Il made in Italy è afflitto da un’antipatica patologia: l’esibizione precoce. Quattro giorni, stiracchiati a cinque, hanno messo a dura prova invitati e stilisti e addetti ai lavori, trasformandoli in addetti ai livori. Sono nate liti, discussioni, viaggi frenetici da un lato all’altro della città e conseguenti ingorghi che fanno giustamente inferocire la cittadinanza senza accesso agli esclusivi eventi. Così se “quelli della moda” erano già antipatici, ormai ora siamo diventati odiosi a tutti. Che gioia.

Non si può vedere tutto e tutti. E questo addolora perché sarebbe interessante conoscere i nomi nuovi, le proposte dei designer giovani che non hanno la forza economica per esercitare la non nobile arte del «se non vieni, ti togliamo la pubblicità».

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Valentina Valdinoci
La rotonda della Besana, sede della sfilata Salvatore Ferragamo autunno-inverno 2019/2020.

E sinceramente non capiamo perché, in una stagione, che alla fine si è rivelata più interessante del previsto, gli appuntamenti, le sfilate e le presentazioni siano stati compressi in un inestricabile gomitolo temporale. Compiacere la stampa straniera per farle risparmiare denaro durante la permanenza in Lombardia (mentre a Parigi nessuno si pone questo problema, se è un problema), impone meno provincialismo nella nostra modalità di autopromozione. E non sarebbe male concedere magari anche al popolo (come succede durante il Salone del Mobile) di visitare, magari post-sfilata, atelier ed epicentri creativi. Per essere più osmotici ed empatici con un Paese che nell’abbigliamento trova la seconda voce dopo il turismo, ad aiutarlo, per ora, a non precipitare in una greca povertà.

Insomma, sono state 96 ore di stile anche piuttosto discutibile nella sua cautela, senza particolari guizzi di novità o di sconcerto. Ma mettiamo le mani avanti: magari nell’ammucchiata di maison celeberrime e nomi nuovissimi, magari ci siamo persi qualcosa, oltre a quella sensazione di smarrimento e di profonda malinconia, scandita dalla progressiva perdita di grandi maestri e maestre dello stile: Alessandro Mendini, Karl Lagerfeld, Marella Caracciolo Agnelli

E però ci si dovrà dare una smossa, se non si vuole finir depressi. La nuova "divisa", proposta da quasi tutti i brand, per la donna del prossimo inverno, è la combo vestito-sui-pantaloni. Noioso e poco creativo, ma è in quel "quasi" che riponiamo le nostre speranze.

Al piacere di stare a casa si dovrebbe riscoprire dov’è la casa del piacere e andarci ad abitare abbigliati ad hoc. Che il sesso sia il nuovo punk? Che la seduzione sia la nuova via? Se la moda è fatta di corsi e ricorsi, perché non ritornare a quella gioia , pur se sottoposta al controllo del politicamente corretto e di tutte le gender theories possibili?

La futurologa Faith Popcorn (non è uno scherzo, si chiama così: un genio del marketing che prevede le tendenze sociali) già nel 2017 aveva indicato nel «sex as escapism» una delle possibili forme di ribellione allo status quo. E in effetti non si vede perché, in un modo dove siamo tutti controllati, sorvegliati, tenuti sott’occhio, il potere dell’attrazione - ludico, multiplo, cerebrale, fattuale da fare con chi si vuole se lo si vuole - non debba tornare nel nostro lessico quotidiano come forma consapevole di azione politica contro ogni forma di benpensatismo conservatore. Archiviato lo streetwear, comodo finché si vuole, ma bambinesco e dunque asessuato, non è arrivata l’ora di farci reciprocamente un po’ la corte e vedere che succede?

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Alessandro Lucioni//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Un abito da sera di Alberto Zambelli per l’autunno-inverno 2019/2020.

NEUROEROTIK è il nome che un Francesco Risso in grande forma ha dato alla sua collezione per Marni. La nota per la stampa parla di donne con giacche maschili affette da “femminite acuta”, amplessi di catene e sciarpe fornicanti, e invita a un corpo a corpo a corpo neuronale che attivi le zone erogene per mappare nuovi territori del piacere. Tradotto in abiti significa: tuniche bicolori tenute insieme da piercing o da anelli di fidanzamento, gonne aperte come sipari su altre gonne, niente nudità visibili ma frivolezza e passione fisica come controvalori di oggi.

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Isidor Montag//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Catene, piercing e sciarpe al vento, Francesco Risso per Marni, autunno-inverno 2019/2020.

Una collezione non semplice, ma acuta, internazionale e contemporanea, cui fa da contraltare il romanticismo mostruoso di Miuccia Prada e quello carnale di Antonio Marras: lo stilista rievoca una struggente storia d’amore tra Amedeo Modigliani (sì, l’artista), figlio di una famiglia benestante toscana che aveva miniere in Sardegna, e Medea Taci, figlia di un borghese isolano. La colonna sonora la forniscono attori che recitano con enfasi le lettere, sempre più bollenti, che i due potrebbero essersi spediti, ma le ha inventate Patrizia Marras, moglie di Antonio. Il finale è un’utopica orgia dove tutti fanno l’amore con tutti, tra abiti di pizzo che velano tessuti più pesanti a suggerire che non è nel vedere, ma è nell’immaginare che si forma e inturgidisce il desiderio. Gli abiti sono di un romanticismo mai zuccherino, la linea uomo ristabilisce con gioia la bellezza di essere maschi, femmine e tutto quello che c’è in mezzo, visto che si adornano di particolari femminili e i parka da donna sono di chiara derivazione militare. Un “evviva” alla vita nel breve e intenso istante di un orgasmo come momento perfetto di unione tra bellezza dei sensi e quella intellettiva.

