«Le cose cambiano, tanto vale cambiare con loro». Quante interviste avrà concesso finora? Un milione e ottocentomila? Dal vivo, per telefono, negli studi televisivi. Eppure ha ancora voglia di raccontarsi e spiegare. Affabilmente, da gran signora. Incisiva e libera per parte svedese (mamma Ingrid Bergman le ha passato tante cose), intellettuale per parte italiana (si sentono anche i geni di papà Roberto), Isabella Rossellini ha passato indenne tutte le fasi di una vita che avrebbe potuto prendersi tutto, anche la sua anima. È stata immortalata dai più grandi fotografi di moda (Bruce Weber, Richard Avedon, Helmut Newton, Peter Lindbergh, Robert Mapplethorpe...), ha recitato in Velluto blu e La morte ti fa bella, è stata la moglie di Martin Scorsese e del modello Jon Wiedemann e la donna di Mikhail Baryshnikov e di David Lynch e poi, quando non la cercavano più come prima, si è messa a interpretare mantidi o papere in Green Porno e Seduce Me, serie di film brevi sul comportamento sessuale degli animali che hanno conquistato con ironia gli ambienti indie del cinema. 19 anni fa Lancôme, alle cui campagne prestava il volto, le aveva dato il benservito per sopraggiunti limiti di età. Oggi la rivuole indietro.

Come ci si sente a venire reincoronata testimonial di bellezza a 64 anni?
Per essere precisi, mi hanno solo chiesto di tornare nelle relazioni pubbliche. Che significa rilasciare interviste con persone come lei, andare nei department store a incontrare le clienti bevendo qualcosa... Almeno, una volta si faceva così, andavo in Cina e incontravo le ragazze che erano state formate per fare le vendeuse. Dovevano imparare tante cose che non sapevano, come parlare guardando la gente negli occhi. Ma non mi hanno chiesto di rifare la pubblicità.

Peccato.
Peccato, anche io me lo sono detta. Ma è un piccolo passo in avanti rispetto a prima. D’accordo, Lancôme ancora non ce la fa a credere che donne di 60 anni possano allettare delle persone a comprare dei prodotti, ma almeno mi hanno messa nelle relazioni pubbliche.

È vero che stanno pensando di togliere la denominazione “anti-age” dalle etichette?
Sì, e lo trovo più rivoluzionario di aver chiesto a me di tornare. In Lancôme c’è questa nuova direttrice generale, Françoise Lehmann, molto attenta alla sensibilità delle donne, è lei che sta facendo progressi, e io le vado dietro. Il mondo del beauty, paradossalmente, è quasi sempre diretto da uomini. Che non hanno mai capito certe cose, per esempio che per le donne la cosmetica non è legata solo, o non particolarmente, all’idea di rimanere giovani o sedurre. Nella mia esperienza personale, ai mariti neanche piace il trucco, e uno se ti deve baciare non ha voglia di mangiarsi il rossetto. No, è più un gioco tra donne, riguarda la loro complicità e il divertimento, aspetti che non sono mai stati comunicati. Voglio dire, se io fossi stata dirigente della Harley-Davidson avrei fatto delle motociclette silenziose, con due ruote dietro per essere più sicure. Non avrei mai venduto una moto.

Come fa il volto di un’attrice a diventare e restare timeless ai tempi della sovraesposizione digitale?
Ma il cinema muto era l’internet dell’epoca, sa? Andavano in cinquemila in un cinema, quando adesso in una sala grande ci saranno 800 posti, a dire tanto. In cinquemila vedevano gli stessi volti nello stesso momento. Certo si facevano 30, 40 film all’anno, non di più, mentre adesso ce ne sono migliaia a disposizione e immagino si verifichi un certo... Chiamiamolo consumismo della faccia. Però quando uno guarda indietro si accorge che, d’accordo, sono rimasti alcuni nomi, penso a Greta Garbo, a Marlene Dietrich, a mia madre, ma ce n’erano tanti altri che sono un po’ spariti. Ciò che resta del passato sono le carriere che hanno avuto grandi picchi magari con momenti di down. Delle carriere medie, anche se appartengono ad attori bravissimi, la gente si scorda. Penso a Sissy Spacek. Quando lavorava, ogni anno arrivava un Oscar o una nomination, ma non la vediamo e non la sentiamo più. Avrà avuto motivazioni personali, figli, si sarà scocciata di invecchiare e di andare ai provini per sentirsi dire “no no no” e si sarà detta sai cosa c’è, me ne vado e faccio un altro mestiere. Fatto sta che nessuno ce l’ha più in testa. Mentre Meryl Streep, per esempio, lei ha resistito.

A proposito di cinema muto, cosa ci fa il suo nome nel cast del film Silent Life di Vladislav Kozlov?
Ah, sì, un progetto molto eccentrico di un ragazzo russo che di tanto in tanto quando gli viene in mente gira delle scene, chiede un po’ agli amici... Lui assomiglia a Rodolfo Valentino e ha voluto fargli un omaggio, però ha scritto il copione per se stesso. Un progetto molto all’avanguardia, a volte mi diverto a partecipare a queste cose, lavorare con i giovani, alle prime regie.

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Alexi Lubomirski per Lancôme
Nei panni di Rita, Isabella Rossellini interpreta una sofisticata, cattivissima boss del racket della cartomanzia in Shut Eye, serie tv di Hulu.

