Rispolverare una parola ormai quasi in disuso come galantuomo può tornare utile parlando di Alberto Repossi. C'è stato un momento in cui, nel 1997, questo signore, uomo simbolo di Repossi Joailliers, ha dovuto gestire nel giro di poche ore due eventi clamorosi e completamente opposti: custodire il segreto del fidanzamento fra la principessa del Galles Diana e Dodi Al-Fayed, con l'orgoglio di aver recapitato il 30 agosto l'anello che aveva preparato per lei, e la notizia della morte di entrambi 24 ore dopo, con l'assalto della stampa che aveva scoperto tutto da un documento compilato con eccesso di informazioni (ma tutto questo ce lo racconterà lui). Flemmatico, da buon golfista qual è, Repossi misura e soppesa le parole migliori del vocabolario italiano, limate da quel gradevole accento francese che ha cominciato ad assorbire a 24 anni quando la sua famiglia, nell'epoca grigia dei rapimenti, si è trasferita dal Piemonte a Montecarlo.

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Courtesy Repossi
Alberto Repossi e Carolina di Monaco con Karl Lagerfeld


Monsieur Repossi rappresenta la terza generazione di gioiellieri di famiglia, di cui la quarta è la figlia Gaia Repossi, 33 anni, la quale dal 2015 detiene il 35% di quote della maison che è entrata a far parte dell'empireo Lvmh di Bernard Arnault. Alberto Repossi è sempre presente a se stesso, non edulcora nulla, non usa eufemismi, racconta con una semplicità disarmante il suo passato e le sue origini a cominciare da quando il nonno Pietro decise di abbandonare un'attività di produzione di scarpe, per avventurarsi nella gioielleria. "Negli anni 20, nel comparto di Alessandria da cui ha origine mio nonno, ci fu la grande depressione", inizia a raccontare Repossi. "Tutto andò a ramengo. Nonno si convertì alla gioielleria perché col valore aggiunto del metallo si era più sicuri. E insieme a suo cugino decise di aprire la prima fabbrichetta a Valenza Po". L'attività è poi passata a suo padre Costantino, che ha inaugurato il primo negozio a Torino.

"Io, intanto, volevo fare il pittore e frequentare il liceo artistico. Ma c'era il 68, l’artistico era il covo della rivolta studentesca e il mio babbo, temendo che prendessi anch’io quella direzione, mi mandò allo scientifico a Torino. Ma io per la matematica e il latino sono sempre stato negato. Mio padre mi diede due alternative: fare il pittore bohémien senza alcun sostegno da parte sua o entrare in laboratorio. Scelsi la seconda perché comunque la gioielleria è arte applicata, libertà di creazione, anche se mi imposero dei limiti perché un novellino rimane tale anche se figlio del padrone. A Valenza Po dormivo dal lunedì al venerdì in un ostello dove alloggiava anche un tagliatore di pietre che dopo cena mi portava nel laboratorio e mi insegnava a conoscere le pietre. A 17 anni comprai un trattato di gemmologia che indicava dove si trovavano le miniere: al tempo non c’erano carte di credito e viaggi organizzati. Presi questo tagliatore, che ne aveva 43 e andammo alla ventura".

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Courtesy Repossi
Repossi con il Principe Carlo e Donatella Versace


La passione di Alberto Repossi è iniziata così, è stato un periodo di scoperta della vita che faceva per lui. L’anno scorso ho festeggiato i suoi 50 anni di viaggi India. Era l'inizio di una carriera legata strettamente a donne eccezionali, anche della sua famiglia, di cui parla con amore. "Tutto quello che ho fatto nella vita è stato anche grazie a mia moglie", racconta Repossi. A 24 anni appena arrivati a Monaco erano già sposati. Quando la maison ha aperto la sua prima gioielleria nel principato, nel magico Carré d’Or di Monte-Carlo a fianco dell’Hotel Hermitage, e poi, nel 1985, la boutique di Parigi in Place Vendôme, il paradiso dell’Alta Gioielleria, sarebbe stato imbarazzante accettare inviti del duca di Bedford o di altre personalità tutto solo. "Essere in coppia ci ha aiutato in maniera incredibile. Mia moglie si è sempre impegnata molto, abbiamo fatto questo percorso insieme, per 40 anni". E sono molte altre le donne dall'aura magica che hanno fatto la fortuna di Repossi Joailliers. Monsieur Alberto le racconta una per una.

