A Firenze, giornata calda e il solito, meraviglioso catalogo maschile generazionale per l’apertura della 96esima edizione di Pitti Uomo. 1220 marchi, 60mila metri quadri, oltre 30mila visitatori e 1 tema: il click. Parola che richiama lo scatto del cellulare per l’inevitabile selfie, ma anche “scintilla che produce alchimie sempre diverse, un click energetico ed emozionale difficile da arginare, e insieme il fattore X che decreta il successo di ogni appuntamento”, dice Agostino Poletto, direttore generale di Pitti Immagine. Click anche come intuizione creativa, come elemento che stravolge cose già note. Per esempio, nel nuovo allestimento del Gucci Garden si affaccia l’idea che l’archivio sia luogo della conservazione ma anche di immaginazione. Sotto la curatela di Maria Luisa Frisa, viene trasformato di volta in volta in un luogo che trasmette i codici di Gucci in maniera sempre differente, per dimostrare come sia possibile trasportare nel tempo e nello spazio ciò che rende un marchio “quel” marchio. Frisa stavolta prende in esame il tema della Natura, presente in Gucci fin dai tempi del mitico foulard “Flora” e ne mostra il dipanarsi nel corso della storia del brand, attraverso i capi più sensuali di Tom Ford, quelli classicamente eleganti di Frida Giannini, fino alle creazioni fantasmagoriche di Alessandro Michele: i tre direttori creativi che, con il loro stile, hanno espresso un’impronta personale ma rispettosa della storia. Per Michele, la Natura è magica, esoterica, (una sua collezione si chiamava “il giardino dell’alchimista”) e si sostanzia nella figura dell’ouroborus, il serpente che si morde la coda in un cerchio infinito di nascite e rinascite. Si passa poi alla sala “Détournement”: qui gli elementi della Maison, decontestualizzati, strappati alla propria storia, sono disposti in circolo.

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Photo: Salvatore Dragone / Gorunway.com

L’alfabeto Gucci viene smontato e rimontato, il logo è mostrato nelle sue molteplici declinazioni, fino a perdere i lineamenti originari. L’artista giapponese Yuko Higuchi ha creato l’immagine di una creatura imponente, fantastica, mitica che incorpora molti dei motivi della maison. Il logo della Paramount, i personaggi di Disney, l’emblema dello Chateau Marmont sono accostati alle “G” ripetute all’infinito, ma reinterpretate da quelle stampate sullo chemisier in seta fino allo streetstyle più esasperato. Focus particolare sulle borse nella sala “Bagology”, modelli iconici ridisegnati ogni volta dai direttori creativi. Il Gucci Garden diventa così un centro di pensiero che oltrepassa il concetto di “museo d’impresa” e affronta i vari linguaggi relativi di un’estetica a forte riconoscibilità.

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Gucci Courtesy

Rivedere il classico, ristabilire nuove consuetudini: alla sua prima collezione maschile come direttore creativo di Ferragamo, Paul Andrew incrocia i codici del vestire tradizionale con quelli di uno stile giovane. T-shirt di nappa, tute da meccanico ma in cotone pregiatissimo, bermuda in cuoio, l’omaggio al modello “Kymo”, sandalo intrecciato disegnato da Salvatore Ferragamo nel ‘51 e riproposto adesso. Silhouette longilinee, materiali preziosissimi per un uomo che “non è interessato a farsi notare, perché si è già trovato da solo”, dice lo stilista. Benedetto dalla fontana del Nettuno, recentemente restaurato dalla maison, un concerto di bellezze architettoniche e di architetture per il corpo in una piazza che è una meraviglia. La collega americana, accanto, mi sussurra: “Ma perché avete paura dei francesi? Questo è uno dei posti più belli della Terra”. Sentirsi orgogliosi per i pochi minuti della sfilata. Poi, sperare che la collega non abbia letto le prime pagine dei quotidiani italiani. Siamo così fragili, e bravi e smarriti, in questo momento. Abbiamo bisogno di conferme. E almeno Gucci e Salvatore Ferragamo ce le offrono.

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Photo: Salvatore Dragone / Gorunway.com