1. ATLETE DA GUERRA Ginnaste irsute come centravanti del Borussia. Visi spigolosi, corpi vichinghi e suoni gutturali dalle bocche di lanciatrici di giavellotti. Cavie o eroine? Sui loro training fisici (e chimici) e sulla spregiudicatezza degli allenatori si sa tutto. Ma bisogna ammettere che quelle donne bioniche e consolatorie hanno contribuito a fare accrescere l’amore degli uomini anche per le olimpioniche più racchie.

2. BERLIN «A Berlino accanto al Muro / eri alta 1 metro e 75 / era tutto molto piacevole / lume di candela e Dubonnet con ghiaccio». Cosa può esserci di più perfetto di una città divisa, per raccontare la fine di un amore? Berlin (1973) è il disco maledetto di Lou Reed, il più dark e struggente. È il naufragio di Caroline e Jim, tossici americani incapaci di salvezza. Lou non aveva mai eseguito dal vivo l’album fino all’incresciosa decisione di farlo, nel 2006, con tanto di archi, voci bianche e buona pace di tutto il suo fascino disperato... Meglio berci su un Dubonnet con ghiaccio.

3. CHECK POINT CHARLIE All’alba della Glasnost per i ventenni europei era la meta on the road. La porta tra i quartieri (l’americano Kreuzberg e il sovietico Mitte) che rappresentavano due mondi, era una baracca ricca di citazioni. Alla fine portavi a casa un ricordo emo, un visto multicolor sul passaporto in totale distonia con una città in bianco e nero.

4. DOMENICA DELLE SALME (LA) Mestizia tremenda mestizia: non ricorderemo De André per il canto funebre di Utopia. Ma per una strofa, emblematica dell’( eccessivo) entusiasmo post comunista: «La scimmia del quarto Reich / ballava la polka sopra il muro / e mentre si arrampicava / le abbiamo visto tutti il culo».

5. DUE GERMANIE MEGLIO DI UNA Più che tra gli economisti, la riunificazione delle Germanie portò inquietudine nelle file dei tifosi azzurri. Dopo la storica partita di Amburgo ai Mondiali di calcio del 1974 vinta dalla Ddr sulla Germania occidentale per 1-0 (goal di Jürgen Sparwasser), tutti capirono che se le due nazionali un giorno si fossero fuse sarebbe nata la squadra più potente del mondo. E c’è chi rimpiange ancora quel muro calcistico.

6. FUNERALE A BERLINO L’agente segreto Harry Palmer-Michael Caine ritorna (nel ’66, dopo Ipcress) per far attraversare il Muro a un colonnello sovietico nascosto in una bara. Il plot è un guazzabuglio, ma tutti gli 007 del mondo in cambio di questa sublime spia miope, e con quegli occhiali lì. (N.B.: a proposito, senza il muro non ci sarebbe nemmeno stato Operazione Octopus).

7. FUTURE (THE) «Ridammi il Muro di Berlino / dammi Stalin e San Paolo / Ho visto il futuro, fratello: è un massacro / Le cose stanno per sfuggire in ogni direzione / Non ci sarà nulla / Più nulla che tu possamisurare / La tormenta del mondo / ha varcato la soglia». Per provare a rimisurare le cose, dopo The Future (del ’92) Leonard Cohen se ne va per sette anni in un monastero zen. Ma grazie a questo album aspettare un «miracolo a venire» non sembra poi tanto una follia.

8. GOODBYE LENIN Pellicola social-mammona di Wolfgang Becker, tra i pilastri dell’ostalgie. La madre del giovane Alex esce dal coma dopo la caduta del Muro. Per evitare che l’impatto con la nuova Berlino le sia fatale il figlio rifonda una rassicurante Ddr nel tinello, con tanto di biscottini autarchici e falsi tg di regime. Sorpresa finale: mammà progettava da tempo di svignarsela a Ovest.

9. GRAFFITI Il padre di tutti i graffiti e il nonno di tutti i graffitari. Senza il Muro non avremmo il genio murale di Banksy. Tra i primi ad abbellirlo ci fu Keith Haring, oggi è rimasto pochino: i mauerspechte, gli “scalpellini del muro”, spesso turisti, hanno rimosso tutto.

