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Chanel: la storia della borsa Boy è quella di un amore

Quello di Mademoiselle e Boy Capel, scomparso a un passo dal matrimonio, a cui la maison ha dedicato una bag dai mille volti.

Di Alessandro Argentieri
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Fin dal 1954, l’anno del suo ritorno al lavoro a Parigi dopo l’esilio in Svizzera che si era autoimposta durante la guerra, Coco Chanel faceva esporre in una vetrina della sua boutique di rue Cambon un profumo, un paio di décolletées e una borsa. Li alternava a varie essenze e modelli, ma erano sempre tre accessori irrinunciabili per chi entrava in quella - allora piccola - boutique. Da vera visionaria, aveva capito quanto certe borse, al pari dei suoi tailleur e degli abiti da sera, avrebbero accresciuto la sua fama (oltre che i suoi guadagni). Proprio lei aveva fatto di questo oggetto qualcosa di utile da portare a mano, ma anche alla spalla - un gesto insolito per le sue clienti dell’alta borghesia. E sebbene Chanel produca più di 50 modelli di borse all’anno, le più agognate sono tre: la 2.55, la 1112 e la Boy. Se la prima è stata la borsa creata nel febbraio del ’55 da Coco (che comunque non usava solo quella) e ancora oggi mantiene la sua severa chiusura rettangolare, la 1112 è quella che il personale dei sei punti vendita italiani chiama Classica per via delle doppie “C”. Le ha volute Karl Lagerfeld negli anni 80, un periodo in cui a essere “logate” erano anche le ceramiche dei bagni. Oggi, superata l’età dell’opulenza - ma anche quella del minimalismo - le borse nascono per un’idea fulminea. Lo rivela Yvette (vuole restare anonima per rispetto alla maison), che lavora con lo stilista tedesco per lo sviluppo dei prototipi e la successiva produzione.

«A Karl Lagerfeld piaceva molto un bottone art déco che faceva parte di una collezione. Lo usò come chiusura di una borsa, chiedendomi di ingrandirlo. Ma non era finita. Dopo, aggiunse anche altri due dettagli grafici, i rettangolini ai lati, provenienti dal disegno di una cassaforte. La fibbia era quasi fatta. L'abbiamo appena smussata. La catena è arrivata dopo». Karl l'ha voluta perché Coco è stata la prima a usarla ed è uno dei codici della maison. Il nome della nuova borsa? Boy, per via di quel Boy Capel tanto amato da Mademoiselle. Era un nome per un modello già abbastanza maschile, arrivato in una collezione - quella del 2011/12 - che amava giocare con gli opposti. A onor di cronaca, la prima versione aveva il logo sbalzato e bordato in alto da cuciture, ma poi è sparito per via delle innumerevoli variazioni. «In produzione abbiamo di sicuro oltrepassato il centinaio di versioni. E non sono trascorsi neanche tre anni!». Quella più costosa è in coccodrillo, ma non sono da meno le edizioni con tessuti d'alta moda, ricami speciali o catene sulla patella. Dalla fibbia ingigantita della borsa Boy è poi nata la clutch che la "vox modae" chiama amichevolmente Lego. Una creazione che non è realizzata da uno stampo di plastica (come molti credono), ma da un pezzo di resina scavata per ore e ore da una macchina, fino ad arrivare alla forma desiderata. Una vera, inusitata modernità artigianale.

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Fasi della lavorazione della 2.55

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Fasi della lavorazione della 2.55

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Variazioni sul tema della Boy: catene a dismisura

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Coco con una borsa trapuntata ispirata alla 2.55.

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Mademoiselle Gabrielle ritratta da Horst P. Horst.

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Milla Jovovich con una Boy bag con bordo dorato della collezione Crociera che ha sfilato a Versailles.

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Variazioni sul tema della Boy: bordi a contrasto,

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Variazioni sul tema della Boy: grafiche optical

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Un tavolino con una pochette rigida

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Alice Dellal ha voluto il modello in nero coordinato al suo completo.

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