È iniziata con una stretta di mano. Una di quelle salde ma gentili, che danno e richiedono sia fermezza che premura. È quella del genitore che ha incontrato il fidanzato, del datore di lavoro che ha assunto la versione più giovane di sé: c'è un rigore rassicurante in quel modo di stringere la mano. Lo stesso che ha dato il via alla nostra visita, a Reggio Emilia, delle Manifatture di San Maurizio di Max Mara. A tenderci la mano c'era Giuseppe Bacci, Direttore delle Manifatture di San Maurizio; ad accoglierci, oltre a lui, un silenzio delicato.

Dietro la mancanza di rumore c'è la concentrazione, dietro ogni movimento la cura della gestualità e del dettaglio. È logico, certo, ma ci meravigliamo comunque non appena entriamo nelle Manifatture di San Maurizio, il cuore pulsante e produttivo di Max Mara dove vengono realizzati i capispalla diventati iconici. E dove regna un silenzio simbolico.

La cultura della qualità

Com'è possibile che oltre 300 persone e un numero consistente di macchinari coprano 10.000 mq senza far rumore? È possibile, perché fa parte di quella cultura della qualità di cui Max Maravanta il primato. Interrotto dall'azionarsi di una macchina, dal cambio d'aria che avviene 6 volte all'ora e dalle risate spontanee fra colleghe, il silenzio delle Manifatture Max Mara è il simbolo di un processo metodico che ha come obiettivo finale il prodotto. Che, in questo caso, è uno dei 450 capispalla realizzati ogni giorno e destinati ad entrare nei guardaroba delle donne. Di qualsiasi tipo di donna, come si augurava Achille Maramotti, fondatore di Max Mara.

Non è come un pandoro

"Non basta una manciata di zucchero a velo per coprire tutto e farlo sembrare bello e buono". È il signor Bacci a parlare e a descriverci un metodo di lavoro che affonda le sue radici nella tradizione della Maison e che, però, con gli anni si è innovato e rinnovato. Flessibilità è una delle parole chiave di Max Mara: serve mentre si immagina un capo, quando si compra un macchinario, quando si ridisegna un modello. Serve soprattutto per adattarsi a una legge del mercato che non ha regole fisse.

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Di questo modello noi ne abbiamo scoperta una parte, quella dedicata alla creazione dei cappotti-icona di Max Mara come il 101801, il Manuela e il Teddy Bear, veri must have dei guardaroba che cedono alle lusinghe dell'utility luxe, filosofia ed heritage della Maison. Eleganza e praticità sono i tratti fondanti di tre cappotti iconici, diventati simboli del vestire del 21° secolo. Il 101801 non ha bisogno di presentazioni: la sua linea over, la manica a kimono, la chiusura a doppiopetto e l'inconfondibile color cammello hanno ridefinito i confini di un capospalla diventato leggenda. Il cappotto Manuela è un altro investement piece di Max Mara: espressione di una moda versatile ed elegante, lo vediamo nelle nuove sfumature proposte quest'anno dalla Maison - rosa, giallo, verde menta e azzurro - capaci di riflettere una personalità dolce, ma determinata. L'ultimo arrivato in casa Max Mara è il Teddy Bear: un vero abbraccio caldo di stile ed eleganza, la cui incredibile morbidezza è resa possibile dall'incontro fra cammello e seta.

Per prima cosa, molto prima dei capispalla esposti sulle grucce, compaiono nuovamente delle mani. Quelle che stringono matite appuntite e idee, tracciando sui bozzetti lo studio che misura e definisce le linee di un cappotto: succede per ogni nuovo modello o per ridefinire i confini e le silhouette di quelli vecchi. Poi, dalle mani che disegnano si passa a quelle che sfiorano, lisciano, esaminano: dalla bidimensionalità, si passa alla tridimensionalità, ovvero al prodotto in sé che segue un iter di azioni, composizioni e tagli. Ben 100 fasi e dalle 3 alle 5 ore di lavoro sono necessarie per un solo capospalla.

Quello che abbiamo visto nelle Manifatture San Maurizio, ovvero: il capitale umano

In ogni fabbrica, anche nelle più silenziose, ci sono due tipi di mani: quelle elettroniche, dei macchinari, innanzitutto. Ma "la macchina più forte è quella umana, le nostre mani l'unica forma di controllo efficace": mentre Giuseppe Bacci ci guida da una postazione all'altra, ci accorgiamo che non è solo un modo di dire. Ci avviciniamo alla prima macchina, un'elaborata forma di laser che taglia tela dopo tela le componenti di ogni capospalla. La macchina incide, certo, ma sono le dita dell'operaia a settare le indicazioni e ad esaminare ogni pezzo per assicurarsi che, una volta impilati, non ce ne sia il minimo errore. I pezzi, poi, verranno raccolti e assemblati da un'altra macchina, ma servirà anche l'aiuto e la saggezza delle mani di altre operaie ancora per realizzare un'icona.

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L'operaia, sì: abbiamo visto molte donne dietro le macchine da cucire. Non mancavano gli uomini, ma le dita agili, veloci ed esperte erano soprattutto quelle femminili. Questione di gender? No, questione di tradizione, di un lavoro che si passa di generazione in generazione e che conosce davvero il significato e l'importanza del "know-how".

Ci sono, quindi, i macchinari e le macchine da cucire. Ma ci sono anche i (tanti) aghi: alcune rifiniture vanno fatte manualmente, proprio per rispettare quel metodo qualitativo e di attenzione al dettaglio. È proprio lì che si vede la sartorialità, nel dettaglio: anche se siamo in una fabbrica, il 20% di ogni capospalla è fatto a mano e questo ne definisce i contorni e i connotati di icona stilistica. Un esempio? Nel 101801, l'asola è tagliata manualmente e i bottoni sono cuciti uno ad uno. Alla vecchia maniera.

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Proprio quella maniera che insegna che "toccando si impara", come dice una delle operaie. Una volta terminata la composizione del cappotto e la cucitura a mano dei dettagli, arriva il momento della stiratura. C'è il ferro a vapore, ma c'è anche la realizzazione di alcune pieghe e la lisciatura di altre: e queste non le può fare un macchinario.

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Prima di tornare a casa, abbiamo stretto nuovamente quelle mani, salutando Max Mara e chi ha aiutato a rendere la Maison unica nel panorama italiano. Chi lo ha fatto dietro le quinte e in silenzio: quel silenzio di chi sa che con le sue mani sta facendo la storia.