"Pensa alle braccia mentre cammini", "Però anche alla bocca, mi raccomando", "Non guardare me, visualizza un punto e fissalo senza distogliere lo sguardo, mai", "non ciondolare con la testa" e soprattutto "Ti prego, quel giro, quando arrivi in fondo alla passerella, deve essere fluido, voglio fluidità". Se chi scrive pensava che l'attività atletica che richiedesse maggiore coordinazione fosse l'equitazione, oggi si ricrede, guardando Evane Boulanger, responsabile dei volti nuovi dell'agenzia Elite, mentre istruisce le novizie su come camminare, durante una sfilata. "Molte delle ragazze che arrivano qui, e che abbiamo reclutato tramite scouting" spiega Evane in un video che è già manuale illustrato sulla complicata arte peripatetica della falcata à porter "non indossano nella loro vita i tacchi. A volte ci vogliono settimane, o addirittura mesi, prima che imparino a sfilare, e a tirare fuori, nello spazio di quei venticinque secondi in passerella, la loro personalità".

E in effetti, nel 2020 dell'esplosione gioiosa delle differenze, non c'è più "the walk of the season", come la definisce Etienne Russo, uno tra i luminari massimi sulla produzione di un fashion show, quanto "the walk of the reason", una camminata che quindi metta in luce le personalità di chi sta indossando gli abiti, sotto lo sguardo della stampa, e del mondo intero. Un lavoro quindi psicologico quanto fisico, che richiede la padronanza del proprio corpo, materia non semplicissima per le ragazze under 20 reclutate dalle agenzie.

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E in effetti, quando si va a fare i casting, le giovanissime si presentano vestite in maniera anonima, in nero o con la classica accoppiata t-shirt bianca e jeans, rigorosamente senza tacchi, per non distrarre l'occhio del team creativo che, prima di tutto, chiede loro di sfilare negli uffici. Se la prima fase è superata, si sfila di fronte al direttore creativo, mente dietro tutto il concept primordiale della collezione. L'equilibrio, la perfezione si raggiunge quando si riesce a bilanciare la propria personalità con il messaggio che il marchio, per quella stagione, vuole veicolare. Ci sono camminate che durano più di sei mesi, ma diventano marchi di fabbrica? Secondo Evane, sì: alcune maison si distinguono anche per il modo nel quale chiedono alle loro modelle di muoversi in passerella. «Paco Rabanne vuole una falcata forte, decisa, da Nina Ricci i direttori creativi prediligono un'attitudine rilassata, naturale, che non calchi troppo sul concetto di "sexy", da Louis Vuitton la camminata è veloce, quasi un po' arrabbiata, Valentino è invece più elegante: quando sfilano gli abiti della couture, si parla di pezzi che costano centinaia di migliaia di dollari, bisogna dar loro la luce che meritano, camminando con calma, grazia, quasi come appena uscite da un mondo fiabesco, a passi piccoli. Da Chanel l'attitudine è quella della ragazza francese che incroci per strada, con quel je ne sais quoi naturale eppure affascinante, che crea un angolo retto tra braccio e avambraccio, toccando con le mani la borsa a tracolla. Versace è innegabilmente sexy, mentre Celine è l'epitome del rock'n roll, sguardo deciso e giro finale molto fluido, un passo indietro e ci si gira verso l'ingresso». E in effetti le modelle su quella passerella camminano con l'attitudine di chi va di fretta, si fa vedere per un attimo alla festa più attesa della stagione, dà uno sguardo al parterre degli invitati, e se ne va senza degnare di un ultimo sguardo, già diretta verso altri impegni.

