Frida Giannini è tornata alla moda (o forse no). La notizia, o meglio il rumor, che la ex designer di Gucci sia il (ghost) designer del brand Golden Goose, è stato subito captato dall'universo modaiolo, trasmettendosi velocissimo in quella piazza virtuale che è il web. Scomparsa dal grande proscenio modaiolo dopo che François-Henri Pinault, AD di Kering – maxigruppo del lusso a cui appartiene Gucci – annunciò, a sorpresa, la sua dipartita dalla maison di cui era stata direttore creativo per diversi anni, Frida aveva però, all'inizio di quest'anno, dopo un lungo periodo sabbatico "alla finestra", come aveva descritto lei stessa, lanciato gli indizi di un suo possibile ritorno sulle scene. Cinque anni, in fondo, sono molti: per chiunque altro designer odierno, forse, sarebbero troppi. In un momento nel quale, complici i social e il citizen journalism, a vario grado, le notizie si evolvono velocemente, si sovrappongono le une alle altre, diventando vecchie nell"espace d'un matin", la persistente mancanza dalle scene è sicura causa dell'oblio, una damnatio memoriae che suona come una condanna all'anonimato. Non per Frida Giannini: la sua carriera dalla velocità quasi siderale, l'altezza delle vette che ha toccato in un lasso di tempo relativamente breve, la rendono iscritta nella memoria permanente di studiosi e semplici appassionati del fenomeno moda. Natali romani, nel 1972, la silhouette esile e la chioma bionda – che nessuno ha mai visto con una ciocca fuori posto, non perfettamente acconciata, per incorniciare con una certo sofisticato distacco, l'ovale – trovano il contraltare perfetto in un carattere invece ben corposo, spesso, fatto della materia del ferro, forgiato da due genitori che, oltre al corredo genetico, la preparano alla vita con diverse dotazioni. Sua madre, femminista e professoressa d'arte, la chiama come la pittrice più incline di tutte alla rivoluzione (su tela, e nella vita, dove mai accettò i compromessi). Il padre, architetto, la porta con sé alle manifestazioni di protesta, per insegnarle, caso mai i geni non fossero stati sufficienti, l'attitudine a combattere nelle battaglie nelle quali crede. In casa, sul tavolo della casa romana del quartiere Monteverde, campeggia un busto di Lenin, e tanto basterebbe a incidere sulla formazione di chiunque. Frequenta l'Accademia di Costume e moda a Roma, e poi, nel 1997, l'approdo da Fendi, dove si occupa del prêt-à-porter prima, della pellicceria poi. A Roma, e da Fendi, Frida si trattiene con piacere, e ricordando ancora oggi quel primo periodo di formazione con grande tenerezza, ma nel 2002 arriva la chiamata alle armi, da quella Milano che è capitale morale del sistema modaiola.

Arriva nel 2002 da Gucci, dove si occupa prima delle borse, e poi dirige tutto il comparto accessori. Sono gli anni dello sfarzo, dell'eccesso, di quell'estetica di immenso successo firmata da Tom Ford dove su ogni compendio dello stile si stampa il monogramma, dai vestiti all'underwear – traslandosi in alcune campagne pubblicitarie ad alto tasso di erotismo anche sui bulbi piliferi di zone molto erogene. Eccessi sempre schermati da modelli in occhiali da sole a mascherina – gli stessi che indossava Ford – e poco altro, e che però facevano suonare i registratori di cassa della maison fiorentina. All'ombra di quel maestro importante, Frida Giannini rimane sino al 2004, quando Ford lascia, come i più sapienti partecipanti alle feste, all'apice del suo successo. Gli succede Alessandra Facchinetti ma l'unione funziona poco e male – arrivare dopo di Tom Ford sarebbe stata impresa difficile per chiunque – e infatti dopo una sola stagione scende in campo Frida. Nel 2006 prende sotto la sua ala anche l'abbigliamento uomo, divenendo vero e proprio creative director della maison.

