Se in tempi lontani a mettere naso (e pecunia) in politica erano solo i letterati che, straordinariamente, si facevano voce delle masse. Oggi, a essere engagé, sono le modelle. Figure e mondi di riferimento a primo acchito inconciliabili tra loro, ma che lo sfacciato mash-up sociologico odierno ha reso possibile. Non storcano il naso, quindi, i puritani della res publica, ché nel 2017 le mannequin le “costruiscono” dotate di materia grigia. Oltre che dei consueti - e sovrumani - stacchi di coscia. Con una falcata - resa possibile dal suddetto stacco - degna di una Top, la 24enne Adwoa Aboah indossa a pennello quell’epiteto coniato da Sartre negli anni Quaranta, per riferirsi agli artisti “impegnati”.

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Chi è Adwoa Aboah? Metà ghanese, metà inglese, attrice, modella, attivista e neo-avvocatessa. Ce le ha tutte lei? Sì. E, difatti, lo sanno bene le maison che se la sono contesa recentemente a suon di passerelle e scatti fotografici. Pelle color caramello impreziosita da una cascata di lentiggini, lineamenti decisi ma raffinatissimi, tipici di quelle modelle che “possono far tutto”. Last but not least, se non è struccata (questo il suo “trucco” cavallo di battaglia), predilige i makeup ‘90s style. A partire dagli ombretti ramati da abbinare alla sua chioma - quasi - rasata (Cara Delevigne spostate). É stata volto e corpo (tonicissimo, manco a dirlo!) per: Calvin Klein Underwear, H&M, Fendi, DKNY, Alexander Wang, Versus, Topshop, Rihanna x Puma, Kenzo, Simone Rocha, Erdem… Dobbiamo continuare? Massì: cover girl su i-D, e quasi tutti i Vogue ovviamente (dove lo scorso marzo ha posato in compagnia di Liu Wen, Ashley Graham, Kendall Jenner, Gigi Hadid, Imaan Hammam e la nostrana Vittoria Ceretti).

Però c’è un però, la vita di Adwoa Aboah non è sempre stata tutta un bling-bling di red carpet e jet privati. Da giovanissima, quando inizia a lavorare nel mondo della moda, sperimenta i lati oscuri di quell’universo così patinato all’apparenza. Perdere alcuni lavori ed essere giudicata per il suo aspetto così poco stereotipato sono le ragioni che la spingono verso l’alcolismo, da cui si scatena un lungo periodo di depressione che la porterà a tentare il suicidio. E, a differenza delle belle storie raccontate in tivù, da quel punto così basso della sua vita Adwoa non si riprende tanto velocemente. “Determinazione” è il significato del suo nome secondo la cultura Ashanti, e svolgerà un ruolo quasi profetico durante il corso della sua guarigione.

Nel 2014, di ritorno da un incontro di riabilitazione nasce l’idea di Gurls Talk. Una missione contro chi ti fa sentire una chiavica perché non assomigli alle ragazze-cartellone, il desiderio di sdoganare i tabù attorno alla salute mentale, sessualità libera, body shaming. Gurls Talk è, infatti, un movimento che si batte per e con le donne di qualsiasi età ed estrazione sociale, al fine di creare spazi (non solo digitali) di condivisione e confronto. Che sia alzando la voce in piazza o utilizzando l’hashtag #letsgetgurlstalking, ognuna con i propri background sulle spalle può condividere esperienze, sensazioni e racconti su cosa voglia dire essere una “girl” nel 21esimo secolo. E siccome Adwoa di moda ne mastica, e non poco, poteva esimersi dal creare la propria capsule collection per Gurls Talk? No. E infatti, oltre che lo zampino ci ha messo pure la bocca. Le sue labbra - carnosissime, e te pareva - con diastema in bella vista campeggiano sulle t-shirt bianche, che è possibile acquistare direttamente online su Everybody.world «Compratele! Sono meglio delle magliette di Justin Bieberscrive la Top su Instagram. Strategia di marketing in stile “accattatevill!” a parte, così facendo Adwoa mette fine al connubio imperante modella-rapper (primi su tutti Bella Hadid e The Weekend). Non è mica scontato, di questi tempi, prendersi gioco pubblicamente dell’ossigenatissimo idolo delle ragazzine (e meno ragazzine) senza essere mediaticamente massacrati. Lei sembrerebbe far spallucce e, sempre sui social, abbraccia la sua “musa” Lauryn Hill, l’unica «che con la sua musica ha saputo portare felicità nella mia vita”»

«Non amo posare nuda», rivela in un’intervista. A meno che non si tratti di battersi per i diritti in rosa. Fiera sostenitrice della corrente #FreeTheNipple, l’abbiamo vista a torso nudo per le strade di Los Angeles sventolare, insieme ad una miriade di attiviste teenager, il manifesto “My body, my business. It’s not a nipple thing, it’s an equality thing”. E se qualcuno la taccia di non essere una “vera femminista” perché supporter delle ballerine che lavorano nei night club, lei risponde sicura: «Tutti noi vendiamo qualcosa, tanto nella vita quanto nella carriera. E chi lavora per seguire una passione o essere economicamente indipendente non può che avere il mio rispetto».
Promuovere l’amore per il proprio corpo, è questo quello che sta a cuore alla modella politically (un)correct. Che al mattino augura (su Instagram) il buongiorno tra un tiro di Camel e un tailleur di Chanel. Mentre la sera, con una guêpière da capogiro scrive: «Indosso lingerie per me stessa. Perché non lo fate anche voi?».

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