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In Patagonia, una crociera alla fine del mondo

Imbarco da Punta Arenas in Cile, per un viaggio unico alla scoperta di ghiacciai maestosi e fragilissimi dell'Antartide.

Di Magda Mutti
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Chi pensa al Sudamerica per le prossime vacanze punti sul Cile, il “paese sottile” come lo definiva Pablo Neruda, multiforme e fotogenico è ancora più sorprendente, tanto che Lonely Planet lo mette al primo posto tra i paesi da visitare nel 2018. Ci siamo mossi d’anticipo e questo è il nostro diario di viaggio appena concluso in Patagonia, bagagli fatti in un lampo e via per la Fin del Mundo , alla scoperta della magia australe che ha sedotto tanti a partire da Chatwin, Coloane e Sepulveda. Partenza da Santiago, la capitale cilena piena di buon umore, movida e architetture futuribili, poi da Punta Arenas il progressivo abbandono della civiltà e via a zig zag tra i ghiacciai della Patagonia, dritti a Capo Horn, in crociera con la motonave Stella Australis, su un oceano gonfiato dai venti più impetuosi del pianeta.

Ci si imbarca a Punta Arenas, capitale dell’Antartide cileno, appoggiata sullo Stretto di Magellano, 2mila e passa chilometri a sud di Santiago, 130mila abitanti, la città delle case di legno colorato, dei tetti di zinco e degli alberi che crescono piegati dal vento. Condivide con Usuhaia il destino di “campo base”, chi ci arriva inevitabilmente sta andando altrove: nella Terra del Fuoco, in Antartide, alla ricerca delle colonie di pinguini o di se stesso. Si parte al tramonto e a bordo la notizia è che a Sud di tutto non c’è campo, saranno 4 giorni di crociera digital detox. Stella Australis è l’unica compagnia di navigazione autorizzata a solcare le acque verso Capo Horn, che sono riserva marina. La motonave ha 100 cabine e tutti i comfort senza averne troppi, nessuna sala giochi e niente animazione. Le camere del quarto ponte, al posto dell’oblò, hanno una finestra che va dal pavimento al soffitto, lo spettacolo è qui, in cabina: sfilano ghiacciai, terre aspre, baie isole abitate da pinguini e leoni marini, è come vedere sul maxischermo un documentario sulla natura in purezza. I passeggeri che hanno deciso di attraversare lo Stretto di Magellano è cosmopolita e desideroso di avventure, e chi non vuole socializzare puoi eclissarsi in cabina. Ogni giorno ha il suo rituale: due discese a terra sugli Zodiac precedute dal briefing in inglese, spagnolo e italiano su come salire sui gommoni, come vestirsi, come affrontare l’imprevedibilità della natura, secondo la difficoltà dell’escursione. Un protocollo di sicurezza fatto da guide esperte, geologi, biologi e antropologi.

La seconda giornata di crociera è dedicata alla vegetazione e alla fauna della Baia di Ainsworth nella Cordigliera Darwin prossima al ghiacciaio Marinelli, che negli ultimi 70 anni si è ritirato di ben 15 chilometri. Si cammina nella foresta del parco nazionale Alberto de Agostini osservando funghi e specie sconosciute, licheni primitivi e il calafate, le bacche simbolo della Patagonia. Ma balzano all’occhio anche i disastri provocati dai castori, che per costruire le loro dighe disboscano intere fette del territorio, un’alienazione dell’ecosistema sub-artico, come spiegala nostra guida Germàn , provocata dall’introduzione dei roditori dal Canada per ricavarne pellicce, e riprodotti a dismisura non avendo incontrato predatori. Tappa successiva, l’Isolotto Tucker , abitato da 4mila pinguini Magellano. Ci si avvicina con i gommoni, essere a vis à vis con questi pennuti è un’emozione unica. In questa stagione sono indaffarati a preparare il nido, come i cormorani reali anche loro in attesa delle femmine. Tra le acque ogni tanto emergono delle foche, mentre su uno scoglio c’è una coppia di indolenti leoni marini. Si fa notte e il buio dell’estremo Sud è denso e totale.

