Un ovale allungato e rigorosamente fiammingo, come certi quadri di Hyeronymus Bosch, i capelli morbidi e dai riflessi ramati, come le veneri di Botticelli. Iris van Herpen sembra una creatura fatata, partorita dall'immaginazione letteraria di George R.R. Martin, eppure è nata in Olanda nel 1984, e non in una qualche dimensione parallela dell'esistenza. Se le contingenze l'hanno costretta a camminare sulla terraferma, però, i suoi abiti raccontano tutt'altra storia. L'architetto della couture, la creatrice immaginifica di costruzioni liquide eppure scultoree, la scienziata del ready-to-wear, ha attratto attorno a sé negli anni una folta corte che, per affinità elettiva, l'ha scelta. E quelle sue creazioni sembrano fatte esattamente per il gruppo di artisti e creativi che le indossa: Björk – la copertina di Biophilia del 2011, il video di Moon e di Utopia (2018) – Lady Gaga, Tilda Swinton, Solange, Grimes e Daphne Guinness. Andando dritto al punto, senza sdilinquirsi eppure non lesinando le lodi, il New York Times l'ha definita "l'autrice di una moda intelligente": e mai termine fu più adatto, in quanto, con Iris, non si parla mai di semplice atto della vestizione, quanto di multi-disciplinarità applicata. La sua carriera è sempre infatti stata costellata di collaborazioni – mai con questa o quella celebrity, escamotage di marketing un po' stantio per far parlare di sé – con altri creativi, che operano in tutt'altri campi: dall'architettura (Daniel Widrig, Benthem Crouwel Architekten e Julia Körner) alle arti visive (Bart Hess) passando per la regia (Joost Vandebrug) e fotografia – come per la collezione fall-winter 2012, Micro, realizzata partendo dalle foto di Steve Gschmeissner, realizzate attraverso un microscopio elettronico. Genius loci fiammingo, la sua figura sottile ed eterea ha varcato persino l'ingresso del Mit, il Massachussets Institute of Technology, e del Cern, l'organizzazione europea per la ricerca nucleare – favoleggiato in Italia da certi ministri dell'istruzione di altre epoche, che lo volevano collegato al Gran Sasso tramite immaginifici e infiniti tunnel, mai esistiti – dove si fa vedere spesso per assistere alle ricerche, e prenderne spunto per le sue collezioni.

paris, france   july 02  a model walks the runway during the iris van herpen haute couture fall winter 20182019  show as part of paris fashion week on july 2, 2018 in paris, france  photo by peter whitegetty imagespinterest
Peter White//Getty Images
Haute couture Iris Van Herpen fall-winter 2018-2019

Eppure la scoperta della moda è arrivata in una maniera canonica, quando Iris è al liceo e frequenta per caso un corso all'università delle Arti di Arnhem, decidendo poi di iscriversi a quella università, dove si laureerà nel 2006 in Design della moda. Cresciuta in un villaggio rurale "talmente piccolo che persino gli olandesi non sanno dove sia", i suoi genitori scelgono di non avere una televisione, ma di far cullare le loro giornate dal suono del violino e del piano al quale Iris si esercita: sua madre è una insegnante di danza, suo padre lavora per un'agenzia governativa. Il primo computer lo comprerà a 22 anni. Un percorso che la rende capace di partorire idee nuove, non filtrate attraverso l'occhio di uno schermo, non deformate da questa o quella tendenza televisiva. Appena guadagnato il titolo di studio lavora ad Amsterdam da Claudy Jongstra e poi si ritrova a Londra, dove lo stage è con il più visionario dei geni del contemporaneo, Alexander McQueen. La possibilità di lavorare con materiali lussuriosi e futuribili, è foriero di una vera e propria epifania. «Ho capito che un'idea può anche venire nel mentre sei impegnata nel processo creativo» spiegava al New York Times nel 2015. «Mentre cucivo ricami complicati o decoravo con le perline, ero travolta dal numero di idee che avevo, quasi da non riuscire a dormire. Non vedevo l'ora di creare il mio marchio, ma è stata una buona palestra esercitarmi nell'arte della pazienza». Del 2007 è la prima sfilata vera e propria, di couture, alla Amsterdam Fashion Week, anche se finisce nel radar di interesse della moda internazionale nel 2010, quando, sempre ad Amsterdam, presenta il primo vestito stampato in 3D, che vuole replicare la forma dell'acqua quando è sul punto di cristallizzarsi. «Mi è sempre piaciuto lavorare con materiali che non posso controllare, come l'acqua, l'aria, o l'energia», spiega. E non piace solo agli addetti ai lavori, ma persino ai sapienti scienziati che la incrociano per i corridoi del Cern, che, ammettono di «non essersi mai realmente interessati alla moda, ma di trovare interessante il suo lavoro». «Se facessi dei vestiti più commerciali, probabilmente avrei un tipo di reazione diversa», ammette.

topshot   models present creations by iris van herpen during the womens fall winter 20192020 haute couture collection fashion show in paris, on july 1, 2019 photo by thomas samson  afp photo by thomas samsonafp via getty imagespinterest
THOMAS SAMSON//Getty Images
Haute couture fall winter 2019-2020