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Isidore Montag//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Trasparenze (non) caste per l’autunno-inverno 2019/2020, Antonio Marras.



Noi siamo meno intellettuali e alla tiritera de «il cervello è il primo organo sessuale», con Woody Allen, invece preferiamo metterlo al secondo posto. Una raffinatissima pulsione erotica sembra percorrere come un brivido anche la prima, ottima prova di Daniel Lee come neo direttore artistico di Bottega Veneta. Gli abiti in pelle nera sarebbero stati amati da Helmut Newton, il fotografo che più di ogni altro immortalò donne bellissime in pose che oggi il “comportarsi per bene” non gli avrebbe permesso. Lee riesce a bilanciare l’eredità della maison (la lavorazione intrecciata, la cura maniacale dei dettagli) con un’attitudine più libera e liberata, da persona adulta e non da ragazzina.

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Isidore Montag//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Una creazione di Daniel Lee alla prima prova come direttore artistico di Bottega Veneta, autunno-inverno 2019/2020.

Una stilista dalle ricchissime letture e dall’indiscutibile pensiero legato alle donne, Francesca Liberatore, compie un doveroso omaggio alla prima femmina che s’immolò per l’umanità intera: non Eva, ma la cagnolina astronauta Laika, spedita nel ’57 dai Russi a una morte atroce nello spazio. Il suo ritratto dentro il casco diventa motivo per le stampe, alternate a tubini di tulle trasparente indossati sul niente (altro che #FreetheNipple!), in un défilé dove “femminilità“ significa riappropriarsi di un corpo da usare come si vuole. Del resto quale tensione fisica può esprimere una qualsiasi persona se non ha familiarità con il proprio corpo? «Prenez vos désirs pour la realité», era uno degli slogan del '68 e la Liberatore lo aggiorna al 2020 con silhouette amiche dell’anatomia di ogni tipo e genere. Ma prive di ogni conformismo. Così come ha fatto un altro nome emergente, Alberto Zambelli.

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Armando Grillo//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Un abito da sera di Francesca Liberatore per l’autunno-inverno 2019/2020.

Alessandro Enriquez racconta quanto sia stato difficile far digerire ai suoi sponsor il nome Sexyssima per la sua collezione che coinvolge donne di età diverse (la libido cala diventando vecchi? Ditelo a qualcun altro) dove gli Ex Voto diventano Sex Voto e quattro signore - l’ex top model Dragana Kudnjiac, la giornalista Renata Molto, la socialità Dominique Lunetta con la figlia Ann Sophie, Pascale Pederzani e Oona Chanel, nipote di Coco - interpretano capi che si divertono con l’iconografia ingenua e malandrina del Lido di Parigi.

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Courtesy Alessandro Enriquez
Una modella con ls t-shirt stampata "Lido", Alessandro Enriquez per Sexyssima, la sua collezione per l’autunno-inverno 2019/2020.

Una spensieratezza da ritrovare anche nella sartoriali matematica di Dolce & Gabbana che si piega nel dolce humour di abiti da sposa da Doris Day e baby-doll bordati in marabù da diva italiana nell'epoca dei telefoni bianchi.

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Daniele Oberrauch//LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
Simile alla biancheria degli anni Cinquanta da diva dei telefoni bianchi l’abito da sera di Dolce & Gabbana, autunno-inverno 2019/2020.

Perfino un grande maestro come Giorgio Armani trasforma il basamento del suo "Silos" in un labirinto di corridoi fiocamente illuminati di azzurro, come in un night club dove ci scambiano occhiate e flûte di champagne. Qui si rincorrono signore dal fascino androgino con i pantaloni da amazzone e signori elegantissimi in abiti blu o neri. Una lezione di grande attualità: ritornare a flirtare è la massima forma di reciprocità seduttiva. Come scriveva Jean Baudrillard, «è solo la seduzione a mantenerci vivi».

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Una proposta da sera di Giorgio Armani per l’autunno-inverno 2019/2020.

Alla fine di questa troppo breve fashion week milanese quel che rimane, quel che veramente diverrà tendenza, è il ritorno alla centralità del corpo, anche quando apparentemente è occultato: esemplare la collezione di Simon Holloway per Agnona, che rivisita il grunge in chiave lussuosissima e quieta, o nella bellissima sfilata di Paul Andrew per Salvatore Ferragamo, dall’appeal quasi monastico per minimalismo ma di eleganza suprema nell’esaltazione di una signora che sa quel che vuole e se lo può comprare anche da sola, senza nessun uomo accanto a fondere la carta di credito. E si torna al corpo anche nel défilé, con richiami al bondage e alle pratiche BDSM, di Donatella Versace (in alto).

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Un abito da sera in pelle disegnato da Paul Andrew per Salvatore Ferragamo.
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Il "grunge" deluxe di Simon Holloway per Agnona, dedicato al prossimo autunno-inverno 2019/2020.

Non è più tempo di spacchi, scollature, scosciamenti da velina anni Novanta: ma se tanto ci battiamo per la libertà, che ci sia dia anche quella di spogliarci. Il corpo rappresenta da sempre il punto limite della razionalità politica. Sul corpo si esercita e si definisce il potere ed è unico luogo dove il potere non può esercitare fino in fondo la sua autorità se non con la violenza: si pensi al corpo bruciato delle streghe, a quello autoconsunto di Gandhi, a quello amplificato dal web dalle Femen. È il posto dove sappiamo, godiamo, soffriamo. E moriamo. È il nostro unico strumento per vivere nel mondo, o per opporgli resistenza. Ci fa sperimentare sensazioni materiali e spirituali.

È questo il più bel messaggio che queste sfilate potevano ispirarci. Che buffo: un’industria che fa vestiti ci fa capire che è giunto il momento di toglierceli. O di farceli togliere.