Un’ancora stilizzata sul lobo e le sopracciglia disegnate, gli occhi come fessure ancora più sottili colpa di un sorriso, piercing al setto nasale e occhiali da nerd: questi sono alcuni dei volti ritratti ai confini della calotta artica, nel profondo Canada, tra le comunità più orgogliose delle proprie radici nelle quattro regioni dell'Inuit Nunangat. Queste sono alcune delle donne Inuit che hanno disegnato una collezione insieme a Canada Goose, la seconda di un progetto che si chiama Atigi (in lingua Inuit traduzione più vicina al termine parka) che fa brillare gli occhi di Penny Brook, chief marketing officier del brand di parka canadese. Gli occhi di Penny brillano non solo perché è donna di business con un concetto di empowerment femminile radicato in ogni concetto (e il benessere del suo team quotidiano è la sua priorità): le brillano perché è cresciuta con la chiamata alle montagne, al mondo della natura, alla necessità di connessione uomo/ambiente. Quando è arrivata sette anni fa, mi racconta seduta nello store parigino in Rue Saint Honoré dove i 18 modelli creati dai designer (donne e uomini) Inuit sono in mostra e vendita, Canada Goose era un’eccellenza canadese legata a missioni artiche “oggi parliamo di mentorship, di umani che, ai limiti del mondo, raccontano una tradizione orale traslata su tessuti, unendo la performance di un giubbotto ai ricordi delle loro origini”.

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La linea Atigi per Canada Goose: 18 modelli in vendita il cui ricavato sostiene l’economica locale delle comunità inuit.

Il tema può essere in bilico tra “cultural appropriation e cultural appreciation" continua un'entusiasta Penny "per questo siamo felici di evitare il misunderstading e investire tempo, energie, attesa perché vogliamo creare un’economia a supporto delle comunità Inuit, non un progetto pop-up che poi cosa lascia in concreto a questi artigiani?”. In un mercato, quello dell'outdoor, che non ha mai conosciuto momento migliore per tecniche e uso del prodotto, il cambiamento climatico è lì, impellente a suonare l'allarme. La soluzione? Per Penny Brook, neo mamma, cresciuta a Bristol che vive tra Londra e Brighton “perché ho bisogno di sentire la natura” è in una scelta costosa per il brand e per nulla scontata: “Portare i materiali, gli strumenti di lavoro, in quelle lande ai confini dell’artico per noi è tecnicamente esoso: ma questo significa supportare le comunità locali senza sradicarle, significa dare loro gli strumenti per creare una loro economia e non espropriare i disegni tradizionali a favore di una capsule” insiste. Nell'apposita sezione dedicata a Project Atigi la missione è chiara: "I proventi della vendita della collezione andranno alle comunità Inuit attraverso l'Inuit Tapiriit Kanatami (ITK), l'organizzazione di rappresentanza nazionale degli Inuit che collabora con le quattro regioni. L'ITK utilizza la ricerca, la sensibilizzazione, la diffusione al pubblico e l'istruzione per promuovere la salute, il benessere e la prosperità degli Inuit attraverso l'unità e l'autodeterminazione".

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In un grande dibattito su ecosostenibilità ed evoluzione della seconda industria che inquina più al mondo, la moda, Canada Goose investe sul produrre tutto in Canada, dalle zip ai tessuti. Penny Brook non si esime dalle domande sui costi del prodotto, sui materiali usati “sì, ci sono brand che si stanno convertendosi alla plastica riciclata, alle micro plastiche per imbottitura: noi sappiamo che il nostro prodotto sul mercato ha un costo medio alto, usiamo materiali della tradizione, vogliamo che sia un capo che duri nel tempo, che sia comprato con più consapevolezza e non stressando il concetto di frequenza dell’acquisto”. Un chiaro: compra meno compra meglio. In questo concetto il tramandare delle tradizioni Inuit si unisce al desiderio di Canada Goose di creare indumenti seasonless da ereditare. Dai parka che portano sotto i 20 gradi centigradi alle donne e uomini che insegnano, creano formano: un’economia circolare che dalla città (dove Canada Goose ha studiato il nuovo concept presentato la scorsa DesignWeek improntato sul layering più leggero) alle missioni esplorative artiche guardando al mondo in cui agiamo come un luogo da vivere addosso, senza perimetri imposti.

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