Una dichiarazione d'intenti, guidata dal buon senso, più che un atto di ribellione: così la definiscono gli ideatori, sedando gli entusiasmi di chi si era già accalorato, di fronte alla "Open letter to the fashion industry", che vede tra le sue firme, nomi come quelli di Thom Browne, Altuzarra, Tory Burch, Erdem Moralioglu e Gabriela Hearst. A guidarli, il designer belga Dries van Noten, noto per la riservatezza che ha sempre esercitato nel corso della sua trentennale carriera. E però, dopo la lettera di Giorgio Armani al WWD, era impossibile non tornare sul discorso dei necessari cambiamenti che la moda doveva affrontare da anni, e che il Covid-19 ha reso ormai inevitabili. "Di recente alcuni tra noi che lavorano in maniera trasversale nell'industria della moda" esordisce la lettera "Ceo, buyer e direttori creativi, si sono confrontati in una serie di conversazioni, discutendo i modi nei quali le nostre aziende devono trasformarsi. Siamo convenuti che la situazione attuale, per quanto difficile, presenti un'opportunità per un fondamentale e necessario cambiamento che semplificherà le nostre aziende, rendendole più sostenibili a livello sociale ambientale, e, in ultima analisi, allineandole maggiormente con i bisogni del cliente".

Così si propone, sulla scia di ciò che aveva suggerito Giorgio Armani, un cambio di ritmo nella stagionalità e nel flusso delle collezioni, ad iniziare dalla stagione A/I 2020. Il sunto? Quello di portare in negozio le linee quando la stagione lo richiede, e non prima. Così i cappotti dell'Autunno Inverno si esporranno nelle vetrine a fine agosto – e non già prima, durante i saldi della collezione estiva – e il beachwear da febbraio. Questo consentirebbe il ritorno a quella capacità magica che la moda ha sempre avuto: quella di creare un universo parallelo privo delle tempistiche stringenti richieste oggi dai grandi gruppi, eterno e soprattutto desiderabile. Ed in effetti non sono stati davvero un successo i tentativi di see now-buy now, esperimenti modaioli nati come figli delle tempistiche strette, strettissime, degli ultimi anni, che pensavano (sbagliando) di aumentare i profitti consentendo ai clienti di acquistare le collezioni appena calava il sipario sulla sfilata. Immettere nel mercato un'infinità di collezioni a stagione – tentando di star dietro ai big del fast fashion – alla lunga non paga: la moda delle maison è bella perché preziosa, ed è preziosa perché pensata e realizzata nello spazio necessario e sufficiente per produrre beni di lusso, non infinite iterazioni dello stesso concetto.

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Dries Van Noten alla fine del suo fashion show

E stupisce che, a sostenere questa idea, non siano solo gli stilisti, ma anche buyer e proprietari di rinomati store: tra i firmatari della lettera aperta ci sono infatti anche Claudio Antonioli, proprietario dell'omonimo store, La Rinascente, Tessabit, Tiziana Fausti, e le catene americane di Nordstrom, Bergdorf Goodman e Selfridges. Inoltre, suggerisce la lettera, bisognerebbe optare per una politica di sconti che metta in saldo gli abiti solo sul finire della stagione – e non, come succede adesso, anche durante la sua metà, con svendite speciali – per permettere di vendere a prezzo pieno per più tempo. In aggiunta, c'è un'importante (e nuova) attenzione ad una sostenibilità reale, e non di facciata, che secondo Dries & Co. potrebbe realizzarsi diminuendo i viaggi, lo spreco di tessuti, e utilizzare laddove possibile gli showroom digitali. Così la moda cerca per la prima volta di venire a patti con quello che gli americani definiscono "the elephant in the room", una delle più grosse criticità di un sistema che è il secondo più inquinante al mondo. Infine, si parla anche di una revisione e adattamento di quelle che oggi sono le sfilate, e che, messe spalle al muro dalla pandemia, si sono mostrate con tutti i loro difetti strutturali, carenze organizzative ed eccessi, che oggi devono essere eliminati. "Lavorando insieme" conclude la missiva " speriamo che questi passi consentano alla nostra industria di divenire più responsabile per il suo impatto sui nostri clienti, sull'ambiente, e sulla comunità nella quale operiamo, riportando la magia e la creatività che hanno reso la moda una parte così importante delle nostre vite". Cambierà davvero qualcosa ora che un manipolo di coraggiosi ha esposto la (scomoda) verità?