Collezionare abiti significa mettere insieme il tempo e i tempi. Se da un lato è perfino ovvio che, stagione dopo stagione, la moda modella e si fa modellare dallo Zeitgeist, dall'altro lato la dimensione temporale - che soprattutto nell'haute couture è un dato fondamentale - del "quanto ci si mette", diventa valore inestimabile di fronte alla vorticosa rapidità con cui il sistema-moda oggi sforna prodotti su prodotti a ritmi sempre più insensati (e no, purtroppo non ci riferiamo solo alle catene di fast-fashion).

Enrico Quinto e Paolo Tinarelli, un po' per hobby un po' per gioco e molto per passione, nel corso degli anni hanno costituito uno dei più importanti archivi privati di creazioni italiane: tutto ha avuto inizio quando i due hanno inventato a Roma il mercatino del Borghetto Flaminio, primo spazio capitolino che dava la possibilità ai privati di disfarsi di quanto era superato, superfluo e inutile nelle loro cantine e nei loro armadi. Ora ne rendono visibile la sezione più importante nel libro Italian Glamour - L'essenza della moda italiana dal dopoguerra al XXI secolo (Skira).

Un volume ricco di immagini e di contributi di penne d'eccezione, da Adriana Mulassano a Bonizza Giordani Aragno, da Maria Luisa Frisa a Beppe Modenese, che esplica una doppia funzione: una più "superficiale", ma non per questo meno importante, di coffee table book bello da vedere e interessante da leggere e un'altra più "profonda", che permette di riflettere sul dato di un'identità nazionale rispetto a un'attività espressiva, quella del disegnare e fare vestiti, che nel corso di oltre cinque decenni assume caratteri sempre più specifici e "italiani" proprio mentre diventa più internazionale e globale.

Per una volta, la scansione cronologica - di solito sempre noiosa e prevedibile - è l'unica direttrice lungo la quale si può muovere un'idea, si può coagulare un pensiero: ovvero che il Made in Italy non è soltanto l'espressione di alcuni creativi illuminati dalla luce demiurgica dell'estro, ma è una procedura estetica che ha antenati aristocratici, protagonisti fuori dagli schemi, grandissimi outsider e ancor più grandi "facitori del gusto" in un viaggio ideale che porta dalle Sorelle Fontana a Miuccia Prada passando per Giorgio Armani, Valentino, Versace, Ferré, Krizia e un artista che dà forma allo spazio in sculture tessili intorno al corpo: Roberto Capucci. Sono solo alcune delle figure che hanno dato vitalità e forza alla moda italiana, ma soprattutto le hanno dato un senso sotteso a tutti i capi fotografati in Italian Glamour: la vocazione irrinunciabile alla modernità, la volontà di misurarsi con il contemporaneo senza quasi mai indulgere in ripescaggi o nostalgie. Una ricchezza di cui, naturalmente, oggi finiamo per - quasi volutamente - perdere la memoria, quasi come se per una strana e bizzarra maledizione il nostro fashion-system sia andato a un corso di autorinnegamento. Un grazie a Quinto e a Tinelli per costringerci ad aprire gli occhi su quel passato in cui immaginavamo il mondo con gli occhi del futuro. E un monito a tutti gli stilisti italiani a tenere duro affinché non perdano la priorità acquisita.