A Pantelleria, lungo un affascinante e assolato sentiero nelle località di Mueggen, sorge un dammuso isolato, tra i vigneti eroici dell'isola. Vengono chiamati così perché diversi da quelli a vite alta, più comuni: sono molto bassi e per raccogliere l'uva, quando arriva il tempo della vendemmia, ci si deve piegare parecchio. Ebbene, fra questi doni della natura, in quella casa vista mare, vive Alessia Paire, piemontese di nascita, la quale, eroicamente, ha scelto il mondo pantesco come metafora di cambiamento. Lì, sul terrazzo, lavora al telaio con il quale tesse i capi del suo progetto Atessa, nato con l'intento di riconnettersi con la natura e i passanti che, incuriositi da un bellissimo cartello, possono visitare la sua arte, e tra un caffè e un racconto, scoprire il suo mondo. Come abbiamo fatto noi, in questa intervista.

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Atessa

Dipaniamo la matassa: perché hai deciso di rivoluzionare la tua vita?
Ho rivoluzionato la mia vita per una necessità emotiva. Da tanto tempo facevo cose che non mi soddisfacevano ma che portavo avanti per responsabilità, finché non ho cominciato a gestire un rifugio in montagna, quasi per caso. Questa esperienza ha “svegliato” delle attitudini assopite, facendomi scoprire cose che non sapevo di me. A un certo punto, quindi, ho deciso di scegliere tra l’essere soffocati e il sentirmi appagata: ho optato per la seconda.

Ricordi esattamente quando hai scoperto il telaio e quando, invece, Pantelleria?
Il telaio circa cinque anni fa, durante un workshop sulla tessitura a Ostana, vicino a Cuneo, un piccolo paese ai piedi del Monviso. Mi hanno sempre affascinato i vecchi mestieri. In quell’occasione ho conosciuto Matteo, tessitore, il quale ha persino brevettato un telaio. Mi ha aperto un mondo davvero interessante, rispetto alla filatura che è un po’ più statica. Ho immaginato subito cosa potevo realizzare, ovvero i capi che creo oggi, dagli abiti ai gilet, passando per le borse. Ma anche tessili d’arredamento. Poi con questa persona ho fatto un corso più approfondito, in cui, oltre che insegnarmi a tessere, ho appreso il mito della tessitura, il linguaggio che c’è dietro. Pensa che ci sono state delle popolazioni che non sapevano scrivere e si tramandavano messaggi attraverso questa magnifica tecnica. Coincidenza ha voluto che scoprissi Pantelleria nello stesso periodo. Volevo visitarla, semplicemente. Inizialmente ha deluso le mie aspettative: appena arrivata c’era brutto tempo, pioveva. Poi al mattino, dopo aver visitato l’isola, ho “sentito” che, pur essendo molto diversa dagli ambienti in cui mi sentivo a casa, aveva qualcosa in comune con loro.

Lasciare una realtà familiare in provincia di Cuneo per approdare in un’altra selvaggia, a tratti fredda, come Pantelleria. Perché?
Perché è “nuda”, autentica. Ti porta a metterti in discussione. Lo stesso avviene in quando si va in alta montagna: o ti adatti o non fa per te. Chi sceglie quest’isola lo fa per cercare l’essenza delle cose, lasciando indietro il superfluo.

Come si relaziona questa scelta con il tuo lavoro a telaio?
Sicuramente l’isola è una fonte d’ispirazione. Per i suoi colori e un certo magnetismo. Inoltre offre l’opportunità, da non sottovalutare, di tessere all’aperto. Uso telai “nomadi”, così li ha chiamati il loro creatore, Matteo. E così tesso sul mio terrazzo, cercando di sentirmi in armonia con il tutto. Anche per via della natura, in senso ampio. Dicevo che i colori m'ispirano, tutti, da quelli dei fiori alle sfumature del mare. E poi la natura per i suoi elementi, come la luce del sole.

Ricordi il tuo primo telaio?
Certamente. Me lo ha regalato il mio compagno, complice Matteo. Mi sono commossa.

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Atessa, così hai chiamato il tuo progetto: che mondo esprime questo nome?
Il nome è venuto per caso e a esso ho aggiunto “il filo delle cose”. Nel senso che noi, metaforicamente parlando, tessiamo ogni giorno della nostra vita, e con questo filo leghiamo anche i rapporti umani, non solo i tessuti per fare un abito o un accessorio. Ecco perché in ogni lavoro che consegno, sul bigliettino che lo accompagna, lascio sempre lo stesso pensiero: “I nostri giorni sono ordito e trama”. È una frase che cerco di ripetermi spesso, per ricordarmi di vivere il mio "oggi".

Come nasce il logo, una sottile e sofisticata ragnatela da cui emerge la scritta Atessa?
Nasce dal pensiero che la tecnica che realizzo, come molte cose che facciamo s’ispira alla natura. E la tessitura più elementare, nota e conosciuta, è proprio quella del ragno. Ma anche il fico d’India rivela una trama simile, quando si secca. Il logo l’ha disegnato mia figlia.

Su Instagram pubblichi anche immagini del tuo quotidiano, oltre che dei tuoi lavori. La tessitura come stile di vita e metafora di scelte in grado di andare controcorrente?
Non so se sia andare controcorrente. Forse sì, rispetto ai ritmi di oggi. È la voglia da parte mia di riconnettermi con le persone, condividendo pensieri e storie. Per me stare qui a Pantelleria e tessere significa questo. Perciò ho messo in terrazza e in un piccolo dammuso dietro casa le mie creazioni: chi passa può fermarsi e fare due chiacchiere, raccontarsi ma anche conoscermi. E se poi acquista bene, non fa che rendermi felice.

Insegnaci a lavorare a telaio. Si avvicina la stagione fredda, decidi di fare una sciarpa: quali sono gli step necessari per realizzarla?
Le fibre vegetali non le userei. Sono tipo lino, cotone, canapa, ortica e bambù. Utilizzerei quindi la lana, in tutte le sue versioni. Poi la creazione va un po’ da sé. Posiziono tutti i miei gomitoli e li guardo, come se dovessi scegliere dei colori per dipingere. A volte li seleziono anche strada facendo, creando l’ordito con uno o più di loro. Oppure cambio anche tipologia di lana per avere effetti diversi, non solo alla vista ma anche al tatto. Penso a un gusto classico ma assecondando la mia creatività. Armo quindi il mio telaio, la base su cui tessere. Una sorta di foglio su cui disegnare. Via via che intreccio poi, alla fine, ne esce il risultato. Quindi la nostra sciarpa. Il modus operandi è più o meno lo stesso anche per le altre cose.

Cosa stai tessendo al momento?
Guarda caso ho appena appena finito una sciarpa in baby alpaca bouclé. L’ho appena lavata.

Perché lavata?
Perché quando si tesse i fili sono tesi al telaio, li si lava per farli rilassare. L’effetto è meraviglioso, ancora più bello di quando finisco di lavorarli.

Ma osservi anche il mare nel frattempo?
Si sì. Sono qui, in terrazzo.