Terza tappa, a tu per tu con i ghiacciai. La luce esplode, l’acqua del Canale di Beagle è metallica, la motanave entra nel fiordo Pia, il silenzio è irreale, il vento non frusta più il viso. Il ghiaccio si scopre non essere solo bianco, ma anche azzurro, viola, verde… Ci spiega - la guida geologo – che i ghiacciai hanno un loro respiro, che si chiama frequenza. Si scende dai gommoni per scalare la montagna fino al belvedere; anche se si scivola, anche se nevica. Qui le guide chiedono ai neo-esploratori un minuto di silenzio, lo chiamano il momento patagonico, che permette di percepire il ruggito del ghiaccio che si stacca, la sua vita che scivola in acqua, la metamorfosi in iceberg. La fatica sarà premiata da cioccolata calda e whisky, ma risaliti a bordo l’emozione vissuta toglie ogni parola, mentre la motonave si infila nell’Avenida de los Glaciers, il tratto dove i ghiacciai hanno il nome dei luoghi d’origine dei suoi primi esploratori: italiani, spagnoli, tedeschi, olandesi, francesi… Tanto che sulla nave si è accolti da un buffet trans nazionale.

Eccoci alla giornata clou: l’incontro con Capo Horn è alle 7 del mattino. Il vento torna e tormenta, il cielo è grigio, le acque dei due oceani sono nere e nervose: si sbarcherà solo in condizioni di sicurezza. C’è attesa di calcare l’isola-scoglio di questo archetipo planetario, di avere il privilegio di una foto davanti all’Albatros, il monumento che ricorda le imbarcazioni inghiottite dalle onde del Finis Terrae,. Le guide daranno il via libera, monteranno la passerella per lo sbarco, si potrà accedere al faro, abitato annualmente da un ufficiale cileno e della sua famiglia. Bisogna guadagnarsela la vetta. C’è una lunga scalinata che poi diventa una passatoia di legno con un corrimano a cui tenersi perché il vento strattona. Raggiunta la cima la riflessione sul viaggio scatta. Cosa c’è alla Fine del Mondo? Noi abbiamo trovato silenzio e vento, tanto che pensi che tutto il vento del mondo finisca qui in Patagonia, con un vortice che culmina a Capo Horn. Sono i privilegiati che ci arrivanoo, più a Sud di così, in questo viaggio, non si può andare. Per questo traguardo voluto e vinto i “crocieristi” si fanno apporre sul passaporto dal guardiano del faro il timbro dell’Isla di Cabo Horn.

È ora di rientrare, l’oceano si farà sentire sotto la pancia dello Zodiac, ma c’è l’ultima isola da vedere, Navarino, nella baia di Wulaia, dalle acque calme e azzurre. Qui visse l’etnia Yamana, qui sbarcò Darwin catalogando la vegetazione immutata da allora, fa impressione pensare che noi e Darwin abbiamo visto gli stessi alberi. Nella casa museo c’è una botte che raccoglie le cartoline di ogni visitatore, come una buca delle lettere. Un tempo chi raggiungeva l’isola s’incaricava di estrarne alcune e di recapitarle. La tradizione continua, anche noi porteremo a destinazione un paio di saluti australi, a Magenta e Treviso.

Come organizzare una crociera in Patagonia
Cruceros Australis è la compagnia di navigazione autorizzata alle tratte nella riserva marina tra Punta Arenas a Usuhaia. Per ragioni climatiche sono effettuate nella primavera-estate australe, il nostro settembre - aprile. Crociere da 3 giorni e 4 notti (dal Cile all’Argentina e viceversa) da € 1.189 a persona formula all inclusive con partenza e ritorno a Punta Arenas. Punta Arenas si raggiunge, via Santiago del Cile con voli diretti Alitalia da Roma, con Aerolineas Argentinas e con LATAM da Milano. Chi preferisce un viaggio organizzato in toto, dalla partenza all’arrivo, il tour operator Earth Viaggi formula viaggi culturali naturalistici, anche su misura.

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La baia di Wulaia

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Partenza da Usuhaia verso Capo Horn

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Usuhaia, la città cilena da cui partono le crociere per l'Antartide

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Il ghiacciaio Martinelli a Ainsworth Bay

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Una guida al timone dello Zodiac

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La cabina della nave , con il panorama che scorre

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Il timbro di capo Horn sul passaporto

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Capo Horn

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Arcobaleno sull'oceano australe

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La motonave Stella Ausralis nella Baia di Ainsworth

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Flora antartica nella Baia di Ainsworth

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