Le sfilate, e più in generale l'intero carrozzone del sistema moda, vivono momenti più discussi di un film di Luca Guadagnino. Da un lato sembra che il sistema, così come è stato condotto finora, sia sorpassato, in declino, a favore di nuovi sistemi comunicativi (naturalmente, è tutta colpa dei social, senza rendersi conto che già questo sta diventando uno stereotipo, noioso e irreale come ogni stereotipi) e di parole che oggi fanno molto cool.

Defenestrato storytelling, oggi è il momento di narrazione; buttato a mare l'heritage, ora è figo parlare di rilevanza culturale. Dall'altro lato c'è un'attenzione al lavoro d'archivio, al metodo antologico, alla tassonomia estetica che tutto sommato fa pensare che, sia a livello organizzativo, sia quello di gradimento generale, forse è meglio lasciare le cose come stanno: fino al punto di rischiare un effetto nostalgia che non è solo la palpabile tensione che porta il gusto collettivo a sospirare al ricordo degli anni Novanta quando l'Italia era la patria del Nuovo che avanza. E oggi un po' meno.

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L’uscita finale della sfilata a cura di Concepy Korea.

Scisso tra opposte forze e contrarie opinioni, l'abbigliamento cerca di trovare strade, se non nuove, almeno poco battute. E fa tornare in primo piano l'attenzione sull'oggetto come conseguenza di un progetto, al di là della storia che rappresenta e di cui è l'erede, come anche dello status simbolico di una determinata condizione sociale o intellettuale.

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IL finale del défilé di Aldo Maria Camillo per AldoMariaCamillo.

Insomma: se oggi non basta più una felpa con il cappuccio o le sneakers sotto l'abito da bancario a rappresentare la dissacrazione, non è più sufficiente neanche la solita tiritera sulla sartorialità artigianale e dell'accanito mantra del “fatto a mano” come rimedio per assicurarsi grandi fatturati.

In questo, proprio perché costretto, per forza di cose e di indumenti a muoversi entro un ambito più ristretto, l'abbigliamento maschile rappresenta l'ideale capsula di Petri dove coltivare e fare crescere i germi di una creatività destinata a diventare patrimonio di massa.

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Il clan dei performer di artisti-danzatori per Haculla.

Una massa che si stanca facilmente di ogni trend non solo relativo a ciò da mettersi addosso, ma anche ai movimenti pop, proprio a partire dai social network e dal fenomeno degli influencer. E Pitti da sempre è il laboratorio candidato per un esperimento che trasporti il singolo tentativo in una tendenza collettiva.

Questa 95esima edizione, oltre alla bella sorpresa delle sfilate di Glenn Martens per Y/Project e di Aldo Maria Camillo per la sua linea AldoMariaCamillo tutto attaccato, registra una rinnovata attenzione alla moda come design: funzionale, ludico, pseudoartistico (come nel caso del défilé della griffe americana Haculla, così dichiaratamente underground da essere prevedibilissima, incluso il cadeau di una bara con dentro una bambola vudù su ogni sedia), sapiente come nel caso di Lardini, provocatorio come nella kermesse di Slam Jam. Peccato che i primi dati sul trend di affluenza dicono che i numeri dei compratori italiani dovrebbero registrare un calo intorno all’8%, mentre l’estero dovrebbe confermare gli stessi livelli raggiunti alle ultime edizioni.

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Il finale del défilé di Glenn Martens per Y/Project.

Ma Raffaello Napoleone, amministratore delegato di Pitti Immagine, incalza: «Sono mesi che leggiamo le stime sulla crescita, sugli scambi commerciali, sui consumi finali in Italia, in Europa, nel mondo intero. Ma invece di rinchiudersi e aspettare che le criticità e il cattivo tempo passino, questa comunità si mette in pista per dare il meglio di sé. Anche questo è Pitti Uomo - e se penso a cosa significhi, al valore che ciò rappresenta, devo dire che qualche punto percentuale di presenze di compratori in meno è davvero l’ultima cosa che mi preoccupa».

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Vanni Bassetti
Un momento della performance di Slam Jam al museo Marino Marini.

Come nell'allegorico allestimento, a cura di Sergio Colantuoni, a scatole chiuse come spazi circoscritti e ben delineati che possono imprigionare come proteggere (a proposito di convergenze parallele) la manifestazione fiorentina fa pensare a soluzioni vestimentarie che sono frutto di un ragionamento e della conoscenza di come le cose vengono fatte per poi disfarle e ricostruirle.

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Dentro l’allestimento "scatole" di Sergio Colantuoni nella piazza della Fortezza da Basso.

Senza troppe nostalgie, né eccessive derivazioni (tranne gli omaggi ai grandi maestri, certo: Martin Margiela per Y/Project ed Helmut Lang per AldoMariaCamillo), ma guardando al futuro con un guardaroba che ha dei motivi per esistere. Ed essere comprato. La bidimensionalità dei like, lasciatela a Instagram.