Adesso che il mese delle Settimane della Moda è finito e che la New York Fashion Week si è svolta sotto il segno dell’inclusività, riflettiamo su uno di quei temi costantemente caldi che riguardano l’industria della moda: l’esordio (difficile) delle modelle dalla bellezza non convenzionale.

Non importa quanto siamo intelligenti o acculturati, nel nostro inconscio c’è sempre qualcosa che ci intimidisce davanti al "diverso". La barriera che ci poniamo di fronte alle modelle particolari, diverse, strane, non ha a che fare con i beauty standard imposti dalla società ma con il nostro istinto biologico. In poche parole, quello che chiamiamo “discriminazione” o “pregiudizio” non è altro che un segnale naturale, un istinto selvaggio di “paura” che serve come un allarme per proteggerci da eventuali pericoli sconosciuti. Qualcosa o qualcuno che non è simile a noi ci fa scattare immediatamente un senso di pericolo dentro, e una specie di sistema di difesa si attiva nella nostra testa. Ecco spiegato perché tendiamo a far amicizia o semplicemente stare con chi è o pensa come noi. Così, nel nome di questo senso di sicurezza condiviso, creiamo criteri e parametri per qualsiasi cosa, etica ed estetica compresi. Chiunque o qualsiasi cosa non corrisponda a questi standard, allora, “non ci riguarda” oppure è “da discriminare”. Da qui, la nascita di gruppi - dalle piccole gang alle nazioni ai gruppi religiosi.

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Ma la paura non è statica, anzi, tutto l’opposto. Se non trattata con le pinze (e con intelligenza), la paura tende a diventare enorme e a causare danni che vanno oltre il “pregiudizio a fin di bene”, pensiamo ad atti violenti, alle guerre, ai massacri studiati a tavolino.

Tralasciando storia e sociologia, e concentrandoci sulla couture mondiale, consideriamo le modelle dai look molto poco convenzionali. Per loro iniziare a lavorare nel mondo della moda è complicato non tanto per i parametri estetici consolidati dalle maison, quanto per il dover distruggere quel senso di paura del diverso che può rapire chi guarda. E le modelle asiatiche o di colore ne sanno qualcosa.

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In questo caso, però, la paura non ha per forza una connotazione negativa. Lasciarla letteralmente pascolare tra i nostri pensieri e nei discorsi che intratteniamo con gli altri, può rivelarsi illuminante. Sempre se trattata con intelligenza, ovviamente. Alleniamo le nostre menti, orecchie, occhi a notare sì, ma soprattutto apprezzare le differenze, educhiamoci. Perché, nel momento in cui il nostro cervello smetterà di vedere il nuovo come un pericolo, il senso di protezione verrà meno e potremo iniziare a conoscere l’altro davvero. Col tempo, ciò che prima era un nemico diventerà normalità. In fondo, niente è più malleabile delle nostre menti, c’è solo bisogno di educarle con intelligenza. Familiarizzare con il pericolo è l’unica via per vincere le nostre paure ancestrali.

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