Il rapporto tra uomo, natura e tecnologia, quella volta con Alexander McQueen e l'ossessione per gli smartphone: passo a due con Sølve Sundsbø, visionario norvegese che ha scattato i nostri sogni couture. Principesse dei ghiacci, angeli dispersi in panorami post-apocalittici, amazzoni algide e letali che popolano boschi con l'erba bagnata di rugiada, all'alba: chiunque abbia mai sfogliato una rivista di moda, dai primi anni 2000 in poi – sognando attraverso quelle pagine molto prima che arrivassero Instagram e Facebook ad accorciare di molto la distanza tra bibbie dello stile e consumatori finali, perdendo nel mentre quell'allure inarrivabile che conservavano i magazine cartacei – conosce il nome di Sølve Sundsbø. Norvegese trapiantato a Londra molto giovane, è nell'empireo aureo dei fotografi contemporanei di cui si conoscono a memoria nomi e cognomi – al pari di Mario Sorrenti e Steven Meisel – lunghissimo il cv, troppo per elencarlo in maniera soddisfacentemente esaustiva, ma basti dire che la sua produzione annovera infinite copertine, altrettante mostre al MoMA di New York, o opere esposte nella collezione permanente del National Portrait Gallery di Londra e al Contemporary Art Museum di Bejing, e persino la copertina di un album dei Coldplay, A rush of Blood to the Head, poi trasformato in un cimelio da filatelia, insieme ad altre nove copertine che hanno segnato la storia della musica britannica degli ultimi 40 anni. Risultati raggiunti in (quasi) mezzo secolo di vita, e 20 anni di attività lavorativa.

L'ultimo suo lavoro è il video realizzato per Bosideng, marchio re dei piumini cinesi, che è sbarcato alla Milano Fashion Week con una collezione andata in scena alla Triennale. Uomini e donne che dal loro stato primordiale, camminano verso un probabile futuro mentre si vestono di piumini dalle proporzioni over, dai colori accesi, oppure total black: sugli sfondi motivi 3D, un'ossessione ricorrente nell'estetica nordeuropea di Sundsbø, insieme agli scanning 3D e ai ritocchi dipinti a mano. Quando lo incontriamo, in una settembrina mattina milanese, le finestre dell'ufficio nel quale ci troviamo si aprono sullo spettacolo di un Parco Sempione ancora estivo, Sølve indossa un maglione grigio, e ha un sorriso educato, sincero, di quelli che, chi è abituato a fare questo lavoro, non si aspetta più, soprattutto da professionisti che hanno raggiunto una fama conclamata, caratteristica che, spesso, come per magia, diminuisce proporzionalmente la conoscenza dell'educazione di base.

Lei è stato uno dei primi fotografi nei primi anni 2000 a cominciare a sperimentare con la video arte, materia che oggi è al centro degli interessi dei suoi colleghi. Cosa la affascinava della creazione di un immagine in movimento?

Sono sempre stato una persona molto curiosa, e la nascita di internet in quegli anni ha reso il mio interesse per il video una conseguenza naturale. Le foto sono compendio classico di una ricerca sul web, ma i video sono un contenuto migliore a livello visivo: è stata una progressione naturale passare dall'immagine immobile a quella in movimento.

Il video realizzato per Bosideng riflette la collezione, che vuole parlare, attraverso i suoi piumini, del rapporto tra uomo e natura, e di quello tra uomo e tecnologia: sono entrambi argomenti già esplorati da lei abbondantemente nella sua carriera, parte integrante della sua poetica. Da dove è partito per pensare a un video adatto?

