Ricapitolando: dopo dieci anni e passa, Marc Jacobs va via (o lo fanno andare) da Louis Vuitton senza neanche uno straccio di comunicato stampa e al suo posto forse arriva, o forse no, Nicolas Ghesquière che a sua volta era stato fatto fuori da Balenciaga per essere sostituito da Alexander Wang. Jil Sanderviene simpaticamente allontanata da Jil Sander, che è come dire essere espropriati del tuo nome comprato da qualcun altro (e poi ditemi se questa non è materia per un film di Woody Allen o da saggio psicoanalitico). Ora, dopo trent'anni di onorata carriera come direttrice artistica del marchio fondato da uno stilista cui è stata accanto per tutta la (di lui) vita, Rossella Jardini lascia Moschino per fare spazio all'irriverente Jeremy Scott.

Così sia. Non vogliamo certo fare filippiche sulla progressiva colonizzazione delle griffe europee da parte dei designer americani (che poi sarebbe l'ultimo baluardo da abbattere dopo i filmoni hollywoodiani, certi orridi bestseller letterari, belle serie tv e nefasti fast food). Però questo turnover di persone che lavorano dietro le piccole e gigantesche Nestlé del fashion-system, comincia a destabilizzarci. Insomma, come abbiamo già scritto, il grado di desiderabilità di un brand e dei suoi derivati deriva proprio dalla desiderabilità dei derivati. Se un abito o un paio di scarpe ci piacciono da pazzi, questo impeto al possesso può sorgere anche dal fatto che li amiamo perché disegnati da certe persone che non identifichiamo con la maison per cui lavorano. Lo sperimentalismo di Ghesquière è indipendente da Balenciaga, il talento di Marc Jacobs esiste autonomamente da Vuitton, il genio di Jil Sander può addirittura fare a meno del suo nome e cognome.

Ridotti a stipendiati di lusso, i designer di moda timbrano il cartellino di un estro a cottimo con sei/otto collezioni da ideare ogni anno e, se per caso il fatturato tende a flettersi, si ritrovano fuori. È la globalizzazione, baby. È la competizione di un mercato che segue gli andamenti della Borsa più di quelli delle borsette. Ma ai grigi signori della finanza bisognerebbe far capire che, a noi amanti della moda, il logo non basta più. Per quanto imperturbabili si possa essere di fronte a questo andirivieni di nomi che entrano ed escono dalle porte girevoli della multinazionali del lusso, vedere i propri beniamini scartati perché poco "performanti" (parola spaventosa) sul piano economico, ferisce un po'. A noi importa chi ha fatto le cose che ci piacciono, non ci accontentiamo di una shopping bag luccicante e con lo stesso logo da tantissimi anni. Praticamente da sempre.