Copricapi che sembrano sculture, monumenti celebrativi della natura selvaggia; visi dipinti come quadri dei maggiori esponenti del pointillisime francese; corpi decorati da un body painting naturale, felino e di un'eleganza altrettanto feroce, che non lascia scampo. Non si parla qui di una delle ultime sfilate dell'Haute Couture, Sancta sanctorum parigino nel quale la moda si tratta come un mistero religioso, e si svela di conseguenza in tutta la sua grandiosità, con un cerimoniale che nulla ha da invidiare al Gaanga Arti sulle rive del Gange. Il guardaroba delle tribù africane Surma e Mursi, non ha bisogno di tessuti, metri di sete dévoré o maniche di chiffon: queste due popolazioni stanziate nell'Omo Valley, in Etiopia del Sud, usano infatti il loro corpo come una tela colorata d'ebano, sulla quale disegnano cappelli elaborati con paglia e fiori, trasformandosi in opere d'arte viventi, che nulla hanno da invidiare agli esperimenti couture che sfilano sulle passerelle di Parigi.

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A documentarne per primo usi – e, ovviamente costumi – è stato il fotografo tedesco Hans Silvester, già autore di alcuni reportage sulla deforestazione in Amazzonia e sulla vita delle donne nel grande deserto indiano, il Thar. La motivazione dell'attitudine particolarmente artistica delle due tribù – in un panorama, come quello africano, dove sono molte le popolazioni tribali abituate a dipingersi il corpo e a decorarsi, senza però arrivare all'estro di Surma e Mursi, che usano foglie di banano come collane e calle come maxi orecchini – sta nel loro nomadismo. Non avendo una residenza fissa, una parvenza di permanenza sulla quale costruire sculture o monumenti che facciano da testimoni del loro passaggio sulla Terra, si trasformano essi stessi in testimonianze, fossili in carne e ossa di una civiltà tra le più creative mai esistite. Ed in effetti, senza essere mai stati nel front row di una qualche passerella, aver mai sfogliato le pagine di un giornale patinato, o aver viaggiato al di fuori dei confini delContinente Nero, il loro approccio all'arte decorativa è originalità in purezza, in quanto non contaminata da fonti esterne, che invece i designer attuali ricercano come l'aria, in un sistema nel quale ci si parla addosso sempre più spesso.

Un'arte, quella di Surma e Mursi, che non conosce distinzioni di età o genere: i bambini hanno fasce di narcisi sulla fronte e paglia sulle teste a creare dei copricapi appuntiti, e i visi colorati con motivi geometrici o a pois, e una consapevolezza degli abbinamenti cromatici che molti sviluppano solo con la maturità. Utilizzando frutta e fiori nelle loro complicate costruzioni – e ovviamente pigmenti naturali derivanti da rocce vulcaniche come tinture – il risultato è, come una collezione di abbigliamento, stagionale, in quanto dipende dalla reperibilità delle materiale prime.

Il timore di Silvester, lo stesso che lo ha portato alla documentazione fotografica, è che con la civilizzazione alle porte e la perenne guerra civile che ormai coinvolge anche le aree più remote del paese, l'arte di Surma e Mursi abbia i giorni contati. Ed in effetti le due popolazioni portano già con sé degli AK 47, fucili concessi loro da entrambe le parti in gioco nella guerra civile sudanese, e che usano per cacciare o per proteggersi dalle tribù nemiche. Inoltre, visto l'interesse suscitato dalle due tribù nei gruppi di turisti, il governo permette loro di avvicinarglisi, solo se accompagnati da una guardia armata che li possa condurre tra le montagne dove vivono, e, ovviamente dietro pagamento. Il rischio di trasformare una civiltà autoctona – che dalla natura ha imparato la mutevolezza e l'apprezzamento delle infinite varietà nelle quali la bellezza si palesa – in una "carnevalata" turistica è reale. Per ora, però, queste foto sono il raggiungimento di quell'obiettivo che Mursi e Surma perseguono da anni: quello di concederci un lascito, a colori e accesissimo, del loro passaggio sulla Terra.

La foto in apertura è uno scatto ispirazionale, non è tratta dal reportage di Hans Silvester.