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Star Academy

50 anni e non sentirli. Li compie la Royal Academy of Arts di Anversa. Auguri!

Di Antonio Mancinelli
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E, improvvisamente, apparvero. Da quella che scioccamente ritenevamo la provincia dell'Impero dello Stile, il Belgio. Il Belgio?! Ci dicemmo allora. Ma che strana cosa. Eppure quei magnifici sei dai cognomi impronunciabili – Walter Van Beirendonck, Ann Demeulemeester, Dries Van Noten, Dirk Van Saene, Dirk Bikkembergs e Marina Yee – avevano una missione: cambiare il modo in cui un abito viene sognato, ideato e progettato.

Seguendo modelli emotivi di grande sincerità e cartamodelli di grandi sartorialità. Al contrario dei giapponesi degli anni Ottanta, da Yohji Yamamoto a Rei Kawakubo, che erano una falange compatta e oscura come un nuvolone pre-tempesta, ognuno di loro aveva una visione particolare, intellettualmente esclusiva. Niente accomunava il “toywear” di Beirendock al punk sentimentale della Demeulemeester, le ariane architetture corporee di Bikkembergs alle effusioni floreali etnico-antropologiche di Van Noten. Condividevano solo una cosa: essersi diplomati tra l'80 e l'81 alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa, diretta allora da Linda Loppa (che ora è a capo del Polimoda di Firenze). Una scuola che oggi compie 50 anni. E che, ben prima della mitologia creata intorno alla Saint Martin's di Londra, ha sfornato talenti che hanno inciso sulla contemporaneità e aperto la strada ad altri campioni di creatività: Martin Margiela, ma anche Veronique Branquinho, Raf Simons, Oliver Theyskens. Tutti belgi.

La signora Loppa, con cui ho parlato di ponti, di mostri e di chimere medievali (cosa c'entrano con la moda? C'entrano, c'entrano...) al Pitti Uomo a gennaio, parla di quel periodo senza nostalgie: «Eravamo tutti entusiasti, ma a differenza degli italiani e dei francesi, non c'era una silhouette preponderante, non esistevano influenze esterne. Perciò a quei ragazzi dicevo: “Fate quello che volete, ma fatelo al meglio”. E penso che il loro lavoro abbia dimostrato come questa sia una ricetta possibile per fare una moda che resista alle mode». La "scuola di Anversa", oggi splendida cinquantenne, si è tramutata ben presto in un modo di dire per esprimere un'estetica precisa, puntuale, individuale. Ma soprattutto di ricerca. Di sperimentazione. Di non-dare-mai-nulla-per-scontato. Perché la moda è un “ponte” tra discipline diverse, crea “mostri” affascinantissimi e realizza impensabili “chimere”. «Non li ho mai incitati a lavorare pensando alla produzione di massa, anche perché allora in Belgio, la produzione di massa, semplicemente, non c'era». Ben fatto, Linda. E tanti auguri a una scuola dove invece di insegnare a seguire cose già successe, s'impara a disegnare il futuro. Ma un futuro individuale. Un futuro secondo te. Un futuro couture. Che a noi arrogantoni di allora faceva associare le lettere “B “ ed “E” al Belgio a un belato di greggi lamentose. Che nemesi: a essere dei pecoroni pronti a riunirsi sotto il comando di un solo pastore, è un rischio che ora stiamo correndo noi.

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Dries Van Noten show

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Ann Demeulemester

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Maison Martin Margiela

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Walter Van Beirendonck

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Dirk Bikkembergs

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Marina Yee

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