Nel 2011 il Time inserisce quella stessa creazione tra le 50 invenzioni più interessanti dell'anno, a testimonianza di come non la sola moda si interessi al suo operato. Guai a chiamarla "wearable technology" però, come sanciscono le ultime tendenze che vorrebbero ogni fibra del nostro corpo trasformarsi in un cavo ottico, in una replica mal riuscita di qualche scenario alla Matrix. «Non lo faccio per uno scopo utilitaristico» spiega Iris Van Herpen. «La tecnologia è un'ispirazione, non un obiettivo. Sono i materiali che rivoluzioneranno il futuro, non la tecnologia. E in effetti lei prende in mano la tradizione dell'haute couture e la trasforma, senza farle perdere quell'aura di assoluta magnificenza, spesso collegata agli show e ai vestiti grandiosi associati a quest'arte. Da haute a tech, ma sempre couture. Un'affermazione sulla quale conviene anche Harold Koda, direttore del Costume Institute del Metropolitan Museum of Art, fino al 2016. «Le sue creazioni utilizzano una tecnologia avanguardistica, ma la applicano alla più artigianale delle arti: è una strana intersezione nella quale non operano in molti. Il suo ruolo, credo, è definito dal futuro più che dal presente. Molti tra i designer più sperimentali la conoscono già, ma la sua influenza non sarà davvero avvertita fin quando le aree della tecnologia nella quale sta sperimentano riusciranno a trasformare questi vestiti scultorei in un più prosaico capo d'abbigliamento». Eppure c'è già, oggi chi veste Iris van Herpen, che inizia anche a realizzare una collezione ready-to-wear dal 2013: la stessa designer ha spiegato che buona parte dei suoi clienti fa parte di circoli artistici, di gente lontana dai riflettori e da cariche pubbliche, ma contraddistinte da un eclettismo che permette loro di sfoggiare gonne realizzate in seta sintetica o pezzi di eco-pelle – e però davvero vegana e per niente inquinante, realizzata partendo dalle cellule dei bovini – durante la loro vita sociale. Curatori d'arte contemporanea, artisti, collezionisti, che sostengono l'operato di una creatrice che va ben oltre le classiche definizioni di "stilista". E piace molto anche al teatro, visto che, grazie al suo passato da ballerina, è riuscita a interpretare anche i costumi per l'Opera di Parigi e il New York City Ballet, collaborando con il coreografo Benjamin Millepied, coniugato con un'altra assoluta rappresentante di quella affluente categoria dei belli e assai intelligenti, Natalie Portman. «Quella relazione simbiotica tra corpo e mente, l'evoluzione della forma durante il balletto, le ho imparate facendo pratica da bambina» si legge nella suo biografia ufficiale. Se i paragoni con Lee McQueen sono sostenuti non solo dalla comune centralità del corpo femminile, ma anche dal passaggio di Iris nel suo ufficio stile, le somiglianze finiscono qui: laddove la visione di McQueen era carica delle tenebre e dei drammi che il creativo aveva sperimentato nella sua vita personale, quella di Iris si innalza dal corporeo, e trascende nell'onirico, anche se il delicato lavoro necessario appare impalpabile solo a chi guarda, e mai a chi indossa. Lavorando su sete sintetiche ha realizzato gonne e vestiti all'apparenza privi di peso, e che però, per sostenersi in quelle forme scultoree, hanno bisogno di struttura, definizione, sostanza tessile. La tecnologia attuale, forse, non è capace di star dietro a Iris, proiettata già in un futuro nel quale il corpo è ritornato a una piena comunione con la natura, e ne imita movimenti e metamorfosi.

a model presents a creation by iris van herpen during the womens spring summer 20202021 haute couture collection fashion show in paris, on january 20, 2020 photo by christophe archambault  afp photo by christophe archambaultafp via getty imagespinterest
CHRISTOPHE ARCHAMBAULT//Getty Images
Haute couture Spring Summer 2020

Nel 2014 vince il prestigioso Andam Award a Parigi – il primo a vincerlo, nel 1989, fu sua santità della moda Martin Margiela – e ne approfitta per fare visita al Cern e studiare l'utilizzo dei magneti nelle sue collezioni, guardando il lavoro compiuto nientedimeno che dal Grande Collisore di Adroni, l'acceleratore di particelle del centro ginevrino – tremendamente simile a quello televisivo visto nella scorsa stagione di Stranger Things, e nel quale precipita l'amatissimo Jim Hopper. L'ispirazione che trae dall'esperienza sarà alla base della sua collezione Magnetic Motion (primavera-estate 2015), abiti dal romanticismo lunare costruiti attraverso tagli laser e persino la creazione in laboratorio dei materiali che costruiranno parte delle sue calzature, come le strutture metalliche manipolate attraverso proprio l'utilizzo del magnetismo.

iris van herpenpinterest
LAUNCHMETRICS SPOTLIGHT
La collezione magnetic motion, spring/summer 2015

In tempi di Covid-19, la sua creatività non viene meno: la collezione Couture si sublima in un pezzo, Transmotion, presentato in un video, e indossato da Carice van Houten, che con Iris condivide la provenienza geografica, e quel fascino distante ed etereo. Alla sacerdotessa Melisandre di Game of Thrones, van Herpen mette indosso un vestito che è una nuvola di plissé a clessidra, dal quale partono delle vibrisse in perline nere – che appaiono sospese nell'aria, visto che, a sostenerle, c'è un sottile filo bianco. Ispirato alle opere di Escher, labirinti visivi che possono essere codificati o tradotti da qualunque lato li si guardi – e, nello stesso modo, definiti precisamente da nessuno di essi – l'abito è una sorta di albero della vita, che cerca di riprendere il contatto con la natura, evolversi, rinascere per sopravvivere alle difficoltà dei tempi che corrono. « Alcuni designer dicono di creare vestiti, non arte» ha commentato in merito Harold Koda. «Iris non può dire davvero lo stesso. Si tratterà anche, in senso stretto di adornare i corpi con dei vestiti, ma qui parliamo di sculture: è un'artista concettuale, e il mezzo attraverso il quale si esprime, è il vestito».

youtubeView full post on Youtube