Le principesse di Monaco
"Siamo arrivati nel principato nel 1976. Era inevitabile incontrare la principessa Grace di Monaco. C’era un’esposizione di alta gioielleria all’Hotel de Paris e lei venne a vederla. Le piacquero molto alcuni oggetti e cominciò lì, 34 anni fa, la nostra collaborazione con quella che oggi si chiama Fondation Princesse Grace. Ogni anno, al Ballo della Rosa, dove fra le invitate c’è una grande competizione nello sfoggio di gioielli, noi ne doniamo uno che va in beneficenza. Inizialmente lo sceglieva la principessa Grace, poi dopo la sua scomparsa, la principessa Carolina. Questo rito è una delle nostre occasioni regolari di incontro. Il principe Ranieri, nel 1994 mi ha concesso il brevetto di fornitore particolare della famiglia e quando si festeggiarono i 700 anni della dinastia, Ranieri ci scelse per confezionare i regali per gli altri regnanti nel mondo che consegnammo uno per volta, dandomi modo di incontrare molti di loro.

La famiglia del principe è molto legata alla mia. Conosco il principe Alberto da molto tempo e mia figlia frequentava l’asilo con Charlotte Casiraghi, che veniva sovente anche a casa nostra. Quando il principe Ranieri morì, a me e mia moglie venne assegnato l’onore di un turno della veglia funebre, un’ora nella notte seguente alla sua morte. Le spoglie di un principe regnante non possono mai rimanere sole, senza persone di famiglia o di fiducia. Tenemmo compagnia al principe scomparso dalle due alle tre di notte nella cappella del castello con quattro Carabinieri della Compagnia del Principe ai suoi lati e alcuni prelati. Fu un’esperienza particolare. Non si recita il rosario e non si prega: si sta in silenzio, fino a quando arriva il cambio. Il principe Alberto mi ha poi onorato con la scelta dell’anello di fidanzamento per la principessa Charlène, e con la nazionalità monegasca cinque anni fa, a me e mia moglie. Quando passerò a miglior vita avrò anch’io i quattro carabinieri che mi vegliano."

Le principesse e le regine arabe
"Quando inventai la spilla fiocco negli anni 90, tutte le gentildonne del mondo la videro esibita dalla principessa Carolina e dalla regina Noor al Hussein di Giordania, facendo parlare di noi. Gli anni 80 li ho trascorsi per quattro mesi l’anno in Arabia Saudita. Le madrine che mi hanno introdotto in quel mondo sono le quattro sorelle Faysal, le figlie del re saudita e diʿIffat al-Thunayān, le donne più colte, eleganti e intelligenti dell’Arabia Saudita, ammirate in tutto il Medio Oriente perché il padre, un visionario, le mandò a 15-16 anni a scuola in Svizzera. Oltre l’arabo e il turco – la madre era di Istanbul -, parlavano benissimo francese e inglese. Con una mamma turca, loro erano qualcosa di diverso dagli altri clan, in cui le coppie erano formate perlopiù da cugini. Loro, gentilmente, convocavano le donne delle altre famiglie legate alla loro, io le raggiungevo con la mia collezione. Mi fecero arrivare fino al sultano del Brunei. È stato un periodo bellissimo, potevo visitare le principesse nei palazzi anche senza la presenza del marito, era tutto diverso. Poi un po’ alla volta, è cambiato tutto per motivi religiosi.