10. HEDWIG E IL SUO CM. A un anno dalle nozze con il bel Luther (che l’abbandona per un altro proprio il giorno in cui cade il Muro) chi consolerà Hedwig, trans che da bambino/a cantava il rock con la testa nel forno? Pur di scappare dalla Germania dell’Est e sposare Luther come donna, si è sottoposto/a a un cambio di sesso. Ma la “rimozione” dà il nome al musical e al film del 2002 Hedwig and the Angry Inch dello strepitoso/a John Cameron Mitchell.

11. JFK 26/6/63, J.F.Kennedy va a Berlino Ovest per dire ai tedeschi non vi stiamo lasciando soli: «Duemila anni fa l’orgoglio più grande era dire “sono un cittadino romano”. Oggi l’orgoglio più grande è dire “Ich bin ein Berliner”. Tutti gli uomini liberi sono cittadini di Berlino». 45 anni dopo a Berlino parla Obama. E siamo di nuovo tutti berlinesi.

12. “LEONKA” LOOK Cosa sarebbe un centro sociale senza una giacca mimetica sdrucita e tempestata di spille collettivistiche (meglio se del Genio Ferrovieri del Popolo)? Dopo 20 anni di reinterpretazioni stilistiche (da Diesel all’ultimo Balmain), è l’ora del vintage: provate a trovarne una originale, al mercatino del Mitte, a meno di 100 euro.

13. LETTERA A BERLINO Fa freddo durante la Guerra Fredda. Siamo nel ’55 e a scaldare il cuore dell’ingenuo tecnico Leonard Marnharm c’è la conturbante Maria. E Berlino, nel romanzo di Ian McEwan, è protagonista più importante dei protagonisti. Love story tosta mascherata da romanzo noir.

14. OMINO DEL SEMAFORO
Con quel cappello un po’ così, quell’andatura un po’ così... Pensare che nel ’61, quando Karl Peglau lo creò, quelli dell’Est lo detestavano perché troppo borghese. Oggi l’Ampelmännchen è il più ostalgico simbolo del tempo che fu.

15. SIPARIO STRAPPATO (IL) Non sarà questo del ’66 il migliore Hitchcock. Ma la scena in cui il fisico Armstrong-Paul Newman (che per carpire i segreti missilistici della Germania dell’Est finge di tradire e chiede asilo oltrecortina) incontra il leggendario professor Lindt è da antologia. Quello che scrive come un forsennato sulla lavagna la famosa formula, Paul Newman che cerca di memorizzare, quello che si volta e mangia la foglia: «Ma lei non sa niente!!!». Appunto. Ma una faccia da babbeo così bella non la rivredete mai più.

16. SPIA CHE VENNE DAL FREDDO (LA) Era il ’63 e John Le Carré era uno sconosciuto. Bam: esce il libro, l’autore viene portato alle stelle e non ne è più ridisceso. Ma in questo romanzo c’è qualcosa di ineguagliato. Se non l’avete già fatto leggetelo, e quando arrivate a «una voce, dalla parte occidentale del Muro, gridò in inglese: “Saltate, Alec, saltate!” », capirete di cosa stiamo parlando.

17. TRABANT (LA) Esiliata in Africa negli anni 90 (pure lì snobbata per eccesso di schianti mostruosi), l’Auto Unica della Ddr rinasce alla Mostra di Francoforte 2009 come prototipo molto eco, molto vintage, molto cara.

18. UNO, DUE, TRE! «Il capitalismo è come un pesce morto al chiaro di luna: luccica, ma puzza». Che mondo, senza Billy Wilder, senza la scena della folle notte all’hotel Potemikin, senza la Danza delle Spade sui tavoli... Senza il film che rappresenta una Berlino Est dove tutto era possibile: anche barattare una segretaria con un rivoluzionario.

19. VOPO I poliziotti della Ddr, che coi loro cappottoni e le armi scrutavano dalle torrette che nessun traditore passasse, si chiamavano così: vopos. Paroletta vagamente dadaista, mal combinata con la ruvidezza comunista. La (non) grandezza di Berlusconi è anche nei dettagli: vuoi mettere se in quella seduta del Parlamento europeo avesse detto a Schultz «la proporrò per la parte di vopo» (invece che di kapò)?

20. THE WALL Dieci anni prima ci avevano già pensato i Pink Floyd a dare una bella botta con The Wall. Nel monumentale tour, ogni sera veniva innalzato sul palco un muro in polistirolo tra la band e il pubblico, che a fine serata veniva abbattuto. Berlino non c’entrava niente. Però è stato meravigliosamente beneaugurante, no?