Con la coda di cavallo e senza un filo di trucco, Margherita Missoni non dimostra proprio i suoi 32 anni. Ma anche così, la front-woman del brand più “famigliare” del nostro prêt-à-porter mantiene intatta tutta la luminosa aura di ragazza tra le più belle al mondo, consacrata dai magazine social-mondani globali. Questo nonostante sia ufficialmente da un paio d’anni la signora Missoni Amos, sposata con Eugenio, giovane imprenditore e pilota di Gran Turismo, in un romantico e mediatico matrimonio hippy chic. E dopo la trasformazione in mamma “bis”: del piccolo Otto, 18 mesi, e di un altro maschietto, ancora nel pancione e (molto) atteso a maggio («non so se sarà Toro o Gemelli, forse preferirei Toro», sussurra lei).

Tra un controllo di routine e il sonnellino del bambino, la incontriamo per farci raccontare il suo nuovo progetto stilistico che, guarda caso, è una linea per bambini, si chiama Margherita (questo sì che è fower power) ed è stata lanciata durante la fashion week di Parigi, alla presenza di amiche socialite come Bianca Brandolini d’Adda e Alexia Niedzielski. Che una Missoni crei vestiti non fa notizia, che lo faccia al di fuori dell’azienda di famiglia un po’ di più. Perché, sia chiaro, la nuova collezione 0-7 anni di Margherita viaggia totalmente da sola.

Scusa Margherita, ma mamma Angela (direttore creativo del brand Missoni) e nonna Rosita lo sanno?
[Sorride] Sì, sì... certo. Del resto mia madre quando aveva circa la mia età progettava un allevamento biodinamico di polli, quindi sa bene che cosa significa voler scegliere la propria strada... Ho anche l’approvazione della nonna, anche se le dispiace un po’ che per il momento io non stia in azienda. In effetti Missoni ha già una linea bambino, che tra l’altro per anni è stata sotto la mia supervisione, insieme agli accessori e ai bijoux. Ma è proprio questa la ragione: in questo momento della vita, con due figli piccoli, ho scelto di avviare un progetto solo mio, che posso organizzare in maniera indipendente, con i miei ritmi e senza interferire in qualche modo su meccanismi aziendali più complessi. In futuro, poi, si vedrà. Ma adesso sento il bisogno di stare con i miei figli, di riuscire a portarli all’asilo al mattino, il che non è una cosa così banale quanto sembra.

E quindi è nata Margherita Kids, una collezione di abiti semplici e freschi. Ispirati a quelli che portavi da bambina?
Diciamo che sono nati quasi per reazione: ho avuto la fortuna di crescere in un mondo molto colorato e libero, con poche regole, e nessuna che riguardasse l’estetica. Io e i miei due fratelli, Francesco e Teresa, potevamo vestirci come volevamo, non esistevano abbinamenti tabù. Quindi mi è rimasta una specie di fascinazione per certi punti fermi del guardaroba cosiddetto “classico” ma per me molto esotici, come il tessuto seersucker, il blu navy, le righe... Ho messo tutto questo nella collezione, reinterpretando a modo mio, con l’aggiunta di profli a contrasto, tessuti morbidi come il lino lavato, stampe batik disegnate apposta per la linea. Ma l’idea di sottofondo che volevo passasse è che “tutto deve stare bene con tutto”, in modo che i bambini possano scegliere i vestiti e indossarli da soli.

Un guardaroba in assoluta libertà, insomma. Un po’ come era il tuo...
Ricordo che da piccola non riuscivo proprio a capire perché le scarpe dovessero essere tutte e due della stessa tinta. Tanto è vero che quando mia nonna Rosita mi ha portato a comperare degli stivali da pioggia, l’ho talmente sfinita che alla fine l’ho convinta a prenderne due paia, e finalmente ho potuto metterne uno verde e uno fucsia. Ma la cosa più tenera è che poi la nonna ha continuato a regalarmi sandali o friulane in doppia coppia, per mescolare i colori. Avevo sempre anche tre fiocchi in testa.

Del resto, colori e fantasia sono il motto di famiglia.
Senza dubbio. Quando ero incinta di Otto, mio marito Eugenio non faceva che ripetermi: «Rosso?! Vuoi vestire un neonato di rosso?». Era terrorizzato di avere a che fare con una neomamma fricchettona; adesso si è tranquillizzato. In realtà, per Margherita Kids ho scelto dei colori chiari, diretti, brillanti. Evitando un po’ una tendenza del momento, lo sdoganamento nell’abbigliamento bambino delle tinte acide, in stile anni Cinquanta, quelle che mia madre Angela definirebbe da “terzo gusto”, né buono né cattivo. Più di ogni altra cosa ho puntato sulla comodità, perché quando è nato Otto ho scoperto che metà dei vestiti che mi avevano regalato non riuscivo nemmeno a infilarglieli. Come se chi facesse moda per bambini i figli proprio non li avesse! Tutti i miei vestiti hanno le alette e i giromanica comodi, uso flati soffici come jersey, pile e cashmere, niente angore che lasciano i pelucchi in bocca. Ho lavorato su un altro aspetto: il range di costo è tra i 30 e i 60 euro, piuttosto accessibile.

Anche il marchio, una margherita che sorride, è un’idea tua?
Allegra, vero? La grafica è opera di un mio giovane collaboratore, l’abbiamo utilizzata anche sulle t-shirt di Gold for Kids, un progetto molto serio della Fondazione Umberto Veronesi, a cui io e mia sorella Teresa facciamo da madrine.

Una profusione di margherite, quindi...
Quando ho scoperto che nessuno aveva registrato il marchio Margherita non ho resistito; devo ammettere che essere “la margherita “della moda è un’occasione gratificante. E poi è un nome che funziona ovunque: negli Stati Uniti, per esempio, mi basta spiegare che si pronuncia “margherita” come la pizza, e non “margarita” come il cocktail.

In un’intervista a un giornale americano ti sei definita anche una country-girl, una ragazza di campagna...
Assolutamente, credo sia stata una gran fortuna crescere a Sumirago, vicino a Varese. Anche mio marito è dei dintorni. Ti assicuro, però, che per chi non ci è nato non è così facile adattarsi alla campagna. Io ci sto benissimo.

Cosa significa, nel quotidiano?
Per esempio che almeno un paio di volte alla settimana sono alla Fattoria Pasqué, un’azienda agricola dove si compra verdura biologica e si gioca con capre, cavalli, mucche, maiali. Con il risultato che Otto ha appena iniziato a dire qualche parola, ma sa già fare il verso di tutti gli animali, e non ne sbaglia uno. L’altro giorno è venuta a trovarci una mia ex tata, mi ha promesso che la prossima volta che andrà con i nipotini a cogliere i bucaneve nei prati porterà anche lui. Vivere in una comunità piccola è anche questo, sentire l’abbraccio e la protezione di quelli che ti stanno intorno.

Da mamma, cos’è cambiato nella tua vita?
Un po’ come ogni neogenitore, mi preoccupava l’idea di dover rinunciare a qualcosa. In realtà è tutto molto naturale, non sento di sacrificare proprio nulla. Certo, all’inizio ero sotto shock. Mi ricordo che a una mia amica già mamma ho chiesto: «Ma poi ritorna tutto normale, vero?».