How will we live together? Eccola la domanda che apre e corre lungo tutta la 17ma edizione della Biennale di Architettura, aperta pochi giorni fa a Venezia e che vi aspetta fino al 21 novembre 2021, curata da Hashim Sarkis. Nato a Beirut nel 1964, laureatosi ad Harvard in Architettura e in Belle Arti alla Rhode Island School of Design (e si sente in questa biennale d’architettura, la più artistica degli ultimi anni), da giovane assistente nello studio di Rafal Moneo (quest’anno meritatissimo Leone d’Oro alla Carriera) a preside del Massachusetts Institute of Technology (MIT), ha detto: “in un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti, chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme”. Non è poco e la generosità, passeggiando nella sua Biennale, tra il padiglione centrale dei Giardini e l’Arsenale, è evidente. Generosità di temi, proposte, forme, progetti, discipline dell’umano pensare e agire, generosità che a tratti confonde, un poco disorienta, ma How will we live together? mica è una domanda semplice, poche volte tanto azzeccata, e mica può avere una risposta semplice. E poi cos’altro poteva chiedersi Sarkis, e chiederci, dopo un anno così? Armatevi di menti aperte ad accogliere e scarpe comode, e partite, per Venezia. L’architettura non solo racconta la società ma aiuta a formarla o, come ha detto da Michele De Lucchi, nel discorso di inaugurazione del suo (bellissimo) Padiglione Venezia: “il vero ruolo dell’architetto non è più quello di costruire muri ma costruire comportamenti”. Rivendicazioni territoriali, estrazione di risorse, clima, paesaggio, colonialismo, insediamento umano, campi profughi, patrimonio culturale, sono alcuni dei temi più importanti di questi giorni veneziani. Vi sembrano tanti? Benissimo, ce ne sono altri: coesistenza, biologia, condivisione della tavola, ripensamento degli elementi costitutivi come motori del cambiamento, condominio, libero accesso, insediamenti suburbani in declino, separazione tra spazi professionali e spazi abitativi, dignità e potremmo continuare. Tante domande e due risposte, tra le migliori: “potremo vivere insieme, comprendendo, rispettando e connettendoci alla rete di intrecci” e “siamo tutti profughi alla ricerca di rifugi sicuri”. Dalla Biennale di Sarkis, si esce con più domande che risposte.

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Adelaide Corbetta

Poi ci sono i Padiglioni nazionali, alcuni dei quali riportano a una dimensione più strettamente architettonica, un poco più rassicurante, diciamocelo. Ma apprezziamo che la rassicurazione non fosse tra gli intenti perché è giusto riconoscere l’allerta e mantenerla alta, in questa Biennale non esattamente “di speranza” perché piena del numero mostruoso, quanto oggettivo, di errori che abbiamo compiuto. Forse avremmo addirittura preferito avere una Biennale ancor più politica: denuncia, denuncia, denuncia, ma certamente facile dirlo e difficilissimo farlo, quindi bene le tante domande poste e da porsi. Fra i Padiglioni suggeriti: il Belgio! Il Belgio! Una serie di modelli di casa di legno. USA rende omaggio al sistema costruttivo in legno, sistema mal visto dalla “grande architettura” ma diffuso e alla base delle abitazioni americane e poi, se poco poco siete stati fan di Extreme Makeover: Home Edition vi troverete benissimo, e benissimo ne penseranno anche i fan di Tom e Jerry, di fronte al modello della casa del cane Spike, bulldog e vera icona degli attori non protagonisti. Mentre l’Austria riflette sulla co-progettazione, la Danimarca propone progetti d’acqua e di tisane (che detta così è davvero sintetica, ma vedendola capirete). Il Giappone commuove con una casa smontata e trasportata a Venezia pronta per ripartire per l’altra parte del mondo; del Padiglione Venezia già vi abbiamo accennato e, ancora, gli oltre 600 disegni e la serie di modelli lignei di Michele De Lucchi. Fidatevi e andateci, oltre al resto c’è un profumo buonissimo e si capisce come l’idea si possa trasferire su un foglio bianco (roba non da poco). La Svizzera osserva le terre di confine con una serie di modelli total white; Svezia Finlandia e Svezia propongono il tema del co-housing e l’esperienza si fa senza scarpe (già un primo importante passo verso la coabitazione).

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Poi c’è il Fuori Biennale con il suo Palazzo Grimani a Santa Maria Formosa, con la mostra di Georg Baselitz (curiosamente presente in Laguna anche con una seconda mostra alla Fondazione Vedova). Alcune delle grandi opere di Baselitz (nato a Deutschbaselitz, da cui deriva il suo nome d’arte, nel 1938) sono installate all’interno delle cornici di stucco che accoglievano, all’interno di questo incredibile luogo, riaperto da pochi anni, i ritratti della famiglia Grimani (tre dogi alla Serenissima, non nulla). Il percorso diventa una sorpresa rinascimentale: non riuscirete a scegliere la vostra sala preferita perché lo stupore, l’armonia, il ritmo è continuo e a tratti fiorito, musicale, statuario, intimo, monumentale, favoloso. Alla Fondazione Prada, Peter Fischli rende omaggio (mettiamola così) alla pittura con Stop painting, una mostra piena di ironia e di cose non dette ma sussurrate. Alla Casa dei Tre Oci ci sono le fotografie di Mario De Biasi, pezzi di Italia, di mondo, di informazione che passava ai tempi quasi solo dai giornali, da “Epoca”: in mostra insieme all’immagine mitica di Moira Orfei di spalle, di bianco vestita, gli scatti intorno a quella icona celebrata e celebrante del Belpaese e… Gli italiani si voltano. A Punta della Dogana, Bruce Nauman e, dopo il caleidoscopio (mai avrei pensato di scriverlo ma l’ho scritto: “caleidoscopio”) di temi di Biennale, Nauman ne propone uno, uno solo, ai limiti dell’ossessione, il “contrapposto”. Uscirete da lì provando a spostare il peso su una gamba, poi su un’altra, sentendovi parte dell’idea di Nauman e della statuaria classica. E poi, riesserci, ricamminare per la città, rioltrepassare i cancelli della Biennale è bello e importante e ha ragione il Sindaco di Venezia “lo scorso anno la Biennale ha avuto il coraggio di rimandare e quest’anno il coraggio di aprire” peraltro come prima manifestazione internazionale nel mondo, grazie Biennale, evviva Biennale. Viva l’Italia. E mentre la Camera, ha dato il via libera definitivo al provvedimento che vieta l'accesso alle grandi navi nella Laguna, cerco di non dimenticare nessuna delle domande raccolte in Biennale magari affrontandone una al giorno, diversamente come ci arriviamo, con dignità, alle prossime generazioni? Mica possiamo lasciamo ai posteri (tutte) le ardue sentenze? Giusto? Buona Venezia.

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