Zion Market Research parla di un mercato che, entro il 2025, varrà 85,4 miliardi di dollari. Lyst, la piattaforma di ricerca “modaiola” digitale, sostiene che è il terzo capo più cercato, con 13 richieste al secondo, dopo le scarpe da ginnastica e i vestiti. I pantaloni in jeans si preparano forse ad una loro seconda primavera, dopo quella degli anni 60? Certo, in realtà non se ne sono mai andati, rimanendo un capo imprescindibile dell’armadio (e sempre secondo il sondaggio tra i suoi utenti effettuato da Lyst, il loro momento più iconico è rimasto quello nel quale si sono infilati indosso a James Dean, seguito a debita distanza dall’apparizione in coordinato total denim di Britney Spears e Justin Timberlake, nei gloriosi primi Duemila). Indubbio, però, che se nella decade passata sono stati parzialmente sacrificati sull’altare del minimalismo tout court, oggi anche le grandi maison che non hanno mai avuto storiche associazioni con il capo, lo hanno inserito nelle loro vetrine, dove è subito divenuto uno dei best seller.

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Bettmann//Getty Images
I jeans di James Dean in Giant (1956)

D’altronde Yves Saint Laurent, couturier sinonimo della perfezione accademica, eppure trasgressivo, si rammaricava sorridendo di non averli inventati lui: “I jeans sono il capo più scenografico, pratico, rilassato e nonchalant dell’armadio. Trasudano sex appeal, eppure sono semplici, diretti: tutto quello che spero di vedere nei miei vestiti”. I brand storici, invece, incassano risultati (e dividendi) molto ghiotti. A marzo, Levi Strauss & Co., la società madre dei nostri teenage dream targati Levi’s si è quotata in Borsa: se a inizio giornata le sue azioni valevano 17 dollari, quando a Wall Street è suonata la campanella che annuncia la chiusura dei mercati, il prezzo era salito del 32%, arrivando a 22 dollari. La valutazione complessiva prevista, 5,8 miliardi è balzata con eleganza sui 9. Risultati dovuti ad un’azienda che negli anni più difficili (appunto i primi Dieci, con il record negativo del 2009 con un fatturato di 4 miliardi, la metà di quelli degli Anni 90) ha saputo reinventarsi, puntando sulla sua matrice americana, ma rendendola contemporanea: il segreto è stato, come raccontava a Business of Fashion Jen Sey, il responsabile marketing, “non entrare nel campo dell’athleisure, trend imperante dell’epoca, ma capire perché i consumatori, le donne in special modo, usassero i leggings anche per il brunch la domenica. La loro comodità vinceva su tutto, anche sui jeans, ci dissero. Così abbiamo deciso di migliorare l’elasticizzazione del nostro prodotto, creando jeans più morbidi”.

Non a tutti i grandi nomi del denim è andata altrettanto bene: pur rimanendo in cima alla lista dei top players, quando si parla di jeanseria, la percezione comune non è più quella di indossare un pezzo di storia americana, anche se, parlando di GAP, di quello si tratta. Pur contando su un forte heritage, e appena varata la boa dei 50 anni, festeggiati con delle capsule ad hoc, gli utili del secondo trimestre sono stati in caduta (-43%) passando dai 297 milioni di dollari dello stesso periodo nello scorso esercizio, ai 168 attuali. Il ceo di GAP (che, oltre al brand omonimo, possiede Banana Republic e Old Navy), Art Peck, sostiene che, a fronte di carenze nell’esecuzione, la seconda parte dell’anno sarà dedicata “all’inventario e disciplina delle spese, anche se non mancheremo di fornire prodotti eccezionali aiutati da un potente marketing”. Ma chi sono i brand di denim del futuro, a cui sarà garantito l’accesso anche nelle cattedrali dello stile? Se nei primi Duemila si sussurrava che Anna Wintour approvasse solo l’utilizzo del brand americano 7 for all Mankind, oggi le cose sono cambiate, e spira un nuovo vento dall’est. Si chiama Ksenia Schnaider, il marchio fondato da Ksenia Marchenko e dal graphic designer Anton Schnaider. Fondato nel 2011, ma lanciato per le strade delle fashion week del mondo nel 2016, i riferimenti agli eccessi degli anni 80, come da copione per i designer che arrivano dall’est – lei di Kiev, lui di Mosca – non mancano. Vite alte, volumi a palloncino, una gamba straight e l’altra baggy, il loro utilizzo non è adatto alle timide. Ed in effetti a indossarli per la prima volta, dando loro la fama, è stata una che in materia di moda, non è timida di certo: Céline Dion, che ha indossato il modello con gamba asimmetrica a favore di fotografi, lanciando il marchio nell’empireo dei più indossati dalle celeb (tra le fan, anche la maggiore delle Hadid, Gigi).

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L’interesse verso il denim sostenibile, però, ha spostato le attenzioni dei clienti verso marchi attenti ai consumi e agli sprechi: è il caso di Re/done, label americana fondata da appassionati di Levi’s, che prendono i pezzi vintage del marchio, e li ricostruiscono dando loro una nuova vita, e un’apparenza molto più contemporanea. A farsi desiderare (tanto da essere andata sold out quasi subito) è stata la capsule realizzata con Giorgia Tordini e Gilda Ambrosio, menti dietro il marchio Attico, ispirata agli Anni 70 e 80 a Los Angeles. Cristalli Swarovski applicati, vite alte e gamba a palloncino, minigonne dai bordi used, la collezione è un compendio del Glam.

Più anziano degli altri, con una reputazione ormai riconosciuta agli insider, c’è Nudie, marchio svedese guidato da Maria Erixson, in precedenza Design manager per l’Europa di Lee. Il marchio, che usa dal 2012 solo cotone organico, per evitare gli sprechi si offre di riparare gratuitamente i suoi prodotti (in ogni store c’è un repair shop). A fine del ciclo vitale del pezzo, inoltre, i jeans vengono trasformati in tappeti o coperture per sedili delle automobili. In questo caso le vibrazioni guardano al minimalismo Nineties, connaturato a un paese come quello d’origine del marchio.

Lanciato nel 2015, e da allora adottato in massa da tutti gli angeli di Victoria’s Secret (ormai ex, considerato che è calato il sipario sulla sfilata, tra molte polemiche) è invece GRLFND, versione di Girlfriend orfana delle vocali. Forse, ad attrarre Elsa Hosk e Stella Maxwell, è che il brand punti moltissimo sulla nostalgia anni Novanta, quella nello specifico dell’epoca delle top model, madri putative delle modelle odierne. Tagli semplici, colori che sembrano bruciati dal sole della city, vita alta come di rigore nella decade, l’universo di riferimento non oltrepassa i confini di New York, dove vive in una costante saudade dell’epoca nella quale Kate Moss e Johnny Depp erano una coppia, e Winona Ryder si presentava in jeans alle anteprime dei suoi film.

Infine, guardano sull’altra costa, i jeans di Mother, celebrazione del way of life losangelino degli Anni 70, tutto boulevard al calar del sole, skater e canyon all’orizzonte. Patchwork, lacci che si incrociano sulla vita alta, stampe tie dye, vestibilità regular con un certo spazio di manovra, come tutto ciò che arriva da Los Angeles e Miami si caricano subito di un appeal concettuale, adatto a pacificate fashion editor con il gusto per l’arte contemporanea: non è un caso che siano i preferiti di Eva Chen, guru responsabile del settore Fashion da Instagram. E se lo dice lei, bisogna crederle: la nuova primavera dei jeans inizia quest’autunno.