Le prime immagini sono circolate qualche giorno fa, a confermare l'annuncio fatto qualche mese addietro. Marc Jacobs lancia una nuova, seconda linea (la precedente Marc by Marc, era stata chiusa nel 2015), THE. In scenari urbani, il fotografo Hugo Scott ha così immortalato coppie di gemelle, con indosso la prima collezione del nuovo brand: la grammatica di Marc Jacobs, iper-femminile ma con ironia, torna nei vestiti con maxi-fiocco, nella maglieria a scacchi bicolor, sinonimo anche di (ei fu) Marc by Marc; negli abiti con colli e maniche di stampo vittoriano, e in quelli dalle stampe floreali che sembrano appena usciti da un vintage store di Notting Hill, a cui si abbinano capispalla più urbani, giacche in velluto e cappottini con i profili leopardati. Nelle previsioni ci sono due collezioni l'anno, oltre alle collaborazioni già pianificate con Peanuts, Schott Motorcycle e D.Porthault. Un progetto del quale il designer si è detto molto entusiasta, e che lo rimette nella discussione globale sulla moda, dopo che, a inizio 2018, il suo marchio, nel portfolio di LVMH, aveva annunciato perdite per 221 milioni di euro.

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Eppure Marc Jacobs, 55enne di New York, è stato il principale fautore del sistema della moda, così come lo conosciamo oggi. Nato in una famiglia ebrea non praticante, suo padre, che lavora nell'agenzia creativa di William Morris, muore quando lui ha 7 anni. Il rapporto con la madre, mentalmente instabile, è difficile al punto che presto va a vivere dalla nonna paterna nell'Upper West Side. Va a studiare nella rinomata Parsons School of Design, dove realizza la sua prima collezione di maglioni all'uncinetto. I capelli lunghi, gli occhiali, le guance rotonde, gli occhi sono affamati di moda. Le notti le passa allo Studio 54, a volte si porta dietro lo zaino con i libri per il giorno dopo. «Non ero assolutamente cool, ma in quel posto, mi ci sentivo. Quella goffaggine, quell'essere deliziosamente imbarazzante, ancora oggi ai miei occhi ha una sorta di purezza che cerco di riportare nelle mie collezioni».

«Sono umano, mi piace l'attenzione, la trovo divertente».

Nel 1987, fresco di laurea, è il più giovane designer a essere premiato dal prestigioso CFDA, Council of Fashion Designers of America, nella categoria New Talent: così Perry Ellis, marchio di sportwear che ha appena perso il suo fondatore, lo assolda alla direzione creativa. Nel 1992, disegna una collezione (che poi il marchio non produrrà, e per la quale sarà licenziato) che lo fa entrare di diritto nella coscienza collettiva non solo dei magazine, ma anche di un pubblico molto più vasto, e meno interessato, almeno fino a quel momento, alla moda. L'ispirazione arriva dalla sua amica Kate Moss, alla quale sarà indissolubilmente legato per tutto il resto della carriera, il colpo di genio è mettere insieme quell'estetica heroin-chic, inculcandola nel sistema delle ragazze dell'Upper East Side di New York: Nadjia Auermann, Kristen McMenamy e Naomi Campbell sfilano con maglioni slabbrati che sembrano di flanella eppure sono di una seta preziosissima, i vestiti con stampe cartoon fingono di essere poliestere, ma sono di chiffon. Sono gli anni del grunge di Seattle, e quella collezione ne diventa in automatico la traduzione modaiola, e perfetta. «Il grunge è un anatema» tuona Cathy Horyn « e per una maison sulla Settima Strada realizzare questo tipo di collezione, con quei prezzi, è folle». Eppure, è il primo momento in assoluto nel quale il fashion system decide di guardare alle strade, allo streetwear, smettendola di guardarsi allo specchio. Marc Jacobs lo fa prima di tutti, prima di McQueen, prima di Hedi Slimane, molto prima di Alessandro Michele. Perry Ellis non produrrà mai quella collezione, i cui prezzi da grande maison sono sì adeguati al tipo di tessuti utilizzati, ma incoerenti con l'attitudine e i prezzi, decisamente più sportivi, del marchio. Lo licenziano, ma per Marc è solo l'inizio. E in effetti, a pensarci oggi, persino Cathy Horyn ha rivisto il suo primo giudizio, definendolo “privo di prospettiva”. Nel 1993, fonda il suo marchio omonimo: ad aiutarlo nell'impresa, il sodale Robert Duffy, lo yin al suo yang, la roccia sulla quale si infrange l'onda sempre in movimento della personalità esplosiva di Marc Jacobs, che, del marchio, cura i conti e il marketing.

