"Ancora tu, ma non dovevamo vederci più? Che bella sei, sembri più giovane, o forse sei solo più simpatica" . Mentre in sottofondo sembra di sentire le note di uno dei brani più famosi di Lucio Battisti, crasi lirica tra dance di stampo americano e canzone leggera all'italiana, sulle passerelle della settimana della moda di Milano si (ri)vedono volti e corpi noti, alcuni notissimi, che si riprendono i loro spazi, o ne guadagnano di nuovi. Sarà per via della pandemia da Covid-19, che blocca i voli in arrivo dagli Stati Uniti, a meno di non affidarsi ai jet privati, ma l'occasione è stata colta dalle maggiori maison per mettere sotto l'occhio dei riflettori – cono spesso occupato dalle modelle americane figlie d'arte e dei social – le nuove e più promettenti leve. Italiane, europee, o più semplicemente, eterne. Se le varie Bella, Kendall, Kaia, sono così escluse dalla narrazione estetica ad alto livello di scenografia che è la sfilata, Gigi Hadid, che ha appena consegnato ai social la prima immagine della neonata concepita con Zayn Malik, ha evidentemente altre priorità. Nonostante, quindi, si temesse una rilevanza mediatica e social azzoppata da queste assenze (giustificate), il pericolo si può considerare scampato, anche con una certa nonchalance.

milano, italy   september 23 a model walks the runway during the fendi ready to wear springsummer 2021 fashion show as part of the milano fashion week springsummer 2021 on september 23, 2020 in milano, italy photo by victor virgilegamma rapho via getty imagespinterest
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Edie Campbell sulla passerella di Fendi


Se non causa stupore vedere Mariacarla Boscono incedere sulle passerelle di Versace, Fendi e Blumarine, Salvatore Ferragamo era da tanto che non spuntava su una passerella tricolore il pixie corvino di Edie Campbell, inglese già musa per Armani nei primi anni Dieci. Il clash tricologico-facciale – capelli dall'attitudine brit-punk, sguardo innocente, à la Arwen, principessa elfica delle trilogia tolkeniana portata sul grande schermo da Liv Tyler – diventa così ancora più forte, complice il tempo che è passato, senza apparentemente lasciare segni inclementi. In quota del regno d'Albione, però, c'è anche Penelope Tree, anglo-americana che ha affrontato tutti gli anni della Swinging London con gli occhi già meravigliosamente fuori misura, incorniciati da un mascara esagerato. Frangia sempiterna e raccolto basso, si muove sulla passerella di Fendi, in blazer svasato e pantaloni morbidi con piega centrale, con la stessa sicurezza disimpegnata che portò John Lennon a definirla "hot hot hot,smart smart smart", una frase che pare già un ritornello accattivante dei rivali Rolling Stones.

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Penelope Tree da Fendi

In effetti, una collezione come quella di Silvia Venturini Fendi, improntata sulla celebrazione della biancheria buona, quel crochet che ricopre le borse, il rattan su maxi valigie accessoriate per dei petit–dejeuner sur l'herbe, i lini ricamati e, in generale, la reminiscenza antica del concetto di corredo –figlia di un'atmosfera familiare e intima, sperimentata dal clan Fendi durante il lockdown – richiede personalità dai dati anagrafici diversificati, madri e mentori ideali, figlie e allieve. Di conseguenza pare naturale l'apparizione di Yasmin Le Bon, suprema incarnazione del glamour reaganiano e coniugata con il Simon il cui viso tappezzava le camerette delle adolescenti dell'epoca, così come quelle di Eva Herzigova, dell'incarnato d'avorio di Karen Elson, e della nobiltà nelle movenze, e negli augusti avi di Cecilia Chancellor.

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Jill Kortleve da Etro

In quota tricolore, oltre alla Vittoria Ceretti più defilata rispetto al clan Hadid-Jenner, ma universalmente riconosciuta come appartenente a pieno titolo della categoria delle top model 3.0, allo show di Fendi e Alberta Ferretti, in micro short in suède e maglia con maxi maniche a sbuffo, c'è Maty Fall Diba, italo-senegalese diciottenne ormai presenza fissa sulle passerelle di Saint Laurent, ma anche nei maggiori show italici delle ultime stagioni. Il Belpaese si è accorto di lei in occasione della sua storica prima copertina per Vogue Italia, questo febbraio, dove veniva definita come esempio di"Italian beauty", scatenando polemiche tanto stantie quanto di breve durata, nell'effimero mondo dei social network, ma in questa occasione, priva della nebbia fitta di condivisioni, take-over instagrammabili e apparizioni persistenti della compagine americana, sembra essere riuscita a guadagnarsi l'attenzione mediatica di cui gode già, ad altre latitudini. La statuaria sudanese-australiana Adut Akech, che ha vinto il titolo di Modella dell'anno agli scorsi Fashion Awards, è apparsa da Fendi, Versace.

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Maty Fall Diba da Alberta Ferretti

Oltre che per età, e colore della pelle, il cast delle protagoniste di questa edizione della fashion week milanese, ha scelto di distinguersi per body positivity, finalmente inglobando a pieno titolo modelle come Ashley Graham – al suo ritorno dopo il parto– vista da Fendi ed Etro, l'olandese Jill Kortleve (Fendi, Etro, e Versace) e Paloma Elsesser (Fendi, Marni) tutte già presenze fisse delle maison italiane, ma mai considerate come la "regola" di un sistema che è finalmente venuto a patti con l'idea di una bellezza democratica, che non vede il passaporto di appartenenza in una taglia. Versace stabilisce il suo personale record, mettendo in bella mostra i corpi e i volti di tre personalità come Jill Kortleve, Precious Lee, e Alva Claire, autorizzate a pieno titolo dai tempi che corrono, a camminare nello stesso show di Joan Smalls e Irina Shayk. Infine, senza le telecamere puntate costantemente sulle colleghe americane, più influencer che "semplici" mannequin, si riesce a scorgere la cascata biondo miele di Rianne Van Rompaey, olandese con un ovale che è già un quadro fiammingo (Fendi, Alberta Ferretti, Versace), e l'argentina Mica Arganaraz, tra le grandi sicurezze di Saint Laurent, di cui è presenza regolare, e a Milano presente da Fendi, Boss e Versace. In tempi di incertezze globali, tirando le somme, fa tirare un sospiro di sollievo l'idea che, al netto delle assenze delle star statunitensi da passerella, "non finisce mica il cielo", come affermava un'altra icona della musica italiana, Mia Martini. La capacità di rappresentare un ideale estetico, un fenotipo, un riferimento ontologico, travalica i confini, i muri reali e quelli immaginari, ed è comune a tutte le donne capaci di portare sulla passerella non solo le telecamere e un folto seguito instagram, accompagnato dal solito physique du rôle – neanche più, finalmente, prescrizione obbligatoria à porter – ma anche una personalità, una storia con la quale è possibile, anche per chi non calca i più blasonati runway, trovare una connessione umana. Storie alle quali il pubblico si è già affezionato e che, si spera, di rivedere anche nel domani di una nuova normalità.