C'è sempre un gran fermento al Grand Palais. Il merito, più che di fashioniste in attesa di una sfilata, è stato soprattutto di studentesse francesi (e qualche studente straniero) che si sono ritrovate per partecipare a una conferenza privata in cui Chanel ha risposto alle domande delle più curiose.
Coco ovviamente non c’era e neppure Karl Lagerfeld ma, a parlare per loro, in cattedra è salito il presidente moda del marchio francese, il brillante quanto di solito riservato Bruno Pavlovsky. Un pomeriggio in cui per la prima volta a Parigi le scuole di moda si sono trovate ad ascoltare e poi a discutere con quello che potrebbe essere il loro futuro capo.
“Brunó” (in Francia il nome lo accentano sempre) ha fatto capire come la base di tutto sia sempre e solo la creatività. «Non c’è ricetta di marketing, consiglio di gusto: da noi vincono le proposte più diverse e più varie. Impossibile piacere a tutti, non ha senso, l’importante è farsi conoscere, essere autentici e credere in quello che si fa».
Nessuna glorificazione personale piuttosto complimenti per quelle persone che lavorano con lui o che di sabato (era il 5 maggio 2018), senza obblighi o paghe, sono venute a partecipare alla giornata dedicata agli studenti. E fra tutti c'è stato Eric Pfrunder, direttore dell'immagine moda Chanel e braccio destro di Karl da più di 30 anni, che Pavlovsky ha pubblicamente ringraziato, invocando l'applauso, per tutti i contributi apportati alla maison. A seguire anche le persone che lavorano internamente all’azienda, sono state lodate a ricordo di come il valore del lavoro, della ricerca e dell’innovazione devono essere ancora i cardini del successo della #Chanelgeneration hashtag creato dalla maison per celebrare gli studenti e tutte le persone che, unite da una doppia c, vogliono vivere la moda creata in rue Cambon.
Una studentessa, che sta già facendo uno stage da Céline, alza la mano e chiede: «Con dieci collezioni all’anno se lavorassi da voi potrei mai avere una vita privata?«. Dopo l’applauso e le risate, Pavlovsky si fa serio e dice: «In Francia si lavora 35 ore alla settimana, quando abbiamo avuto delle emergenze legate al tempo o alle lavorazioni, abbiamo preso più gente».
E ancora: «Ma quante sono le quote rosa da Chanel? Karl Lagerfeld è uomo!» La risposta è tutta in un sorriso di stupore: «L’85% sono donne e non abbiamo mai avuto problemi ad assumere gente di nazionalità o età diverse. Quello che conta è che siano le migliori. O che lo diventino».
Le mani si agitano e continuano a chiedere i microfoni: «Perché avete fatto un’alleanza con il sito di e-commerce Farfetch quando non avete intenzione di vendere online?» «Vogliamo che studino per noi un modo per sedurre ancora di più le potenziali clienti. Il mondo è grande ma abbiamo bisogno di gente che lo conosca in ogni sua sfaccettatura».
«Come pensate di trarre beneficio dal sostentamento del museo della moda Galliera e dalla ristrutturazione del Grand Palais?» «L’abbiamo fatto per Parigi. Qualcuno doveva iniziare a rendere a questa capitale quello che abbiamo potuto mostrare al mondo grazie a questa fantastica metropoli».
«Scusi ma se riuscirò a lavorare da Chanel, avrò qualche riduzione sugli acquisti?» «Chi lavora con noi, propone sempre prima il meglio agli altri. E poi a sé stessi. Spero non sia la sola ragione per la quale vorrà lavorare con noi...» e la saggia risposta si smorza in una risata.
Bruno Pavlovsky, per una volta, non sembrava essere di fretta ma qualcuno gli ha ricordato l'ora per un impegno personale: «Scusate, mia figlia ha un saggio di danza e vorrei essere con lei» ammette pubblicamente. Un finale che ha scatenato un'ovazione: in molti hanno capito che da Chanel oltre alla creatività e al business, c'è anche il tempo per passioni e affetti.