Abbiamo avuto come cliente, per molti anni, soprattutto la regina Noor, l’ultima moglie di re Hussein. Poi abbiamo continuato con la principessa Rania di Giordania, ma questi legami si conservano facendo molte visite, e negli ultimi anni ci siamo allontanati. Come lady Diana, la regina Noor rientra in quella categoria di donne estremamente intelligenti, molto gentili. L’ho incontrata di recente perché abbiamo sponsorizzato con due fondazioni un Gala a Monaco e fra gli invitati c’era anche lei. E passa anche ogni tanto da queste parti. È sempre bellissima, sembra che il tempo non l’abbia toccata, non è rimasta vittima della tendenza mediorientale a sviluppare, diciamo così, dei pesi e dei volumi."

Maria Callas
"Ai tempi di mio padre, a Torino, ci fu un’occasione di contatto con lei. Mio padre Costantino era famoso perché rifaceva, rimodellava, rimodernava gli oggetti dei clienti. Lei gli affidò una collana di diamanti da rifare. Mio padre pose il più grande di questi diamanti come chiusura, dietro, e alla Callas non piacque per nulla. Era abbastanza adirata. Poi in molti le dissero che invece il diamante dietro era chic e si calmò. Ho parlato di Maria Callas di recente con la principessa Carolina perché quando finirà l’emergenza Covid festeggeremo i cento anni della maison e abbiamo molte difficoltà a rintracciare le immagini dei gioielli del periodo italiano, al tempo non si facevano copie e non esistevano le fotocopie. Dicevamo che sarebbe stato bello trovare qualcosa di Maria Callas. Allora Carolina mi ha stupito raccontandomi che, quando aveva 16 anni, sua madre Grace ha ospitato la Callas a Monaco dopo la rottura con Onassis. Carolina doveva farle praticamente da dama di compagnia e non era facile perché la cantante velava gli specchi e metteva i suoi dischi a tutto volume tutto il giorno. Mi ha detto che avrei potuto rintracciare la collana di diamanti, che non abbiamo più rivisto nelle aste, tramite dei membri della famiglia in America. Un suggerimento utile".

Lady Diana Spencer
"Sono in buoni rapporti da molto tempo con la famiglia Al-Fayed, abbiamo anche un gentleman agreement per cui applico degli sconti a loro nell’alta gioielleria, e loro ricambiano quando soggiorno al Ritz. Quando ho conosciuto Mohamed Al-Fayed non era più sposato con Samira Khashoggi, la sorella del famigerato Adnan, ma con l’ex modella Heini Wathén con cui ha avuto quattro figli. Dodi era figlio di Samira. Mohamed al Fayed è un uomo ruvido, fin troppo spontaneo, ma di cuore, e ha sempre manifestato un amore immenso per questi figli. Abbiamo consumato pranzi pieni di allegria in barca, quando viene a Montecarlo. Dodi però l’ho conosciuto solo in occasione della messa a misura dell’anello, insieme a Diana. Ci chiamarono dalla direzione del Ritz e ci chiesero di vedere degli anelli di fidanzamento “per un cliente particolare”, ci spiegarono. Solo dopo ho scoperto che era per la principessa. Lo scelsero, ma la fabbrica era chiusa ad agosto e dissi loro che lo avremmo consegnato a settembre. Risposero che era troppo tardi, che dovevano averlo prima perché stavano per annunciare il fidanzamento a Parigi i primi di settembre, nella casa di Rue de Boulogne che aveva ospitato Wallis Simpson ed Edoardo VIII in esilio. Il luogo non era stato scelto per caso, rappresentava una sfida nei confronti della famiglia reale, anche Al-Fayed era in collera con la royal family perché non aveva mai ottenuto la cittadinanza britannica.

