Sguardo di donna , una mostra a Venezia
Antonio Marras e 25 fotografe: un dialogo differente
E se poi tutta questa discussione sul genderless, sull'indistinzione sessuale, sull'indifferenziazione di appartenenza genitale per cui l'anatomia non è un destino ma un progetto, una volta trasferita sul piano creativo si rivelasse non poi così vera? E se fosse un dato di fatto, pacifico e tranquillo, che uomini e donne sono uomini e donne, ognuno/ognuna portatore/portatrice di una visione sul mondo di cui faccia parte anche l'essere nati maschi o femmine? Sono i felici dubbi che sbocciano in mente guardando Sguardo di donna, alla Fondazione Tre Oci di Venezia, fino all'8 dicembre. I lavori di 25 fotografe-artiste sono stati scelti da Francesca Alfano Miglietti - che si fa chiamare con l'acronimo FAM - esibiti attraverso l'allestimento di un grande designer-filosofo, Antonio Marras, che da sempre contamina la creatività nella moda con stimoli che arrivano dall'arte contemporanea, dal cinema, dalla musica. Il risultato è una mostra che si può godere come una sola, gigantesca opera d'arte che si estende su tre piani, e dall'altro, invece, come un mosaico di immagini da osservare una per una, con attenzione. E in questo interscambio tra designer e curatrice, abbiamo pensato di tentare un possibile, ulteriore interazione: mostrarvi nella gallery la femminilissima "scenografia" di Marras versus immagini solo ed esclusivamente di uomini ritratti solo ed esclusivamente da donne.
Il designer parla esplicitamente della procedura dell'accumulo trionfante di vestiti usati sottratti ai magazzini del Teatro La Fenice come mediatori di storie mute ma che in realtà sono eloquenti dichiarazioni di memoria, e manifesta l'intenzione di trasformare gli spazi dei Tre Oci in una casa con tanto di wallpaper disegnati ad hoc per le pareti: «Stanze e poi stanze ricoperte di tappezzerie abbozzate, mal finite e infinite che rivelano uno sguardo di donna strano, diverso… Creano un'atmosfera, un'aria vissuta, un alone d'antico, che sa di vite trascorse, di storie reali o inventate. Gli abiti impongono la loro presenza, respirano in tutta la loro forza espressiva ed evocativa, si caricano di significati, scatenano esplosioni, echi, suggestioni, emozioni, raccontano di altri tempi. E fanno da padroni di casa alle foto che raccontano di sguardi e di vedute di altre».
Dall'altro lato, FAM cita il Nietzsche de La Gaia Scienza, quando definisce la donna un essere amante capace di «donare e donarsi totalmente, corpo e anima» e pone l'attenzione sulla differenza dello sguardo femminile, l'unico in grado di allinearsi con sentimenti profondi anche quando l'obiettivo (del lavoro e fotografico) si rivolge e scene di violenza o di cronaca. Come se alle donne fosse "naturalmente" connessa in automatico una dimensione più intima e individuale, che è inclusiva e mai esclusiva e ha come punto di partenza la salvaguardia delle emozioni. Al mondo femminile, sembra dirci FAM, è donato il privilegio di andare al cuore delle cose e delle persone, pur mantenendo un profondo dialogo con il reale, pur negandosi qualsiasi scappatoia verso il mondo della fiaba. Laddove ai maschi interessa la denuncia, alle femmine si sovrappone anche la velatura della compassione e della partecipazione ai drammi e alle gioie dell'altro da sé.
Diversi come istinto. Uguali come dignità. Forse uomini e donne dovrebbero valorizzare le rispettive sensibilità e far conoscere reciprocamente le declinazioni di quella che comunemente chiamiamo "umanità". Se poi questa umanità viene rivestita da abiti preziosissimi e poetici, come quelli di Antonio Marras - un uomo! - tanto meglio. Giusto?
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