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Qualche anno, nel 1997, Louis Vuitton lo chiama alla direzione creativa: lui ci arriva con le sue sneakers bianche, e l'attitudine da pratico newyorchese. Si trasferisce a Parigi, e lì rimarrà per 15 anni, nei quali quadruplicherà il fatturato della maison, lanciando i profumi, e cambiando definitivamente le carte in tavola. «La forza di Marc Jacobs è che sa come gestire i media, e usarli a suo favore: non sarebbe sui giornali, se non lo volesse» spiega Anna Wintour. Laddove altri sarebbero crollati sotto il peso delle responsabilità, sotto l'attenzione ossessiva dei media, Marc sembra non farci caso, anzi, trovarlo anche piuttosto divertente. Quando uno dei suoi fidanzati, il modello Lorenzo Martone, si lamenterà con lui delle chiacchiere infondate messe in giro dai giornali, secondo i quali Marc lo tradirebbe, Jacobs gli dice di farsi crescere il pelo sullo stomaco. «Sono umano, mi piace l'attenzione, la trovo divertente». Certo gli eccessi ci sono, però: va in rehab due volte, nel 1999 e nel 2004. A portarcelo è Duffy. «Quando abbiamo deciso che doveva ripulirsi» spiegherà in un'intervista al New Yorker, parlando al plurale, a sottolineare un'unione che è rimasta solida nei più di 30 anni di collaborazione professionale « siamo andati in rehab, l'ho portato da un nutrizionista, da un dottore: il suo corpo ha iniziato a cambiare, lui a interessarsi della sua forma fisica, della sua salute. È sempre stato molto orgoglioso di definirsi come un outsider, questo nerd paffuto che indossava gli occhiali, ma la gente ha iniziato a guardarlo in modo diverso. Ha cominciato a uscire con Jason Preston, uno squillo, – e i fan erano costantemente aggiornati sullo stato di salute della relazione su Myspace – ma non ho mai dubitato che gli sarebbe passata. Marc fa presto a innamorarsi e disamorarsi, ma in quel lasso di tempo, la sua è una fissazione assoluta. Ho paura di cosa succederà quando si vorrà dedicare al giardinaggio: forse vorrà comprare Central Park.»

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Linda Evangelista a uno show di Marc Jacobs 1995/1996

Un'altra delle “fissazioni” di Jacobs è l'arte: comincia a collezionarla, di Hockney, di Warhol, di Richard Prince. È il primo, di nuovo, ad assoldare artisti perché ripensino le borse di Louis Vuitton con i loro occhi. Una delle più famose è la linea Monogram con Takashi Murakami: lo sfondo è bianco, le iniziali del marchio in colori ultra-pop. Il mercato del falso, ancora oggi, ha quelle borse tra le più richieste, ma Marc non è tipo da prendersela. Con l'ironia che lo contraddistingue, all'opening della mostra newyorchese dedicata all'artista, fa installare un finto baracchino che vende verissime Louis Vuitton. Passata alla storia è anche la co-lab con Richard Prince per la sua collezione per la primavera/estate 2008: Kate Moss– con la quale va in vacanza a Formentera insieme a sua figlia Lila – Naomi Campbell e le altre, sembrano sexy infermiere con cappotti in latex, come ne appaiono spesso nei dipinti di Prince. Seducenti, sul limite, ma mai eccessive, le sue donne giocano con la sensualità, ma lo fanno con ironia, come lui, senza prendersi sul serio. «Agli inizi da Vuitton ero molto in ansia, facevo paragoni costanti con quello che, in quegli anni, Tom Ford faceva da Gucci» ammetterà. «Nella mia visione delle cose, la curiosità sul sesso è un'idea più interessante che la dominazione, l'eccesso». E in effetti, le sue donne giocano senza scoprirsi troppo.

Lui, invece, si fa edonista, si ricopre di tatuaggi (l'ultima conta ufficiale ne dava 28, ma è di diversi anni fa), presiede insieme a Kate Moss un Met gala dal tema Model and Muse: Embodying Fashion. Le sue, di muse, però, sono variegate e abbracciano tutte le taglie, e le età. Se con Sofia Coppola l'amicizia risale ormai all'inizio degli Anni 90, nella campagna Marc Jacobs della Primavera/estate 2016 fa posare l'attrice over 60 Bette Midler, Milk – una drag queen uscita da quella fucina di talenti sopra le righe che è RuPaul Drag's Race – la cantante Beth Ditto e Lana Wachowski, regista di Matrix nata Larry. Jessica Lange diventerà la testimonial, quando lancerà la sua linea Beauty. Insomma, l'immensa varietà della bellezza al femminile, con i suoi difetti e le imperfezioni, non è stata scoperta da Alessandro Michele, che la celebra costantemente da Gucci.

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Nel 2010 il Time lo inserisce nella sua lista delle 100 persone più influenti al mondo, e in effetti la sua capacità sembra sempre essere stata quella di trascendere la moda, entrando nella coscienza collettiva come uomo, prima che come creativo. Quando sta per lanciare il suo primo profumo, Daisy, un'analisi di mercato tra le casalinghe del Midwest riporta che la prima risposta alla domanda: “Chi è Marc Jacobs?” risulti essere “una celebrity”. La seconda? “Un attore”. In linea con il personaggio, si è proposto al suo fidanzato Charly DeFrancesco con un flashmob in un Chipotle di New York: i ballerini cantano Kiss di Prince. Si sono sposati da qualche mese: all'evento c'erano ovviamente Kate e Naomi, Bella e Gigi. Oggi, pacificato e con due bull terrier, le stesse felpe e le stesse sneaker degli inizi è pronto a ritornare con THE. L'unica domanda da farsi è se sono pronti tutti gli altri.