Un penny per i tuoi pensieri sibilava Jeanne Moreau in Querelle de Brest. Un dollaro per il tuo piacere sobillava una vecchia réclame a stelle e strisce di McDonald’s. Un pound per la tua estate farebbe il verso alla musa di François Truffaut e a Ronald McDonald la didascalia che accompagna lo scatto del costume da bagno più dibattuto dell’ultimo scroll su Instagram.

Come segnala Dazed.com, il costume in questione è il bikini nero venduto online da Missguided al prezzo, appunto, di un pound. E sarebbe stato poetico mettere nero su bianco una carrellata di oggetti che si potrebbero comprare oggi a Londra con un pound ma, in realtà, non ne abbiamo trovato nessuno. Dal biglietto a corsa singola della metro (2,40 sterline) a un ristretto da Starbucks (2,95 sterline). By the way, come direbbero sempre gli abitanti sopra La Manica, la storia del bikini di Missguided non ha probabilmente avuto quel lieto fine che gli addetti agli acquisti online del retailer si aspettavano quando hanno caricato sul web la foto e il prezzo del costume. Nessuna corsa all’oro nero (in poliestere) per il bikini low cost dell’estate 2019 da appallottolare in valigia con la stessa velocità con cui è possibile lanciarlo dentro un carrello digitale. Nessuna di quelle liste d’attesa virtuali che fanno presagire sold out epocali, il costume del rivenditore inglese del Fashion Shopping Online (ipse dixit) ha più che altro fatto il tutto esaurito di polemiche. Comprare online un costume che costa poco più di un euro (1,12 è la conversione in data attuale) potrebbe effettivamente essere l’affare non solo dell’estate ma della vita: due pezzi a triangolo, basic, sgambato q.b., sexy q.b., slegato da qualsiasi trend stagionale. Eppure, perché mai comprare quel costume a quel prezzo diventa il pretesto per scomodare questioni esistenziali, domande amletiche, manifesti politici? Perché, impulsività da “occasione irrrripetibile” a parte, quando compriamo un bikini a un euro stiamo automaticamente giustificando tutto il microcosmo che vive dietro quel bikini. Il lavoro e gli stipendi di chi l’ha prodotto e messo in vendita, il materiale con cui è realizzato e la sostenibilità (o meno) dello stesso e del packaging con cui ci verrà consegnato, la durabilità e resistenza nel tempo di un capo realizzato all’85% in poliestere. Non trasformare i nostri armadi in musei dell’ecosostenibilità non fa di noi delle brutte persone, ma sicuramente acquistare un paio di jeans realizzati con lo 0% d’acqua o un costume monospalla creato a partire dagli scarti della plastica raccolti sul bagnasciuga di una spiaggia sono scelte couture che fanno di noi delle persone più consapevoli, attente, in qualche modo proiettate verso il futuro del nostro pianeta… e del mondo della moda.

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Missguided.com

Se l’industria tessile è la seconda a inquinare di più dopo quella petrolchimica (forse non tutti sanno che… ma è bene/impressionante saperlo), spendere una cifra anche molto molto piccola non accorcia i tempi di decomposizione di un costume a triangolino in poliestere (circa 200 anni). E nemmeno ci dà la certezza che, una volta finita l’estate, non accartocceremo l’ormai bikini sgualcito dentro una pattumiera. Dimenticandocene fino alla bella stagione seguente, momento in cui probabilmente compiremo la stessa azione. “Non oso immaginare quanti di questi bikini saranno venduti quest’estate”, chiosa un utente su Twitter sul profilo ufficiale di Missguided. “Adesso proviamo a immaginare quanta gente li butterà via a fine estate, ormai logori, proprio perché costano un euro e valgono un euro!”. Commento al vitriolo che va ad aggiungersi alla corrente di critiche social-i esplosa attorno a quello che è ormai stato soprannominato One Pound Bikini Gate. Groviglio della couture-politik che nasce a pochi mesi dalla conferma, da parte del primo ministro francese, dell’implementazione di una nuova legislazione volta a dichiarare illegale la distruzione del surplus prodotto dalle aziende. Nel Regno Unito tutto tace per adesso, ma in Francia entrerà in vigore nei prossimi anni, per tentare di arginare i costi - monetari e ambientali - cui fa fronte l’industria della moda, che ogni anno produce più di 650 milioni di scarti tessili da bruciare o gettar via. Nel frattempo, ciò che è stato bruciato virtualmente è la pagina web di Missguided dedicata al bikini errore (404).