Sembra si sia divertita anche a girare Shut Eye, la serie tv in cui interpreta una feroce matriarca rumena a capo di un racket della cartomanzia.
Se uno nella vita non ha mai ammazzato, non ha mai fatto parte della mafia, solo dal cinema può imparare. Così mi sono riguardata Marlon Brando e Robert De Niro ne Il padrino. Erano così benevoli negli atteggiamenti, sembrava che ascoltassero gli altri ed è giusto, perché un “grande capo” è crudele, tutti sanno che può ammazzare, ma non si sporca certo le mani. Marlon Brando era davvero un nonnetto carino e io in Shut Eye sono una nonna attaccatissima ai nipoti, cucino, però sono proprio cattiva. Pensi che non sono neanche mai andata dalla chiromante. Anzi sì, una volta da piccola, avrò avuto 19 anni, mi aveva detto una cosa vera: attraverserai l’oceano e vivrai in un altro continente. All’epoca stavo a Roma e ho detto «bullshit!», stupidaggini, e invece aveva ragione lei.

Nei salotti dei cinematografari l’esoterismo è una faccenda seria, lei non ne subisce il fascino?
Sono agnostica, sia per quanto riguarda Dio che per quanto riguarda queste cose.

Che però non invecchiano mai, non trova? A differenza della tecnologia, che quando nasce è già da rottamare...
Sì ma non internet, che è stato come l’invenzione del fuoco e sta cambiando il nostro mondo completamente, non abbiamo ancora idea di quanto. Vedo mia figlia (Elettra Wiedemann, ndr). È nata nel momento in cui i computer sono arrivati, e ancora si ricorda come si scrive una lettera. Mio figlio (Roberto, adottato, ndr), arrivato nove anni dopo, sa usare solo il computer. C’è già un abisso tra loro due.

Cosa l’affascina dell’etologia?
Mi piacciono gli animali da sempre. Quando a 42 anni Lancôme mi ha mandato via, quasi subito dopo anche il cinema... È finito anche quello. Ma si è aperto un dipartimento di etologia qui a New York, vicino a casa mia, quando prima bisognava andare in Florida o in Wisconsin, o in Inghilterra. Invece che starmene ad aspettare davanti al telefono che qualche produttore o fotografo mi chiamasse, ho fatto altre cose. Credo sia questo il timeless, saper aggiungere capitoli alla propria vita, non restare fermi, attaccati a un momento di gloria dicendo «non te ne dovrai mai andare via». Le cose cambiano comunque, tanto vale cambiare con loro.

Penso all’immenso archivio di materiali che riguardano la vita di sua madre. Cosa l’ha colpita particolarmente?
Mia madre diceva che quello che aveva fatto e soprattutto gli artisti con cui aveva lavorato andavano celebrati: Alfred Hitchcock, John Steinbeck, Ernest Hemingway, George Cukor, mio padre, Ingmar Bergman. Aveva messo da parte lettere, copioni, contratti... Abbiamo dato tutto alla Wesleyan University, dove fino ad allora avevano tenuto solo materiale di registi. Ho lavorato personalmente per 35 anni a questo archivio ma la vera sorpresa è arrivata all’inizio, quando ho letto delle lettere che non aveva pubblicato nella sua biografia. Era il carteggio con la sua migliore amica, la moglie del produttore di Via col vento e Rebecca, David Selznick. Irene era anche lei produttrice ma soprattutto di teatro, portò in scena Un tram chiamato desiderio. Lei e la mia mamma parlavano molto di lavoro, si scambiavano un sacco di idee e mi aspettavo una corrispondenza in tono con due signore dalle carriere così importanti. E invece parlavano solo di bambini, appendiciti... Una cosa tenerissima che non avevo percepito da piccola: l’attenzione, la preoccupazione che dominava tanti dei loro pensieri era su di noi, mi ha commosso. E trovo sia timeless l’amicizia tra queste due donne così contemporanee, che si domandano come conciliare la vita professionale con quella familiare.

Vorrebbe vivere abbastanza per vedere cosa?
Per essere tranquilla di aver lasciato ai miei figli un paese democratico. Siamo tutti molto preoccupati per l’elezione di Trump. Qui non si tratta di essere un po’ più a destra o un po’ più a sinistra. Mio padre ha vissuto due guerre mondiali e se le è fatte tutte e due; io ho 64 anni e non ho mai visto un conflitto da vicino. Mi sento così fortunata e speravo fosse un segno di progressione irreversibile, l’acquisizione evolutiva di un modo più civile di stare al mondo ma... Non lo so.

Che rapporto ha con orologi, sveglie, campane, tutto ciò che misura il tempo?
Che belle le campane! Non ce le abbiamo a New York, noi. Mi mancano tanto. Mio padre mi diceva che a Roma prima che ci fossero le auto si sentivano solo campane e fontane. Ora ti accorgi di una campana se hai la stanza vicino a una chiesa. Le fontane, invece, non le senti più se non quando ci passi di fianco. Tutti i centri urbani ormai hanno lo stesso rumore, di traffico. Anzi non è vero, adesso le città si riconoscono per il suono diverso delle sirene della polizia, dei pompieri e delle ambulanze.

Credits Alexi Lubomirski per Lancôme