Beh, se guardi il notiziario, sono anche le questioni più pressanti della nostra quotidianità: l'uso invasivo della tecnologia nella nostra vita, il cambiamento climatico che sta trasformando il profilo di alcuni continenti, ed è incredibile che qualcuno ancora tenti di negarne le conseguenze. Non sono un paladino delle questioni ambientaliste e neanche un assolutista della tecnologia, ma credo che attraverso un corretto uso delle scoperte scientifiche possiamo davvero preservare l'ambiente, e c'è così tanto da poter fare, così tanto che non ci dicono. Non sono un cospirazionista ma in Norvegia, ormai, la maggior parte delle case sono riscaldate con pompe di calore o impianti idroelettrici, evitando così di attingere all'industria di carbone. La tecnologia è la soluzione per salvare la natura: e questo è stato il mio punto di partenza anche per il video di Bosideng.

Proprio parlando di Norvegia, il suo paese di nascita, crede che la sua estetica, e la sua coscienza ambientale, che è sempre rimasta molto nord-europea, l'abbiano aiutata nella realizzazione del video?

Ho vissuto a Londra quasi metà della mia vita, ormai, ma credo che i norvegesi non sarebbero d'accordo quando si definisce la mia estetica come nord-europea: sono dei puristi assoluti, senza possibilità di scampo. Ed è forse il motivo per il quale non vivo lì. Però amo moltissimo il paese, ci torno ogni estate per più di un mese, abbiamo una casa lì, mia moglie è norvegese, i miei figli sono nati lì, e di quel posto mi è rimasto un desiderio costante di natura, di rimanerci immerso. Amo Londra e vivere in città, ma i grandi spazi aperti un po' mi mancano.

Nel 1999 ha vinto a Hyères il premio come miglior talento emergente: era chiaramente dotato, qualcuno ha creduto in lei, ed è riuscito ad avere la carriera che meritava. Creda che per i giovani fotografi di oggi sia più difficile ottenere dei riconoscimenti?

Molto di più: da un certo punto di vista, sono molto felice di non essere un giovane fotografo oggi (ride). Grazie ai social, questo ambiente è diventato molto più democratico, moltissimi possono iniziare: ho letto che nel 2011, con gli smartphone, in un solo anno, sono state scattate lo stesso numero di foto di tutta la storia della fotografia, 150 anni. Questo la dice lunga: basta guardare alla galleria immagini del tuo cellulare. Io ho deciso di stampare le mie, mi sono trovato di fronte 16 mila scatti. Sembra un numero spaventoso, ma sul momento, mentre scatti, non ci pensi. Sono grato di essere stato formato in un sistema dove tutto questo non esisteva, e prima di fare clic dovevi riflettere davvero su quello che stavi per fotografare, pianificare tutto. Questo tipo di approccio odierno ha reso il numero dei potenziali fotografi molto più alto, c'è molta più competizione, ma non dubito che i riconoscimenti arriveranno...a quelli con la rete di conoscenze migliore.

Ha 4 figli: qualcuno di loro ha mai mostrato il desiderio di seguire le sue orme?

Ce ne sono due che sono ancora troppo piccoli per esprimere qualunque tipo di attitudine, quello che ho notato è però che hanno il mio stesso approccio: ad uno di loro piace molto la musica, ma non suona perché è influenzato dall'immagine delle rockstar alla televisione, o cerca il successo, è ancora troppo piccolo per capire tutto questo, ma come modo per rilassarsi, e meditare. La realtà è che i bambini nascono tutti creativi, è poi la società a volerli indirizzare da un'altra parte...

Nel 2011 ha curato le foto del catalogo di Alexander McQueen, in quella che poi è diventata una mostra esposta al MoMA di New York: era passato solo un anno dalla sua morte. Come ha approcciato il lavoro dell'ultimo tra i veri geni della moda?

Quando fai una foto, di solito, non vuoi scattare solo un vestito, ma vendere un sogno. Con i suoi abiti, però, era diverso: ho avuto un approccio più documentaristico, volevo che risultassero più forti possibili. Volevo veicolare la sua visione: non si poteva ricreare lo stesso make up o le acconciature, ma ci tenevo che quegli abiti sembrassero dei documenti chiari di una visione che, ad oggi, non ha avuto paragoni.