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Courtesy Repossi
Di-Moi Oui, l’anello di fidanzamento di Lady Diana per le nozze con Dodi Al-Fayed


Li accontentammo e il 30 agosto il gioiello fu ritirato. Quell’occasione della messa a misura è stata troppo breve per entrare in confidenza con la principessa del Galles e Dodi, a parte aver scherzato sul nome dell’anello Dis-Moi Oui, dimmi di sì. La principessa Diana esprimeva una serenità e una semplicità rimarchevoli. Come tutte le persone importanti e beneducate era molto a modo. Ma non è stata una sorpresa per me, lo è anche la principessa Carolina, lo sono tutte le persone importanti e intelligenti che conosco, che mettono subito a loro agio chi hanno di fronte. Dodi era un bel ragazzo dal fascino tenebroso. Era emozionatissimo, sembrava molto innamorato, aveva conquistato la donna più mediatica del mondo e cercava di compiacerla in qualunque modo, la copriva di attenzioni. Eravamo emozionati anche noi, dovevamo fornire l’anello di fidanzamento per la donna più in vista del momento, per la maison era un riconoscimento molto importante. Nel giro di pochi giorni, invece, siamo stati travolti da un grande interesse mediatico legato alla tragedia. Abbiamo tentato di non parlarne con la stampa, per rispetto ai figli di Diana, per il segreto professionale, per i nostri clienti. Come venne fuori la storia dell’anello non è chiaro. Era stato consegnato esattamente il giorno prima dell’incidente in cui la principessa del Galles e Dodi persero la vita. Noi abbiamo dovuto segnalare ai Lloyds che era stato consegnato e che non sapevamo dove fosse andato a finire. Purtroppo, per un lapsus, uno dei miei impiegati di Parigi scrisse sul modulo “anello di fidanzamento”, invece che solo “anello”. Forse qualcuno dei Lloyds deve averlo letto e si è venduto l’informazione al Sun. Ci ritrovammo sui giornali del mondo intero. Oggi non sappiamo dove sia finito".

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Courtesy repossi
Sofia Loren e Repossi

... e la figlia, Gaia Repossi
"Infine, mia figlia, che ha preso da me. A 18 anni è partita da Monaco tutta sola per stare a Parigi e studiare alla Sorbona. Le dissi 'va bene, non vuoi lavorare con noi ma seguimi almeno nei viaggi in Oriente'. Per qualche anno, lei mi faceva vedere i monumenti e le antichità e io le mostravo dove e come compravo. Nel giro di tre anni, quando dovevo scegliere fra due lotti, lei ha iniziato a intervenire: 'non scegliere questo, prendi l’altro'. Mi disse che come donna aveva più sensibilità, che aveva le idee chiare su cosa avremmo dovuto fare con quelle gemme. Ho capito che era pronta. Tornati a Parigi la nominai Direttrice della creazione, aveva 22 anni, studiava ancora, ma ero sicuro della mia decisione. Lei iniziò a smantellare tutto: 'il sito è orribile, la pubblicità è sbagliata'. Le dissi 'fai tu, ora sta a te'. Agli inizi del 2000 è diventata anche Direttrice artistica, a 23 anni. Aveva addosso tutta la stampa, a Place Vendôme, così giovane e una delle poche donne del settore. Mia figlia, che non porta gioielli a parte qualche anello strano, concepisce tutto come opera d’arte. Mi ha insegnato il marketing. Aveva realizzato una collezione molto femminile ma leggera, per le giovani, e le dissi: 'produrla in atelier di alta gioielleria alzerà molto il prezzo'. Ma lei mi spiegò che se una donna desidera una cosa non c’è cifra che la fermi. Come creatore di alta gioielleria ho dei limiti nell’intuizioni del femminile. Gaia è la compensazione di quello che mancava. Ammetto: quando il creativo non ha limiti fa grandi cose e né io, né lei abbiamo mai avuto paura che sbagliando una collezione, ci licenziassero. Una volta, in haute joaillerie, le ho affidato due delle pietre più grandi della nostra collezione e le ha usate per una creazione inedita, i due anelli separati uniti da una catena. Non ci aveva mai pensato nessuno. Con i modelli disegnati da mia figlia, estremamente alla moda, abbiamo avuto un aumento di interesse delle star. Karl Lagerfeld era un fan di Gaia, la chiamava “la collega”. Siamo arrivati al punto che nell’ambiente si dice before Gaia/after Gaia. E dopo questo, non più potuto aprire bocca".