 è anche in ciò che non si vede: una maledizione annullata e le folle sparite.

Perfino Google Maps, di solito piuttosto diplomatico nella linea editoriale (arriva alla generosità di definire il Tiberis di Roma una “spiaggia fluviale”), non ha mezzi termini per etichettare la Gaiola: “Piccola isola storica con villa maledetta”.

Per lunghi anni questa faccenda della jella è stata presa abbastanza sul serio. Le malelingue dicono che sia tutto dovuto a un incidente di percorso accaduto durante una lezione alla scuola di magia di Virgilio (che aveva sede nelle immediate vicinanze). Fatto sta che nei secoli una mezza dozzina di proprietari dell’isola e della sua principale struttura abitativa vi morì di morte niente affatto naturale e molti altri, come più recentemente Gianni Agnelli o Paul Getty, la cedettero dopo aver subito lutti o rapimenti in famiglia. In tanti hanno provato a domare la Gaiola prima di comprendere che avrebbe dovuto essere semplicemente indomita e di tutti.

Da quando la Gaiola è pubblica non si ricorda una sola disgrazia sospetta ma solo la meraviglia di chi, arrivandoci la prima o la centesima volta, scugnizzo o turista, posillipino o cafone, in barba alle bellezze più celebri del centro di Napoli, e a dispetto soprattutto della stessa cattiva sorte, vede la Gaiola e poi non muore ma rinasce.

Il resto lo ha fatto la musica hip-hop. Dal suo telo da mare un ragazzo di una ventina d’anni e una sessantina di watt di potenza ostenta la sua Boombox Jbl con la stessa fierezza di Radio Raheem in Do the right thing di Spike Lee. Almeno una volta all’ora, grazie agli sforzi suoi e delle sue battere al litio, è possibile riascoltare il pezzo che il rapper Liberato ha dedicato a questo luogo:

“Nun rir chiú Gaiola portafortuna / Sott’ a luna Gaiola portafortuna”.

L’immagine della Gaiola a pieno regime di ricettività, fino a qualche anno fa, non ricordava tanto il classico scoglio delle sirene quanto un avamposto di trichechi spiaggiati. Le instagrammate di datazione pre-Covid mostrano una spiaggia così assembrata da risultare insalubre perfino a un titolare di lido gallipolino. Ci è voluta l’epoca dei green pass per tornare ad andare alla Gaiola come se fosse sempre maggio o ottobre per tutto luglio e agosto.

È finita, forse per sempre, l’era delle feste di diciottesimo coi gruppi elettrogeni e le super casse, quando il superamento delle difficoltà logistiche per trasformare la Gaiola in un night club era un lusso più sfrenato di qualunque villone in affitto e quando la motivazione degli invitati a sopraggiungere qui nottetempo, ciascuno con la sua quota di vettovaglie, era il cadeau più ambito. Oggi è vietato portarsi dietro cibi e bottiglie di plastica. All’ingresso della discesa si presenta un QR code con la prenotazione a un volontario del Centro Studi. Successivamente, ci si fa misurare la temperatura. Il logo che che il volontario porta sulla polo bianca immacolata è geniale: un’anfora e una conchiglia le cui sommità spuntano dall’acqua e sono unite da un tratto curvilineo che rappresenta il ponticello di tufo di cui sopra. Natura e storia sono solo le punte di due iceberg comunicanti. Il resto è tutto da scoprire.

Anche se ci possono entrare soltanto duecento persone al giorno, divise nei due turni della mattina e del pomeriggio; e anche se sono previste sanzioni severissime (quindici giorni di squalifica dalla spiaggia) per chiunque si macchi di un un no-show, dopo aver prenotato online, possiamo affermare senza tema di smentite che la Gaiola è ancora più bella che contingentata. E aggiungiamo che, tra le specie marine da proteggere insieme ai cetrioli e pomodori di mare, quest’anno ci sono anche i bagnanti che amano la Gaiola al punto che non solo affrontano discesa e salita, ma rispettano anche qualunque procedura anti-Covid, pur di godere della loro spiaggia preferita, per un massimo di due turni a settimana ciascuno.

Se esiste un bagno napoletano perfetto è questo, così come se esiste un pasto napoletano perfetto è una frittatina di pasta seguita da una pizza margherita.

Non abbiate dubbi e smettete di cercare altrove. Solo alla Gaiola chiunque, posizionandosi nel giusto punto della spiaggia (no spoiler), a turno, può essere il Re di Napoli per il tempo che precede un tuffo e vivere così l’esperienza di un bagno da romano antico nel bel mezzo della Napoli moderna.

Provateci e vi pervaderà un tale senso di comunione col mare e con l’umanità che – mentre comincerete a sentire una vocina interna tracciare mappe concettuali da tesina di terza liceo (ci sono pur 42 gradi) – un’altra voce, esterna e più profonda, vi avvertirà che il vostro telo shfortunà-tamente sconfina nel corridoio di sicurezza tra l’area di sosta e quella balneabile, e che sarebbe l’ideale riemergere dalle acque per sistemarlo entro l’apposito limite segnalato dalle strisce rosse e bianche.

Sarà allora che, tra il giallo del tufo e il verde della macchia mediterranea, tra il blu dell’acqua e quello del cielo, doserete un mix perfetto di abnegazione e libertà che, vuoi per il tanto caldo, vuoi per l’eccessiva gioia di averlo appena spento con un’immersione, qualcuno potrebbe scambiare per il senso della vita.