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Gli inizi sono freddini, soprattutto con la stampa americana, che viveva nell'idolatria di Tom Ford, uno dei pochi designer statunitensi riusciti agevolmente a inserirsi nella narrazione modaiola da protagonista riconosciuto e rispettato, e a traslarsi nell'Europa della couture, e a Frida, semplicemente, non perdonavano di non essere lui. Abbandonando il monogram – che sarà poi ripreso, in una versione totalmente diversa da Alessandro Michele, per la serie "corsi e ricorsi storici" – Giannini si affida all'heritage, reinterpretandolo. La sciarpa realizzata per Grace Kelly negli Anni 60 diviene così di ispirazione per una linea di borse dai colori accesi e dalle stampe floreali, la Flora. "Trend do not start here", commenta piccato, il WWD. E però ha torto, perché quella borsa è il primo dei tanti successi commerciali che Frida segnerà con Gucci. Senza abbandonare la sensualità che aveva distinto l'epoca Ford, Frida la colora di stampe psichedeliche, ispirate ai sixties della Swinging London, mod e modettes in libera uscita dopo la lezione di equitazione – di questo periodo è il ritorno del morsetto, orpello preso proprio dal mondo dell'ippica– si affollano sulla passerella. Trench in suede come chemisier, jeans a palazzo e blazer army, stivali pitonati e tracolle rubate dagli armadi – o, in questo caso, dai vecchi archivi del brand. L'equazione funziona per molti anni. Nel 2009 arriva il ceo Patrizio Di Marco, con il quale Frida inizia una relazione culminata nella nascita di Greta, del 2012, e poi col matrimonio nel 2015 – con abito da sposa "courtesy of" una delle sue più care amiche, Maria Grazia Chiuri. Tutto sembra sorridere, sotto il Duomo di Milano. E invece chissà, nessun dettaglio trapela su quella rottura che a Frida arriva inaspettata, con una lettera di licenziamento consegnata da un messo una mattina di dicembre, mentre Frida è a casa a prepararsi con la famiglia per le vacanze di Natale. Il 12 dicembre 2014 Pinault annuncia non solo la fine del rapporto lavorativo con Frida, ma anche con Di Marco, sostituito con l'attuale Marco Bizzarri. A 30 anni a capo di una maison tra le maggiori al mondo, a 31 invitata all'ONU. Sul tetto del mondo, tra celebrities e leader mondiali. E poi.

Obblighi contrattuali di non concorrenza le impediscono per un anno di lavorare con altri brand, ma forse non le sarebbe servito quel cavillo legale, ad allontanarsi da un mondo di cui avverte l'immensa e spropositata pressione, solo quando se ne allontana. Si concentra sulla figlia, che nei suoi primi due anni di vita, complice quella vita e quel lavoro apicale, riusciva a viversi pochissimo: affronta, con coraggio, una malattia della bambina dalla quale escono entrambe più forti. Lei, certamente, è divenuta capace di relativizzare e mettere in prospettiva. "La moda non è un paese per donne" ammetterà a marzo ai microfoni di Rai Radio 2, "Il diavolo veste Prada? Tutto vero. Per una donna è sempre più difficile, devi mostrare e confermare in continuazione la tua credibilità". Certo, chissà, in questi anni sabbatici, dove pure ha continuato a collaborare, dietro le quinte, con marchi del sistema – l'ultima colab è stata con OVS a Natale per una collezione di maglioni con una parte dei ricavati dirottata a Save the Children, ente al quale è vicina dai tempi di Gucci – se a volte non avrà pensato con rimpianto a quel mondo, vedendo l'ascesa e il totale stravolgimento ai canoni che Michele ha portato non solo alla maison, ma anche a tutto l'emisfero moda. Se l'esecuzione del licenziamento è a tutti sembrata un po' aff(r)ettata, era indubbio però che negli ultimi anni quell'estetica di successo creata da Frida Giannini soffriva il peso di un mondo che stava cambiando, di Millennial che si stavano approcciando al mercato globale, e non si riconoscevano in quell'high-society imbevuta di nostalgia, molto più di stampo americano che italiano. Un mondo, quello di Gucci, che viveva molto più alle serate di gala, tra Ceo ed ereditiere, che nelle strade. Lusso, certo, ma che mancava di globalità. "Credo che l'estetica del brutto stia tramontando", è stata l'unica stilettata che si è concessa a gennaio, in un intervista a Il Sole 24Ore.

Da Golden Goose hanno subito derubricato la notizia come "rumor di mercato, che per policy non commentiamo. La società si distingue per essere animata da un collettivo di creativi interni e di consulenti". Certo è che il brand è in mano al fondo Carlyle, e la presidenza della label di sneakers è nelle mani di Patrizio di Marco. Un ritorno alla moda con l'uomo che ama, e con la quale ha dato vita a un successo mondiale? Chissà. L'unica ammissione da parte di Frida, sempre a gennaio è stata che le mancava il ruolo creativo, il lavoro in team, anche se non aspira più a un ruolo apicale, che cancella il mondo esterno e i suoi rumori. In questi 5 anni lei, quel mondo l'ha scoperto. E forse vuole tornare per farcelo vedere con i suoi occhi.

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