Sono passati ormai quasi quattro anni dal 2015 della nomina di Demna Gvasalia a direttore creativo di Balenciaga, mossa strategica del marchio posseduto da Kering che ha segnato l'inizio di una nuova era, almeno nel fashion system. Un periodo, quello trascorso, che, nella tempistica sincopata di pre-collezioni, resort, cruise, lanci speciali un tanto al kg e imprescindibili collaborazioni dalla cadenza settimanale, equivale nella moda a un lasso di tempo più che ragionevole per trarre dei bilanci. E, alla luce di ciò che è venuto nel mezzo, sembra proprio un bilancio l'intervista che Demna Gvasalia ha rilasciato al WWD. Una lunga chiacchierata in un bar di Parigi nel quale, il designer che viene dall'Est, ha rivisto e corretto il Demna-pensiero in un nuovo manifesto di intenti.

Inclusività, impegno sociale, riduzione del numero di collezioni in un'ottica di risparmio ecologico – e anche delle idee che, quando sono buone, hanno bisogno di tempi e spazi di sedimentazione per trasformarsi in tendenze – e il nuovo utilizzo dei social sono alcuni degli assi su cui si muoverà oggi e per le prossime stagioni Balenciaga. La novità principale è nella riscoperta della fascinazione cinematografica: il designer che solo nel 2015 a un Alexander Fury in sollucchero raccontava sbrigativo che “la moda non è fatta per creare sogni, ma per offrire prodotti”, oggi scopre con estrema sorpresa – solo la sua, tutti gli altri lo sapevano già da un po' – che costruire un universo narrativo – il decantato storytelling - intorno a un marchio è un escamotage migliore (e più autentico) di altri per raccontarsi, e, infine, vendere. Tanto più quando, in effetti, le storie da raccontare non gli mancano. Certo, non parliamo qui di visioni tanto quanto di incubi ricorrenti, ma il potenziale è ugualmente rilevante quando figlio dell'esperienza personale: un esempio su tutti, la sfilata di Vetements dello scorso luglio, organizzata sotto un ponte, i modelli come sopravvissuti di una guerra. In un momento nel quale, almeno sulle passerelle, le uniformi e i paramenti militari sono svuotati di significati che vadano oltre quello della tendenza, Demna ha ricordato a tutti i presenti il passato neanche troppo lontano della Cortina di Ferro, che ha vissuto personalmente, insieme a suo fratello Guram. Un processo di rielaborazione doloroso, che prima di mostrarsi sulla passerella, è nato sul lettino di uno psicologo.

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Balenciaga Primavera / Estate 2019

Una consapevolezza, quello della complessità geo-politica dei nostri tempi, tra negazionisti del riscaldamento globale che ricoprono le più alte cariche e revisionismi storici a cui certi governi hanno dato adito consapevolmente, che ha portato Gvasalia a puntare per Balenciaga, ad una maggiore coinvolgimento sociale. Si è cominciato lo scorso anno con una collaborazione con il World Food Programme, per il quale ha realizzato cappellini e t-shirt con il 10% del ricavato devoluto all'agenzia delle Nazioni Unite. Una percentuale che rivela uno sguardo che va oltre il dorato mondo del fashion system, senza però mai allontanarsi completamente dal portafoglio. Certo, nella realtà Kering ha donato 250 mila dollari di tasca propria all'associazione, ma nello stesso conglomerato, in materia di consapevolezza sociale, c'è ancora molto da fare per mettersi al passo con giganti come Gucci, che solo qualche giorno fa ha svelato il nuovo capitolo del suo progetto A chime for change, che combatte l'ineguaglianza di genere. Un programma di interventi (anche) artistici, dalla creazione di una zine ad hoc, Chime, agli artwall che hanno invaso le città di Milano, Hong Kong, Taiwan e Londra, che, dalla sua creazione nel 2013, ha finanziato più di 425 progetti no profit dedicati al tema, arrivando ad aiutare, nel pratico, 570 mila adolescenti e donne nel globo.

