Parigi, 1854. Firenze, 1921. Viene posata la prima pietra monogram (ça va sans dire) dei due marchi più famosi del 2018. Rispettivamente, 164 e 97 anni fa due couturier dall’attitude imprenditoriale decisamente spiccata fondavano le maison Louis Vuitton e Gucci. Case di moda che oltre ad essersi spartite lustri di gloria e di trascurabili capitomboli finanziari, insieme ad altre (poche) maison per lo più europee, sono diventate il feticcio logatissimo delle nuove generazioni X, Y e Z, dei millennials, di chi ha acquisito la “capacità giuridica di acquisto” solo da qualche anno. Di chi ha assistito alla nascita di ben altri marchi famosi (dal 2012 di Off-White al 2016 di Attico passando per il 2015 di GCDS), di chi nemmeno s’interroga sul perché della doppia G di Gucci ma che ricorda a memoria gli spostamenti bucolici di Alessandro Michele su Instagram Stories.

Se, in passato, sui giovani d’oggi ci si scatarrava su (citazione non richiesta), oggi le Maison che hanno compiuto da un pezzo le nozze di platino puntano quasi ed esclusivamente a quella piccola-grande fetta di mercato de-luxe che ha prospettive (di immaginazione e di fatto) indiscutibilmente più rosee rispetto a quelle dei loro genitori. E, per questo, decisi a spendere/investire/manifestare desideri di saffiano, di nappa impalpabile, di Taurillon martellato...

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Secondo un’indagine svolta da UBS Group AG e riportata da BusinessOfFashion.com su 3 mila consumatori cinesi, europei e americani, i ragazzi tra i 18 e i 35 anni hanno contribuito alla crescita del mercato di lusso dell’85%. Gucci e Louis Vuitton, quindi, si riconfermano tra i marchi più famosi del 2018 tra gli under 40, dati economici (e social-i) alla mano. Nonostante, quindi, la pratica dello shopping online sia in costante crescita, e non solo tra i giovanissimi, le boutique fisiche continuano ad essere il luogo preferito dove fare acquisti. Luoghi che, avanziamo noi, si prestano meravigliosamente ad essere (s)mostrati sui social network. Attori principali di questo processo di compra-vendita, neanche a fantasticar troppo, i millennials cinesi, i quali destinano più del 20% dei loro guadagni all’acquisto di beni di lusso. La côté italiana e americana, poi, rilancia con budget di investimento schiettamente più alti rispetto a quelli delle generazioni che li hanno preceduti. Come a volersi far giustizia da soli per le borse e gli orologi che non hanno ereditato.

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