Il caftano è uno dei punti di contatto con il ’68, dice mia madre. Io che sono del 1982, non ci vedo dentro troppi simboli e nemmeno il senso di una uniforme. Senza fronzoli: quand’anche fosse azzardato definirlo il nuovo nero, il caftano per me è più o meno il nuovo leggings, con dalla sua il vantaggio di non segnare le culottes de cheval. Comodo, versatile e democratico, dal momento che sta a suo agio su corpo e anima di Jennifer Lopez così come su quello della vicina di ombrellone (con nel mezzo star di Hollywood, alta borghesia e fashion blogger; millennial, adolescenti e over 70).

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Carolina Herrera

Somiglia a una specie di enorme filtro Instagram che copre le nostre insicurezze. Ma piace a tutte e non è affatto appannaggio di chi non ha le giuste curve da mostrare. Anzi. Lo dimostrano diverse divinità mondane: in Italia la signora indiscussa del culto è stata Marta Marzotto, fanatica al punto da non uscire più di casa senza. Molte le sue emulatrici: donne di ogni forma e misura, ognuna con la tunica che meglio la veste e con sapiente capacità di abbinare gli accessori giusti. In cotone, seta o lana, coprente o di velo impalpabile, corto o lungo fino ai piedi, annodato in vita sul davanti e lasciato lungo dietro, portato con jeans e sneakers nello stile dei figli dei fiori, o abbinato a pochette gioiello e scarpe da sera, è il capo più trasformista ed egualitario degli ultimi anni (dopo i leggings).

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Marta Marzotto in uno dei suoi inseparabili caftani, il suo capo simbolo.

Siamo in Persia, nel 600 a.c. circa. Qui nasce la storia del caftano. Non saprei proprio dire come questo vestito sia passato dall’essere la tunica del contadino che zappava la Mezzaluna Fertile a lussuosa veste del sultano nell’Impero Ottomano. Deve essere successo qualcosa di simile a ciò che capita oggi con le influencer. Che, con due foto postate su Instagram, trasformano le ciabatte da piscina in oggetti del desiderio che costano 570 euro al paio. Perfette per andare a cena fuori a Saint-Tropez. In ogni caso adesso sono qui a riflettere su un capo che conosco da quando sono nata perché ne ho un piacevole ricordo su mia mamma e sulle sue amiche, che lo portavano con i jeans.

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Doris Duke

Sapere che la storia moderna dell’oggetto è partita con Diana Vreeland, allora direttore di Vogue America, aggiunge forse glamour alla mia memoria millennial, ma non modifica la mia reazione affettiva verso questo capo. Se la nota direttrice negli anni Sessanta tornò da Marrakech con i bauli pieni di caftani e iniziò a scriverne, definendoli «capi alla moda per bella gente», io mi sento più sensibile al fatto che di questo passepartout radical chic mia mamma vantava una notevole collezione negli anni Settanta. E non mi è indifferente il fatto che ne abbia disegnato uno lei stessa per Yves Saint Laurent. Lungo, oversize, viola con i bordi color fragola, glielo ricordo addosso nelle sere d’estate e in certi posti di mare di cui ho ancora nel naso il profumo.

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Talitha Getty con il marito John Paul Getty II, sul tetto della loro casa a Marrakech nel 1970.

Non so se questa sorta di innamoramento sia paragonabile a quello che colpì gli stilisti più influenti all’epoca dei primi caftani. Di fatto Christian Dior e Yves Saint Laurent ne crearono varianti lussuose e riempirono i guardaroba del jet set internazionale delle insaziabili baby boomer.

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Grace Kelly

Jackie Kennedy, Talitha Getty, Elizabeth Taylor: le donne più affascinanti del mondo ne hanno fatto un capo distintivo, tingendo il cinema e i salotti bene di un fascino mediorientale che nei decenni non ha perso un colpo. La mia storia di vita non contiene le summer of love, ma posso dire che negli ultimi 25 anni ho notato un successo ciclico del caftano a decadi alterne. Gli anni Novanta sono stati quelli in cui l’ho visto come il capo identitario delle globetrotter. Quelle che avevano eletto Marta Marzotto a líder máximo. Credo che per lei sia stato un grande amore, scoppiato durante le incursioni marocchine e durato finché morte non li ha separati, a luglio del 2016.

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Rita Ora

Dalle cronache mondane dei Novanta emergeva come tutte le signore procedessero seguendo il protocollo della contessa scalza: l’acquisto di stoffe in Africa o in Asia, e un disegno fai-da-te. Anche se a Marta gli stilisti regalavano caftani creati appositamente per lei. Ne possedeva quasi mille e non sembra nemmeno un’esagerazione, se si pensa che, da quando li ha scoperti, non ha indossato altro. Era una influencer ante litteram? No, non voleva influenzare nessuno. Ne era gelosa come lo si può essere di un marito: quando vedeva il caftano in passerella si risentiva, le piaceva che fosse una prerogativa di stile solo sua. Non sono molte le donne che possono permettersi di raccontare la propria vita avventurosa attraverso il proprio guardaroba. Lei l’ha fatto nel 2011 mettendo in mostra i caftani (La musa inquieta. Vita, arte e miracoli di Marta Marzotto). Alla faccia di Lawrence d’Arabia e di Chiara Ferragni.

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Sfilata Miyake Spring Summer 2018.

Con un salto temporale, negli anni Dieci (si chiama così la decade che parte con il 2011?) il caftano è tornato tra noi. Se le gemelle Olsen l’hanno portato sui red carpet, le modelle di Victoria’s Secret l’hanno piazzato nell’immaginario erotico. Io, nel mio piccolo, mi limiterò a portarlo in vacanza. Ma nel gioco di squadra poco importa che ruolo hanno i singoli. Perché oggi, oltre al legame affettivo, per me il caftano è il capo astuto per eccellenza. Si infila in città come al mare, si accessoria con zeppe, sandali da capogiro, scarpe da ginnastica. Poi con cinture, bracciali, collane importanti. In pizzo o chiffon, a righe, pois, con stampe a fiori o animalier, attillato, oversize. È, insomma, risolutivo.

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Sfilata Tory Burch Spring Summer 2018.

Nessun pregiudizio sfiora il successo del caftano come copricostume o aperto sopra un abito, da giorno o da sera. È anche ambiguo, riesce a mostrarsi ricco pur essendo semplice. O viceversa. Veste povera, leggera e ampia per ridurre caldo e senso di costrizione, diventa all’opposto abito nuziale elegantissimo. Paradosso della moda, copre ogni centimetro del corpo lasciando la sensazione di non avere niente addosso. Per chiudere, dalla mamma caftanizzata ho imparato tre regole: in viaggio è da preferirsi agli shorts perché permette di sedersi senza toccare le superfici; in valigia è una certezza per ogni occasione; sta meglio con scarpe che lasciano il piede scoperto. Per quanto ambiguo, non nuovo e furbo, alla fine il caftano è come un ex fidanzato. Di quelli un po’ avventurieri. Ma che tornano sempre a casa.

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Alessandra Ambrosio con un caftano sopra il bikini, a Ibiza.