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Lo spirito dei tempi, però, impone anche un'attenzione maggiore all'inclusività, soprattutto nei casting: una lezione che Demna Gvasalia ha imparato a sue spese, dopo le accuse che gli sono state mosse, di restringere la sua visione a profili genericamente caucasici, meglio ancora se entro i confini dei Monti Urali. Se è sacrosanto che ogni etnia si veda egualmente rappresentata, e Gvasalia bene ha fatto a diversificare il cast, sembrano più gravi gli episodi del 2017, quando l'agenzia incaricata ha fatto aspettare 150 modelle al buio, su una scala, durante i fitting. Un episodio per il quale Balenciaga ha subito diramato un comunicato di scuse, licenziando chi si era reso colpevole di quella che sembrava più una tortura che una ordinaria giornata lavorativa.

Errori che, ammette Demna, sono stati frutto dell'inesperienza di chi non era abituato a districarsi tra le maglie di marchi monstre, dalle proporzioni e dalle ramificazioni gargantuesche, e che infatti fino al giorno prima presentava le collezioni di Vetements nelle camere da letto degli amici, senza neanche immaginare un profitto commerciale. E proprio ai ritmi sempre più dopati richiesti dalla moda, Demna vuole ragionevolmente mettere un argine: niente più pre-collezioni, meglio unire gli show dell'uomo e della donna. Il risultato sperato è dare maggiore forza alla visione d'insieme, e ridurre gli sprechi, anche delle idee che, nel calderone straripante di calendari sempre più asfissianti, e sempre meno rilevanti, rischiano di perdere di peso. Il riscaldamento globale ha fatto il resto: l'idea di Gvasalia è quella di due macro-stagioni, l'estate/autunno e l'inverno-primavera, visto che gli è capitato di vedersi richiedere dei cappotti in pelliccia anche dopo la conclusione dei mesi freddi.

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Un ragionamento dalla logicità inappuntabile, e inattaccabile. La stessa chiarezza non si vede però quando si parla di appropriazione, kriptonite che insegue Demna Gvasalia da quando i detrattori lo accusano di prendere degli oggetti ordinari – la borsa dell'Ikea su tutte – e rimetterli sul mercato ad un prezzo ben più rilevante, trasformandolo in feticcio, con la scusa della critica alla società consumista. Lo faceva anche Marcel Duchamp, asserisce, come se il semplice fatto di non essere l'unico, né tantomeno il primo, possa giustificare i 2,145 dollari del manufatto (ma è di pelle, e hanno cambiato il logo, replica lui, a dimostrazione che la genialità di tale innovazioni potrà essere inclusiva e parlare ad una platea vasta, ma di certo non è economica).

Infine, i social: in un'epoca nella quale le nuove direzioni creative corrispondono ad un tabula rasa su Instagram, escamotage simile alla cancellazione delle foto con gli ex - come se eliminarne le prove digitali possa automaticamente eliminarli fisicamente – Demna ha scelto diversamente. Dopo aver scovato sulla piattaforma circa 80 stylist, fotografi, o anche illustri sconosciuti molto talentuosi con l'obiettivo – e soprattutto, nessun influencer - ha prestato loro abiti e account, insieme ad un fee, permettendo al marchio di raccontarsi attraverso l'opera di chi, con autenticità, lo vive, lo compra, e lo interpreta. Una mossa che ha trasformato un brand da 1.8 milioni di follower – quelli che c'erano prima del suo arrivo - in una comunità fedele di 8.9 milioni. Forse sarà per questa idea di comunità, che favorisce un ritrovato senso di appartenenza a dei valori comuni, che nessuno di questi contributor è taggato o citato dal marchio negli scatti. Le personalità che animano questa seconda primavera di Balenciaga potranno essere molteplici e differenziate, ma il nome dietro al successo, è indubbiamente solo uno.