E come camminano, le top di oggi? A ben guardare secondo Loïc Prigent, documentarista francese che ha realizzato corti per Vogue Paris, l'edizione francese di Vanity Fair, e Madame Figaro, ci sono diverse metodologie per approcciarsi a quella manciata di secondi nella quale si è al centro dell'attenzione della stanza, tenendo conto anche delle richieste dei brand. Kendall Jenner, Kaia Gerber e Bella Hadid, ad esempio, sono l'epitome della nativa California: le spalle e i fianchi si muovono in maniera discreta, leggera. «Se quando cammina Kendall sembra che stia arrivando direttamente dalla spiaggia, con il sole che tramonta alle sue spalle, Kaia ha un passo così leggero che pare toccare appena il suolo». Mica Arganaraz, argentina dallo sguardo ferino e dal bob mosso già simbolo di riconoscimento, appare calma, ma decisa, l'aria di chi ha qualcosa da fare, posti dove andare. Una determinazione che la modella stessa ammette "non è altro che il mio desiderio di andare, sì, ma il più lontano possibile da quel palco". Se alcune hanno infatti imparato con metodologie DIY, guardando fino allo sfinimento i tutorial delle maestre del passato, in video di sfilate nineties che già appaiono vintage, altre hanno imparato a loro spese, anche incappando nelle temutissime cadute in passerella, cause di massima vergogna ad eterna memoria, come raccontava già Sex and the city nell'episodio nel quale Carrie partecipa ad una sfilata di beneficenza e, tra l'emozione e il tacco alto, stramazza al suolo per lungo, sotto lo sguardo delle amiche preoccupate tanto per il suo benessere fisico quanto per la sua immagine pubblica. Ed in effetti Mica, è caduta, durante uno degli show che definisce la carriera di una modella, il suo debutto da Prada. «Mi sono fatta anche male, quindi mi sono tolta le scarpe, anche perché sarei caduta di nuovo, con i tacchi, e ho continuato» spiega la modella. «Miuccia mi ha detto che ho fatto la scelta giusta, e poi ho iniziato a sfilare per Saint Laurent, quindi ci si può rialzare anche da una caduta.»

Le maestre assolute, però, gli dei che, a differenza di certi film di Luchino Visconti, non cadono mai, sono le modelle dei favolosi nineties, ancora oggi attive per alcuni selezionati show, che chiudono, o aprono (i momenti più salienti di ogni sfilata), o per ragioni affettive: è già entrata nella storia la passerella di Versace della Spring-Summer 2018 dove, per celebrare la ventennale scomparsa del fondatore, sua sorella Donatella ha voluto mettere letteralmente su un piedistallo le mannequin preferite da Gianni. In vestiti con spacchi profondi e ovviamente, dorati, sono così comparse Carla, Claudia, Cindy, Naomi e Helena, donne a cui non serve il cognome per farsi riconoscere. Quelle che oggi sono splendide cinquantenni riescono ad adombrare con la potenza delle loro falcate e della loro personalità, donne con diverse decadi in meno, forse perché, come diceva Evane Boulanger, essere "in controllo" del proprio corpo, è una questione prima psicologica che fisica, e richiede una capacità di conoscersi e valorizzarsi che prescinde dall'età anagrafica, e che dall'esperienza forse è aiutata. E secondo Viviane Blassel, storica firma del giornalismo di moda francese, la migliore di tutte rimane – forse con un po' di patriottismo francofono – Carla Bruni «una donna capace di sfilare in maniera intelligente, e che con i movimenti del corpo, nello spazio di 30 secondi mostrava ai giornalisti come erano strutturate le maniche, come erano articolati gli spacchi del vestito, come se fosse, in quello spazio minimale, il direttore creativo del suo corpo».


Il parere più popolare tra gli insider, però rimane quello che vede sul trono del catwalk, la pantera nera, Naomi, che ha imparato l'arte della falcata resa da lei popolare tramite sua madre, ballerina di danza classica. Un'arte che la neo-cinquantenne dispensa ancora alle nuove leve, come quando ha incrociato Gigi Hadid nella hall di un hotel, e, dopo che la ragazza, allora alle prime armi, si era trovata a fronteggiare pesanti critiche online, ha deciso che era il momento di farle un corso accelerato. La carriera di Gigi non ha più trovato ostacoli o inciampi sul suo cammino. Ed in effetti, a guardare Naomi che ha sfilato di recente per Saint Laurent, sotto le luci della Tour Eiffel, in uno smoking altrettanto lucente, lo sguardo deciso, carico di forza eppure segnato da un filo di compiacimento – guadagnato negli anni – la falcata così definitiva, un incedere capace di mettere timore per la sua ineluttabilità, si capisce che stare in passerella è come stare al mondo. Mostrarsi, consapevoli di sé, agli occhi del pubblico, orgogliosi dei propri traguardi, al netto dei difetti – o forse proprio per quelli – e incedere, incuranti del chiacchiericcio di sottofondo del mondo che ci vorrebbe diverse, più anonime, più "come tutte le altre", verso il futuro. Senza mai guardarsi indietro, proprio come Naomi.